Varie, 8 febbraio 2002
ACAMPORA Giovanni
ACAMPORA Giovanni Bari 6 marzo 1945. Faccendiere. «Capitano della Guardia di Finanza sveglio, freddissimo e di gran fantasia per i funambolismi fiscali, resta incagliato nello “scandalo petroli” nel 1979. Ne esce illeso (assolto). Lascia le Fiamme Gialle e si fa tributarista. Vanta clienti illustri, spesso quegli stessi imprenditori che controllava come finanziere (Paolo Bulgari, Antonio Lefebvre d’Ovidio, ricordate lo scandalo Lockheed?, Camillo Cruciani, già presidente Finmeccanica). Difende Gaetano Caltagirone (A Fra’ che te serve?), è sodale di Claudio Vitalone. Abbandona la consorteria andreottiana e raccontano che sia stato Cesare Previti (il cui figlio Stefano è stato suo apprendista) a introdurlo alla corte di Arcore. [...] È il primo imputato condannato per quel pasticcio giudiziario che stringe in un solo nodo tre storie economiche (Sme, Imi-Sir, lodo Mondadori) e in un solo pugno Silvio Berlusconi, Cesare Previti, i magistrati accusati di scrivere le sentenze a prezzolato comando.[...] Avvocato tributarista “in rapporto professionale con la Fininvest fin dal 1989”, è stato condannato per corruzione in atti giudiziari a sei anni di carcere; a cinque anni di interdizione dai pubblici uffici e dalla professione di avvocato; al risarcimento di 1000 - mille - miliardi di lire a favore dell’Istituto mobiliare italiano e di cinque miliardi a vantaggio del ministro di Grazia e Giustizia e del presidente del Consiglio Silvio Berlusconi. Con Berlusconi, è stato per lunghi anni coimputato nell’indagine preliminare del “lodo Mondadori” […] e, nell’interesse di Berlusconi e per conto di Fininvest, ha curato l’arbitrato con i francesi della Matra Hachette dopo il fallimento della rete La Cinq; ha avuto rapporti con Rete Italia per l’acquisizione di programmi televisivi; è stato consigliere d’amministrazione della Natoc, la società finanziaria lussemburghese che ha rastrellato i pacchetti di minoranza di Telepiù e infine ha curato gli interessi del Biscione nella spagnola Telecinco» (Giuseppe D’Avanzo, “la Repubblica” 21/7/2001).