Varie, 8 febbraio 2002
Tags : Isabelle Adjani
Adjani Isabelle
• Gennevillier (Francia) 27 giugno 1955. Attrice. Padre algerino e madre tedesca, primo ruolo a 14 anni in «Le petit bougnat». Ha avuto 5 premi César: «Possession» (1982), «L’estate assassina» (1984), «Camille Claudel» (1989), «La Regina Margot» (1995), «La gonna» (2010). Nomination all’Oscar per l’Histoire d’Adele H (1975) e Camille Claudel (1989). Nell’89 fece scalpore ai César leggendo un brano dei «Versi satanici» di Rushdie per sfidare la fatwa del regime iraniano contro lo scrittore. Nel 2000 rifiutò di partecipare ad una cena di gala all’Eliseo in onore del presidente algerino Abdelaziz Bouteflika per contestare il mancato rispetto dei diritti umani in Algeria. Ha due figli, il primo avuto col regista Bruno Nuytten, il secondo con Daniel Day-Lewis. Fu al centro delle cronache rosa anche per la sua relazione con Jean-Michel Jarre • «L’ultima diva del cinema francese ed europeo [...] fama di star d’altri tempi: il mitico cattivo carattere, l’aura di mistero, malattie inventate che però hanno contribuito ad alimentare la leggenda, amori contrastati, abbandoni via fax (Daniel Day Lewis è quasi più famoso per questa moderna strategia di commiato da lei che per l’Oscar) [...] Mitici anche i suoi ritardi: una volta fu “enguelée” (rimproverata) aspramente da un altro divo, Mastroianni, a una cena privata dall’amico Jacques Grange (arredatore personale della diva) che aveva desiderio di sedersi a tavola al più presto e fu costretto ad aspettarla» (Rita Cirio, “L’Espresso” 12/10/2000) • «Il suo splendido volto non è stato minimamente intaccato dai ripetuti esaurimenti nervosi, e dagli amori travolgenti» (Nico Orengo, “Specchio” 3/2/1996) • «Ha lo sguardo fermo e solitario di un gatto. Un po’ sfinge, un po’ luna. Immutabile. Ogni nuovo incontro è un ritorno al futuro, un girotondo del tempo che sempre ne restituisce, intatto, il candore carnale, oggi come dieci, venti, trent’anni fa. È dal ’69 che “The Look”, come l’hanno ribattezzata con amorevole fierezza i Cahiers du Cinéma per l’aspetto vellutatamente circolare, si offre tra calibrati andirivieni tra schermo, teatro, musica, e sempre più prolungate sparizioni, interrotte da epifanie-evento. [...] “[...] da sempre ho un debole per figure di vittima eroica, di donna perdente, ma anche una complicità difensiva con chi non accetta di sacrificarsi, come in L’estate assassina o in Toxic Affair”. Il repertorio quasi esclusivo di sventurate sublimi è stato per lei un buon apprendistato nelle questioni di cuore? “Al contrario [...] Sono io che ho insegnato loro qualcosa! Sono una regina di dolori solo in via provvisoria, il tempo di un film. E non so piangere sulla mia sorte che prendendo in giro le mie lacrime”. Vivere, e recitare, è per la Adjani, con frase rubata a Camille Claudel, “far girare la statua”, cercare le ombre attorno alla propria immagine. Tornio eletto per farsi “scolpire” e riscoprire, in gara di martirio col suo personaggio [...] “[...] quando la mia banca, cui erano arrivate le voci che fossi colpita dall’Aids, mi ha sollecitata per un conto scoperto, come a dire: sbrighiamoci, prima che crepi... Con amici ho raccolto ai Jardins du Luxembourg merdine di cane, né troppo dure né troppo molli, e le ho messe nella busta con l’assegno”. Adorazione e dispetto, ammirazione e malevolenze sono il flusso-riflusso che da sempre accompagna il suo andare e venire alla ribalta. La platea che la circonda di premure è la prima a negarle il diritto d’appartarsi. Meglio malata che inattiva. “Non è un caso che mi abbiano attribuito un male che sfigura, che infetta la bellezza”. Come se i prolungati ritiri d’amore - negli anni Novanta, a Londra, con Daniel Day Lewis, cui deve il secondo figlio, Daniel-Kane, [...] poi, fino al 2004, con Jean-Michel Jarre, l’ex di Charlotte Rampling - fossero il suo tradimento del pubblico, sparizioni troppo altere, un inaccettabile “mistero in pieno buio”: “Esistere e sparire fa parte delle mie libertà”. Persino l’identità anagrafica è per lei uno stato interiore: “Per stare vicino a