Varie, 8 febbraio 2002
ACCORSI Stefano
ACCORSI Stefano Budrio (Bologna) 2 marzo 1971. Attore. Tra i suoi film: Radiofreccia (David di Donatello 1999), Le fate ignoranti (Nastro d’argento 2001), Un viaggio chiamato amore (Coppa Volpi 2002) • «Amato da registi importanti di generazioni diverse (da Monicelli a Luchetti) [...] Come punti di riferimento cita Marcello Mastroianni e Gian Maria Volonté, dell’uno ama il garbo e la leggerezza del vivere la professione e la vita dall’altro ammira il rigore. Mastroianni e Volonté furono i due volti di un cinema che raccontava da una parte una realtà scanzonata e ricca di sogni e di speranze e dall’altra l’impegno e la forza degli ideali, Accorsi, con i suoi lineamenti delicati e il sorriso capace di ironia e di dolore, è quasi il simbolo di una generazione, che di ideali e di certezze non ne ha più, ma ne sente il bisogno» (Maria Pia Fusco, “la Repubblica” 30/3/2001) • «È considerato l’unico volto non borghese della sua generazione capace di rappresentare in modo credibile gioventù, amore, rabbia. “Accorsi ha molto talento, ma non fa il professionista del cinema”, osserva un grande vecchio come Mario Monicelli. [...] Se richiesto di esprimere un’opinione, Accorsi non si tira indietro: “La generazione anni ’80 era più ideologizzata e rigorosa. Forse in modo esagerato [...] La nostra ha un rapporto meno ideologico con questo mestiere. Sappiamo che in un film non bisogna mai trascurare l’aspetto spettacolare. Abbiamo meno pudore, più leggerezza. Facciamo la pubblicità, il cinema, la tv. Forse c’è più paraculaggine diffusa. Per questo ci potrebbero accusare di qualunquismo”» (Alberto Dentici, “L’Espresso” 8/3/2001) • «[...] mio padre lavorava in proprio come tipografo (Alessandro) e mia madre (Luciana) da segretaria in una scuola ma è andata in pensione presto per dare tempo ai figli. [...] Diceva Troisi che il successo è una lente d’ingrandimento: se sei scemo sembri più scemo, se sei intelligente sembri intelligentissimo [...] Oggi un attore di successo si gode meno la vita perché “pare brutto”. La fortuna che ho è condizionata dall’ansia [...] Non è vero che bisogna fare solo passi e cose “giuste”. Si può cominciare anche da uno spot, importanti sono le scelte che poi si fanno mano a mano. Il successo non ha regole, non c’entra se hai studiato, c’entra fino a un certo punto la preparazione. Ho avuto paura di non scollarmi dal Maxibon, ma l’ho superata. È stato il mio percorso [...] Non ho mai cercato la popolarità. Ho avuto la fortuna di fare film che hanno incassato cifre clamorose e sono stati visti da milioni di persone. La popolarità l’ho trovata attraverso la qualità e la passione. La tv impone un sacco di limitazioni [...] Appena fatta una cosa fortunata ti arrivano dieci proposte simili. Bisogna saper aspettare l’undicesima. Dopo Radiofreccia, Le fate ignoranti; dopo Le fate ignoranti, L’ultimo bacio [...] mi affascinano i personaggi che a un certo punto aprono un baratro vertiginoso, quelli che non te l’aspetti e ribaltano tutto, che dietro una forma normale ti sorprendono: quelli in cui si riconosce il lato oscuro di tutti. Non mi interessano i cattivi-cattivi o buoni-buoni [...]» (Paolo D’Agostini, “la Repubblica” 24/8/2004) • Famoso uno spot del gelato interpretato a inizio carriera: «Un buon punto di partenza. Il primo spot mi ha dato la popolarità, il secondo il denaro. Poi, però, ho detto basta. Dopo il liceo scientifico Pupi Avati mi aveva scelto per Fratelli e sorelle, avevo scoperto che recitare mi piaceva, avevo frequentato una scuola teatrale, mi sono trasferito a Roma» (“La Stampa” 25/4/2001) • «A vederlo così, in jeans e maglietta, non assomiglia per nulla al piacione che, nello spot del gelato Maxibon, tacchinava un paio di adoloscenti ritrose, ma in fondo in fondo pronte a cadere ai suoi piedi. Sembra un ragazzo come tanti, di quelli che puoi incontrare davanti all’università, o in un locale mentre beve un bicchiere di birra insieme agli amici. È proprio questa la sua forza [...] nel non avere un fisico prorompente o un volto dai lineamenti particolari [...] Fuma abbastanza, ma prima di accendere la sigaretta chiede il permesso: “Non ho molti altri vizi, ma questo non riesco a perderlo. Soprattutto quando