Varie, 8 febbraio 2002
ABETE Giancarlo
ABETE Giancarlo Roma 26 agosto 1950. Politico. Dall’aprile 2007 presidente della Figc (rieletto nel 2009, resterà in carica fino al 2012). Fratello di Luigi. Eletto deputato nel 1979, 1983, 1987 (Dc). Dal 1990 al 1996 presidente della Lega Professionisti Serie C del calcio. Dal 1996 al 2000 vicepresidente della Figc. Dal 1994 al 2000 presidente dell’Unione Industriali di Roma. Dal 2000 membro del consiglio d’Amministrazione della Aeroporti di Roma spa. Vicepresidente vicario della Fgci, nel maggio 2006 prese il comando a seguito delle dimissioni di Franco Carraro (conseguenza dello scandalo intercettazioni Moggi-Giraudo-Mazzini) • «Antonio Abete, il padre, nasce a Benevento, in una tipografia. Si chiama “Le forche caudine”. Antonio (classe 1905) impara subito il mestiere. Negli anni Trenta, dopo la morte di papà Luigi e la chiusura della “bottega”, il giovane Antonio parte per Roma e trova lavoro come correttore nelle Officine Carte Valori, poi assorbite dall’Istituto Poligrafico di Stato. Antonio è bravo e sveglio e fa una rapida carriera. Nel 1935 rileva una piccola tipografia. Nel 1946 compra un terreno in via Prenestino a Roma e fonda l’A.be.t.e (Azienda beneventana tipografia editoriale), prima fornitrice di stampati per le amministrazioni statali. Comincia la fortuna della famiglia Abete. Nel 1947 nasce Luigi, il primogenito, e prende il nome del nonno. Tre anni dopo arriva Giancarlo. La ditta si sviluppa, i ragazzi crescono (intanto si è aggiunta Antonella) e frequentano “buone scuole”. Luigi e Giancarlo vanno dai gesuiti del liceo Massimo, Antonella all’istituto Maria Adelaide. Giancarlo ottiene la maturità classica con eccellenti voti. Siamo nel turbolento 1968. Dai gesuiti (“Lì ha imparato eloquio e sottigliezze”) alla laurea in Economia e commercio alla Sapienza di Roma. Voto? 110 e lode. Il neo dottore entra nella azienda di famiglia dove già lavora il fratellone Luigi. I biografi raccontano: la fortuna era già arrivata attraverso un appalto di diciotto milioni di opuscoli con i codici di avviamento postale. E un business esaltante: le schedine del Totocalcio, Coni. Poi altre importanti commesse. Assegni, buste e sacchetti di plastica, certificati di garanzia. Clienti: Comit, Credito Italiano, Nuovo Banco Ambrosiano. Poi Trussardi, Stanhome, Lancôme, Prénatal, Postal Market. Poi Armani e Valentino. Poi, ancora: ministeri, Ferrovie dello Stato, Alitalia. Il Gruppo Abete possiede nel 1992 sei impianti: Napoli, Benevento, Roma, Anagni, Pomezia, Alessandria. La Holding, che opera nel settore editoriale, grafico e cartotecnico, è in continua espansione con interessi in Russia e in Cina. Nel 1995 fattura circa 150 miliardi di lire l’anno. Svettano gli Abete. Papà Antonio è anche sportivo e diventa presidente del Benevento Calcio, ottiene cariche in Campania e a Roma, cavaliere del lavoro, presidente degli industriali laziali. Hanno anche una squadra (l’Abete) che fa la Promozione e poi la Quarta serie. Sono dentro anche nel Calcio Nettuno. Giancarlo si occupa di leggi fiscali e tributi. Fa il militare nella Guardia di Finanza. Giovane ufficiale approfondisce la materia nei riservati uffici del comando generale delle Fiamme gialle. Poi il dottor Gianca entra in politica. Democrazia Cristiana. Nel 1979, a 29 anni, è eletto nel collegio Roma-Viterbo-Latina-Frosinone. Uno dei più giovani deputati degli anni Ottanta. Non parla molto, ma sa schierarsi. Anche “contro”, soprattutto quando serve, dicono. È antagonista di Vittorio Sbardella, detto lo Squalo, uomo di Giulio Andreotti. Sta con Arnaldo Forlani, il Coniglio Mannaro. Di lui dicono, sottovoce: è buono, sa graffiare e colpire al momento giusto. Tifoso della Juve, allora. Gioca al calcio, in attacco. “Ala sinistra nella nazionale dei parlamentari nella squadra di Cirino Pomicino — racconterà — ho disputato per quattro anni il Caravella a Roma”. Si sposa con Piera Righetti, nascono Marta e Veronica. Rimane in Parlamento tre legislature, otto anni. Esce nel 1987. L’anno dopo è chiamato da Antonio Matarrese in