Varie, 8 febbraio 2002
ACITELLI Fernando
ACITELLI Fernando Roma 2 marzo 1957. Poeta. Scrittore. Autore de La solitudine dell’ala destra • «La guerra e il calcio sono stati il suo nutrimento per tutta l’infanzia. Il padre, ex progioniero di guerra, giocò come laterale sinistro nella Giovinezza di Torpignattara e per sei mesi nei ragazzi della Lazio indossando gli scarpini di Fantoni II. Negli anni ’70 ha giocato nelle giovanili della Standa e della Romulea come terzino destro [...] Perdersi in un campo di calcio a tre anni poteva anche svelare un futuro di gloria ma allinearsi su una linea difensiva una volta superati i quaranta significa solamente essere affrescati di Poesia, vedersi ancora fanciulli in pomeriggi che non riconosciamo, che hanno cambiato nome. Insistere comunque nella dedizione alla vita, questo il pressing più sfiancante di tutti» (einaudi.it). «Ciò che abbiamo appreso dalle interviste è la sua professione, una professione senza precedenti nella storia della letteratura se non nella letteratura in quanto tale, in quanto finzione: fa il fuochista, proprio come il severo eroe del primo capitolo di America di Kafka (“Contro un uomo come il fuochista non si poteva mai avere abbastanza severità”)» (Franco Cordelli, “Corriere della Sera” 7/5/1998) • «A sedici anni Francesco Italo Acitelli, il padre amatissimo, promettente giocatore della Giovinezza di Torpignattara prima e dei ragazzi della Lazio poi (fu lì che indossò gli scarpini di Fantoni II), dovette abbandonare i sogni di gloria per mantenere la famiglia, primo di quattro figli orfani di padre. Una passione mai sopita la sua, ma anzi continuamente alimentata, unico conforto nel tempo della prigionia a Hereford in Texas, dove rimase per tre anni. Giocavano a calcio nel campo 4, e c’erano la mezzala del Varese, l’ala sinistra del Bologna e un certo Mastalli del Livorno [...] “Le mie poesie vengono da lui, dai racconti che mi faceva, dalle cose che mi ha trasmesso” [...] Per Fernando venne il tempo del calcio vero [...] dagli undici ai diciassette anni la sua vita fu scandita dagli allenamenti. Prima con la squadra dell’oratorio, poi nelle giovanili della Standa e della Romulea. “Me la cavavo, ero abbastanza abile in molti ruoli diversi, ma non eccellevo. Giochicchiavo [...] e quando uno giochicchia prima o poi è meglio lasciar perdere [...] Chi è stato sotto le docce, nudo in mezzo agli altri, sa di non poterlo dimenticare. Sentire l’odore dei corpi mischiato al bagno schiuma, parlare di sesso, il puzzo egli spogliatoi, il mucchio delle maglie usate che un oscuro dirigente, scocciato di essere lui a doverlo fare, veniva a raccattare a fine partita. Chi non l’ha provato non credo possa scrivere di calcio con tutti i sentimenti” [...] Pierino Prati, il suo mito di gioventù [...] Nessun manifesto attaccato in camera, ma sogni nel suo letto di ragazzo. Il più bello fu interrotto dalla mamma col caffellatte, proprio mentre stava entrando in campo con Pierino, pronti, insieme, ad accostarsi alla curva sud per raccogliere il saluto dei tifosi: “Sarebbe bastato questo, anche senza giocare” [...] Di mestiere fa il fuochista [...] Cominciò come impiegato per una società petrolifera del gruppo Agip: “Ma è più forte di me, dentro un ufficio non resisto. Non sono tarato per stare sempre con la testa sulle cose pratiche”. Così ebbe l’incarico ci controllare le caldaie di 150 scuole di tre quartieri romani. Ancora adesso, per la stessa società, lavora con contratti di collaborazione stagionale, che durano quanto i riscaldamenti accesi: “Un lavoro che nel tempo mi ha consentito di continuare a scrivere, di frequentare i miei luoghi emotivi. Ma che è destinato a finire: con la telematica prima o poi le caldaie faranno tutto da sole”» (Gloria Piccioni, “liberal” 14/5/1998).