Day Lewis, avevo abbandonato la Francia, divenendo residente inglese. Il mio Paese è dove è la mia vita. Per tre anni la mia esistenza è stata più bella di qualsiasi film. Perché qualcosa cambi, bisogna a volte assumersi il rischio di perdere tutto. Vale per l’amore come per il resto [...] La vita vince sempre. È la vita che mi toglie al cinema, talora per periodi troppo lunghi, ma è sempre la vita che mi ci riporta”. Esemplare protetto nella sparuta riserva transalpina di star - accanto a Fanny Ardant, Catherine Deneuve, Isabelle Huppert, Juliette Binoche -, è l’unica a avere fatto del grande schermo il suo altare del sacrificio: bella tra le spire d’una bestia infernale (Possession di Andrzey Zulawski), stuzzicante Justine in morbosi meandri domestici (Quartet di James Ivory), pedina di labirinti grotteschi (L’inquilino del terzo piano di Roman Polanski) o romanticamente carbonari (Subway di Luc Besson), stremata dal destino in Barocco e Le sorelle Brontë di André Téchiné [...]. Una lunga collezione di disinganni, macerazioni, autoflagellazioni. E di premi d’interpretazione: due nomination all’Oscar, Palme d’or a Cannes, Orso a Berlino, quattro Césars (un primato), Grand Prix des Amériques a Montreal [...] attribuito per la prima volta a un’attrice francese. In questo carosello d’allori e tormenti, sfavilla Adele H., magico incrocio di colpi di fulmine: della Adjani, che decide di divenire attrice dopo aver visto nel ’69, a quattordici anni, il film di François Truffaut La mia droga si chiama Julie, e di Truffaut che scopre la Adjani in tv (come succederà per la Ardant) – “la sola che mi abbia fatto piangere davanti al piccolo schermo” - nella registrazione di La scuola delle mogli, la rivede nel ’74 nel film La gifle di Claude Pinoteau e la induce a rompere il contratto con la Comédie Française, rinviando le riprese, purché sia lei la protagonista, anche se troppo giovane rispetto al personaggio della secondogenita di Victor Hugo. “Un incontro insperato, di cui non ho capito subito l’importanza: prematuro, purtroppo - è il suo rimpianto - Ero troppo giovane, una debuttante. Lui nutriva il desiderio, come ha poi scritto stupendamente, di rubarmi, filmandomi, qualcosa di prezioso, ‘tutto quel che succede in un volto e in un corpo in piena trasformazione’. Mi è rimasta la frustrazione di non aver girato di nuovo con lui. Mi ha trasmesso allora il suo amore del cinema. M’ha insegnato quel che è importante e non importante in un film: e mi ha fatto capire che la tecnica non è il contrario della verità”. Truffaut, sul set, sapeva anche innamorare e innamorarsi: “Ma io avevo diciannove anni ed ero vergine. Neanche a parlarne”. Cresciuta a Gennevilliers, ai margini di Parigi, in una famiglia di rigidi princìpi - padre algerino e madre tedesca - la Adjani ne ha tratto l’immobile bellezza d’effigie egizia e l’indole cocciuta, combattiva, mai rassegnata, che l’ha messa sempre in trincea, risollevandola pure da depressioni e delusioni amorose. Non solo Day Lewis, ma anche Jarre, contro cui, prendendo come lei dice “il mio coraggio di budda a dodici mani”, ha promosso [...] una campagna stampa incandescente: “Anche in quel caso, non ho voluto che i miei problemi rimanessero privati, ma che divenissero stimolo, per gli altri, a difendersi, a reagire. Oggi si presta ascolto, talvolta, alle vittime di aggressioni fisiche. E le vittime di aggressioni psichiche? Nella nostra società non sono aiutate, protette. Ho voluto, partendo da me, mettere in guardia dalle coercizioni emozionali, cercando anche di far cambiare la legge francese, che non riconosce nella sfera privata la crudeltà mentale o la persecuzione morale [...] Una volta nella giostra dello spettacolo, diventiamo protagonisti dei media: non possiamo permetterci d’essere artisti e basta, dobbiamo fare sentire la nostra voce, essere presenti, intervenire. Sia nella sfera pubblica che privata, non bisogna mai avere paura, o vergogna, di rompere il cerchio che si chiude su aggressore e vittima. Occorre solo coraggio. Io ce l’ho”» (Mario Serenellini, “la Repubblica” 9/12/2007).