Varie, 8 febbraio 2002
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Abraham Murray
• Fahrid Pittsburgh (Stati Uniti) 24 ottobre 1939. Attore. Premio Oscar nell’84 «per il Salieri impeccabilmente permaloso e tetro nell’Amadeus di Milos Forman, madre calabrese e padre siriano, taglia solida ma temperamento idealista» (Rodolfo Di Gianmarco) • «Io ho un’anima latina. Nasco di sangue italo-siriano, ma sono americano, e parlo anche spagnolo perché ho frequentato il Messico. Mi definisco un uomo del mondo, pronto a vedermela con qualsiasi pubblico. E il teatro è il ring più primitivo e più diretto che ci sia. Un teatro fatto non solo di parole ma di energie. Come io ci sia arrivato, beh, questo è un mistero. Mio padre era meccanico, la mia gente erano contadini poveri, nessuno aveva cultura. Io però ho cominciato a leggere a 12 anni, bloccato da una malattia che non mi faceva camminare. E a 16 anni a scuola mi reclutarono in una recita. Una scoperta, una cosa divina [...] Ho fatto per almeno 15 anni esclusivamente l’attore comico. Nel senso che mi divertivo nei panni di un ridicolo Bottom nel Sogno di Shakespeare, o interpretavo l’Arlecchino servo di due padroni, per non parlare di una lunga serie brillante in tv. Da quando il ruolo di Salieri m’ha dato maggiore notorietà, qualunque produzione cinematografica m’ha riservato personaggi negativi, drammatici. E invece nessuno intuisce quanto potenziale buonumore ci sarebbe dietro volti di attori assurti a eroi difficili... [...] Prendiamo Al Pacino. Lo conosco bene, anche se non siamo proprio amici. Lui è un comico sputato. Potrebbe fare benissimo Totò, e il mio sogno sarebbe quello di giocare a far rivivere Peppino accanto a lui. Ciò non toglie che io ami profondamente una parte seria come quella di Re Lear. L’ho sperimentata due volte, una con successo e una con un tonfo. In America succede così. Ma l’autore più universale, per me, è Cechov. Ha scritto un teatro per gli attori, così come ha fatto anche Eduardo [...] Due miei fratelli sono morti nel servizio militare. Io, una volta, guidavo tornando a casa dal set e una macchina con due ubriachi mi venne addosso. Loro morirono. Io dopo quattro giorni tornai a lavorare. Il cinema, ma soprattutto il teatro, ti aiutano a cambiare vita, a tuffarti in altre vite» (“la Repubblica”, 15/7/2001).