federazione. “È un mio uomo”, dice Tonino. Titolo a due colonne sulla Gazzetta del 1° marzo 1988: “Il nuovo presidente del Settore Tecnico è un politico romano che stampa le schedine”. Lo chiamano subito “dottor Albero di Natale”. È mattiniero, quasi alla Agnelli. Uomo colto, legge molti libri, sfoglia i giornali alle sette, va dal barbiere alle otto. Poi in ufficio, con la sua macchina. Guida lui, sempre o quasi. Non è “uno da autista”, non se la tira, non vuole apparire. Casa e lavoro, come quando era in politica. Silenzioso, riflessivo, serio. Dal Settore tecnico alla lega di Serie C. È il 1990. Un posto di tensioni, dove si urla molto. Giancarlo lavora, decide e sussurra: “Non amo le urla perché non aiutano a ragionare”. La Lega di Giancarlo Abete si trasforma in un effervescente laboratorio. Ci mette le mani dopo anni di sfasci e commissariamenti. Il settore risente della crisi del Paese. Abete parla difficile, ma è un duro, un tagliatore di teste, controlla i conti, frena le spese pazze. Saltano in aria club storici come Catania, Triestina, Pisa, Pro Vercelli. Sono gli anni del miracolo Castel Di Sangro, del calcio bello, diverso e — soprattutto — genuino. Abete importa dall’Inghilterra i tre punti, nascono i play-off e i play-out. Tonino Matarrese gonfia il petto e con la sua vocina gongola: “È una mia creatura”. Dopo quattro anni di gestione, Abete diventa rivale di Tonino Nostro. C’è chi sbotta: “Ah, ingrato...”. E c’è chi analizza: “È l’uomo della svolta”. Si legge: “La dittatura di Matarrese sta per finire”. Tonino ha molti nemici, si sa, ma nessuno aveva osato sfidarlo dall’interno del Palazzo. Giancarlo guida novanta società con l’acqua alla gola. “Non lo faccio per interesse, ma solo per passione”, dice. E si muove. Non trama nell’ombra, alle spalle ha una sua industria (650 dipendenti) e un nome che conta. Il fratello Luigi adesso è presidente della Confindustria. Il piccolo (?) Abete è pignolo, mette nero su bianco. Le sue, dicono, sono pagine di “dissenso costruttivo”. Lascia la C dopo sette anni, diventa vicepresidente della Fgci, sotto Luciano Nizzola. È un elegante mediatore, smussa angoli, spegne polemiche. Al Mondiale di Francia (1998) Romano Prodi critica il c.t. Cesare Maldini per scelte tattiche. Cioè, la staffetta. Cioè Del Piero al posto di Baggio. L’intervento di Prodi fa rumore. “Io la penso così”, ripete il capo del Governo. Maldini risponde di getto: “Fa bene a dire quello che pensa, ma lui non va in bicicletta? Allora è un tecnico della bicicletta...”. Romano non la prende bene, fa il piccato. Tensione? Pronto l’intervento del vice Abete, anima democristiana, politicamente vicino alla Margherita (a Prodi): “Via, non bisogna farne un caso. Sapete come è fatto Maldini: è soltanto una battuta”. Entriamo nel 2000. Abete sfida Nizzola per la presidenza. Lo batte ai voti: 62,28% contro il 37,24. Ma c’è il veto (o sbarramento) della Lega di A. Arriva il commissario, Gianni Petrucci presidente del Coni. L’anno dopo è eletto Franco Carraro, Abete vice. Nel dicembre 2004 il rapporto fra i due si incrina. Abete esce e lancia la volata elettorale. La Lega di A si mette (ancora) di traverso. Quella di C, l’associazione calciatori e gli allenatori sono con lui. Nuovo commissario? Carraro e Abete siglano il famoso “patto di mezza-legislatura”. Il 14 febbraio 2005 rivince Carraro, Abete è vicepresidente vicario con una promessa: presidente federale nel 2007. In mezzo c’è il tremendo e bellissimo 2006 con Moggi, il calcio caos e l’Italia campione del mondo. Il capo della delegazione azzurra made in Germany è Giancarlo. Per i nemici (e pure qualche amico) “eterno secondo e perdente di successo”. È la stagione dei tormenti e dell’estasi. Crolla tutto o quasi, Abete è — dirà poi — “spiazzato”. Ma resiste, passa la bufera, cambiano i commissari. Rossi, Pancalli. Poi l’ultima candidatura: sarà il nuovo presidente. È candidato unico. Non è una faccia nuova, dicono gli analisti di politica sportiva. Ma almeno è un uomo sulla cui onestà nessuno discute» (Germano Bovolenta, “La Gazzetta dello Sport” 1/4/2007).