lavoro, nelle pause tra un ciak e l’altro, le sigarette si disintegrano, volano via. Per il resto sono un moderato: bevo un po’ di vino a cena, ma mai a pranzo [...] Mi raccontano che ero un bambino silenzioso, che non piangevo mai. I miei genitori sono di sinistra» (Paola Zonca, “Il Venerdì” 26/1/2001) • «Devo a mia madre se sono stato scoperto da Pupi Avati che mi fece un provino nel ’90. Fu lei a leggere l’annuncio su un quotidiano. Era al mare e mi chiamò per avvisarmi. “Vai Stefano”. E ora eccomi qui» (“La Stampa” 10/6/2001) • «[...] avevo difficoltà nelle emissioni vocali. Io sono quello che entra in un bar, ordina un caffè e il cameriere non lo sente neanche. Ho dovuto lavorare molto per rafforzare l’apparato vocale, e per imparare a convivere con la mia voce. Poi mi sono accorto dagli altri che è una voce riconosciuta, giudicata bella, gradevole, calda, sensuale. [...] So di essere famoso ma continuo a vivere come se non lo fossi [...] Volevo andare a scuola con gli speroni. Fu allora che pensai: da grande farò l’attore. Un altro film fondamentale per me fu Novecento, di Bertolucci: non solo perché parla della mia terra, l0Emilia, ma perché è un film rock, così denso, così spesso, così a tinte forti [...] Se in un giornale c’è l’oroscopo lo leggo sempre. Mi arriva anche sotto forma di sms quotidiano: se è brutto dico sono solo sciocchezze, se è bello sono contento. [...]» (Laura Laurenzi, “la Repubblica” 11/2/2007) • È stato fidanzato con Giovanna Mezzogiorno, sua partner ne L’ultimo bacio: «Ci siamo conosciuti sul set del film tv Più leggero non basta. Non è stato un colpo di fulmine. Ci siamo frequentati, e abbiamo iniziato una storia dopo le riprese [...]i» (Paola Zonca, “Il Venerdì” 26/1/2001) • Dalla collega francese Laetitia Casta ha avuto il figlio Orlando (21 settembre 2006). «[...] Sia sua madre che io volevamo un nome che avesse dentro di sé la erre. La erre contiene una forza, un guizzo: è come un colpo di reni. Alla fine avevamo due nomi: Alessandro e Orlando. Ma Alessandro è il nome di mio padre e noi abbiamo pensato fosse meglio che lui non si chiamasse con il nome di un’altra persona. E così abbiamo scelto Orlando. Orlando: il bambino paladino [...]» (Laura Laurenzi, “la Repubblica” 11/2/2007) • Vivono a Parigi con l’altra figlia di lei, Satheen. «[...] l’attore più richiesto del cinema italiano, il divo che ha scelto di vivere a Parigi, il compagno della più bella donna di Francia [...] sembra il ragazzo della porta accanto, ma sullo schermo ha lo sguardo perso, il fiato sospeso, come se fosse sempre al culmine dell’eccitazione. [...] “[...] non ho programmato né l’amore coniugale, né quello paterno. Li ho semplicemente lasciati arrivare senza più confondermi tra desideri veri e fasulli. E poi Parigi per me è casa: somiglia alla mia Emilia [...] In Francia si avverte la citoyenneté che è appartenenza alla nazione, senso della collettività, dei diritti e dei doveri. Non è una cosa diversa dal rispetto per le leggi e per la cosa pubblica che si respira, o almeno si respirava, in Emilia o in Toscana. I miei genitori non hanno avuto bisogno di insegnarmi che le tasse si pagano. Era implicito nel loro essere cittadini e militanti comunisti [...] Hanno fatto la trafila classica: Pci, Pds, Ds. Oggi [...] sono nel commercio equo e solidale, con un punto vendita dove c’è di tutto, dall’olio ai maglioni. Hanno sempre avuto gli occhi aperti sul mondo che cambia. [...] Ho meno soldi di quanto si creda, ma la cosa importante è che non ne sento più la colpa. È stato un lavoro lungo, ma su questo problema mi sono scrollato di dosso sia il moralismo comunista sia il senso cattolico del peccato. Oggi mi godo i frutti del mio lavoro, quando ci sono. Quello che odio è il lusso [...] Sono nato bello, ma un giorno non lo sarò più. Pazienza, non posso mica fare l’attor giovane tutta la vita! Ho cominciato ad accorgermi del tempo da quando è nato mio figlio Orlando e mi piace questo passaggio di testimone [...] Non credo in Dio, ma ho fede nella forza della vita. Scopro la vera eccitazione nella magia di un film, in un nuovo incontro, nella politica che cambia le cose, nei progetti che mi passano per la testa [...]» (Stefania Rossini, “L’espresso” 29/3/2007).