Varie, 8 febbraio 2002
ACHENG
(Zhong Acheng) Pechino (Cina) 5 aprile 1949. Scrittore. «Suo padre è un comunista, sceneggiatore e critico cinematografico: nel ’57, un articolo sgradito al potere gli frutta l’espulsione dal partito e l’invio in un campo di rieducazione. Il ragazzo Acheng diventa così il figlio di un “controrivoluzionario” e, pur continuando a frequentare la scuola, conosce la riprovazione sociale e l’isolamento. In cambio, impara a “guardare la società dall’esterno”. Dieci anni dopo esplode la rivoluzione culturale. Nel ’68, seguendo il destino di milioni di “giovani istruiti”, Acheng viene inviato anche lui a rieducarsi: nello Shanxi, poi nella Mongolia interna, poi per lunghi anni nello Yunnan, nei pressi del confine con la Birmania. È qui che comincia a scrivere per se stesso, e a raccogliere i materiali dei suoi futuri libri. Torna a Pechino nel ’79, e trova un lavoro in una rivista. Nel 1984 pubblica Il re degli scacchi, l’anno dopo gli altri due volumi della trilogia che lo ha reso famoso: Il re degli alberi e Il re dei bambini. Libri praticamente all’indice e per molti anni pressoché introvabili; ma che, nella forma di fotocopie o di volumi logorati dall’uso, o in edizioni pirata, passano di mano in mano, in una circolazione semiclandestina (oggi sono ancora ufficialmente proibiti, ma è più facile trovarli nelle librerie). Ciò nonostante, Acheng diviene uno degli autori più amati dai giovani che lottano per la democrazia. Dal 1987 Acheng vive a Los Angeles pensando alla Cina. Gli Stati Uniti, dice, sono per lui “un tranquillo tavolo su cui scrivere”. Ha fatto il muratore e l’imbianchino, ha riparato vecchie automobili e radio. Dice di aver imparato tutti questi mestieri consultando i manuali. Mentre era nello Yunnan si fabbricò da sé un violino. Predilige il lavoro manuale, anche il più faticoso, che “permette al cervello di rimanere libero”. Acheng non è uno scrittore di denuncia. Non declama, non protesta, non ha lacrime né grida. Descrive persone che si difendono dall’oppressione del potere, dall’ottusità burocratica, dalla corruzione, rifugiandosi nelle manie, nelle stravaganze, nella follia. Come Lao Guan, che è stato in prigione sette anni per una frase, e ora passa il suo tempo a guardare tutto, dai corvi che nidificano alla forma delle nuvole ad ogni genere di esposizioni e mostre: “Così, se verrò arrestato di nuovo, avrò visto il maggior numero di cose possibili”. Nei suoi libri Acheng racconta il destino doloroso della sua "generazione perduta", ma lo fa senza recriminare, con serenità e con tenera ironia. Al burocratismo, all’autoritarismo violento, al produttivismo esasperato, a una cultura dogmatica, oppone la ricerca paziente di una sapienza antica, la difesa dell’individuo, l’amore per la gente e per la natura. I suoi personaggi hanno imparato, come suggeriva un saggio taoista, ad essere stupidi tra gli intelligenti, e a sopravvivere, salvando umanità e dignità, anche quando tutto, intorno, sembra degradarsi e crollare. Nel Re degli scacchi, protagonista-simbolo è un giovane cinese assai povero, anch’egli inviato in campagna, interessato solo al gioco degli scacchi e al cibo (necessario a soddisfare i bisogni primari per potersi dedicare alle avventure dello spirito). Questo giovane, Wang Yisheng, gira tra villaggi sperduti e campi di rieducazione in cerca di qualcuno che possa impegnarlo agli scacchi (e il racconto finirà con una memorabile partita). Intoccato e intoccabile dai tumulti della politica, il protagonista rivendica nei fatti la propria indipendenza e libertà interiori, il proprio essere individuo: nulla e nessuno potrà mai privare della sua libertà una persona che sa giocare a scacchi dentro di sé, a memoria. [...]» (Gianni Sofri, “Golem” n. 1, gennaio 2003).