Varie, 8 febbraio 2002
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Adri Ferran
• Hospitalet de Llobregat (Spagna) 14 maggio 1962. Chef • Nel 2008 «i più grandi chef e critici gastronomici hanno premiato il suo ristorante, per il terzo anno consecutivo, come il migliore del mondo al San Pellegrino World’s 50 Best Restaurants Award. E dire che lui, Ferrand Adrià, osannato chef di El Bulli, è entrato per la prima volta in cucina come lavapiatti, apprendendo i rudimenti della cucina spagnola tradizionale. A 19 anni, durante il servizio militare, ha fatto il cuoco e nel giro di breve tempo è stato assegnato al personale di cucina di un alto ufficiale. A 22 anni ha cominciato a lavorare a El Bulli, un ristorante già celebre, indicando come principale motivazione il desiderio di incontrare le ragazze che frequentano la vicina spiaggia. Nel giro di diciotto mesi, era già capo chef. Lo stile culinario proposto da Adrià è stato definito “gastronomia molecolare”, anche se Adrià preferisce descrivere il proprio stile come “avant garde” oppure “decostruzionismo gastronomico”. Adrià ha la fama di genio solitario e scontroso. [...] Le prenotazioni al ristorante sono perennemente al completo e [...] vengono respinte circa settecentomila richieste di tavoli ogni anno. Oggi, se vogliamo prestar fede ai siti web dei gastronomi, il consiglio migliore per assicurarsi un tavolo è prenotare una vacanza di dieci giorni a Barcellona e telefonare ogni mattina per mettersi in coda per eventuali cancellazioni. [...] Per gli estranei al mondo della gastronomia, Adrià è una vera chicca: difatti l’arte culinaria, con le sue stranezze, è di grande intrattenimento. C’è sempre una battuta pronta per descrivere l’assurdità di un pranzo servito sotto forma di schiuma — anche se, a quanto pare, ha rinunciato a tali esperimenti dal 1998 — ed è facile immaginare che le avventure di Adrià avranno scarso impatto, a lungo andare, sulle nostre abitudini alimentari casalinghe. Ma il colpo grosso che Adrià ha saputo mettere a segno va ben al di là dei trucchi scientifici. Forse senza volerlo è diventato il paladino di una ribellione globale contro l’egemonia culinaria francese. Malgrado gli sforzi frenetici per innovare nel campo culinario, migliaia di brillanti giovani chef in tutto il mondo erano costretti a misurarsi con i parametri fissati dalla cucina classica francese, fino all’arrivo dell’approccio scientifico di Adrià. E la creatività, mai la commercializzazione, è lo stimolo che lo spinge a migliorarsi, dice Adrià: “È impossibile combinare il desiderio di fare soldi con il desiderio di soddisfare i nostri clienti con quello che facciamo”. Eppure, non gliene importa molto se non riesce ad accontentare tutti: “In fin dei conti, è importante quello che abbiamo dentro di noi, quello in cui crediamo, non l’opinione di dieci milioni di persone”. ... “[…] El Bulli non è un ristorante. Non ci guadagniamo certo. I libri, gli alberghi, il commercio, quelli sì che fanno affari. Non è possibile arricchirsi e portare avanti il nostro lavoro a El Bulli. Noi vogliamo sperimentare, soddisfare i nostri clienti, ma non siamo disposti a cambiare nulla di tutto ciò che facciamo solo per adeguarci alle richieste. Vi sembra un ristorante, questo?”» (Tim Hayward, “Corriere della Sera” 26/4/2008) • «[...] Il “cocinero” che ha inventato la gastronomia concettuale, rivoluzionando la tecnica dei fornelli prima con il sifone poi con la pacojet [...] Figlio di uno stuccatore, smise di studiare economia per provare la via gastronomica prima in ristorantini e bar di tapas poi come aiutante cuoco a El Bulli, divenuto trendy grazie alla sinistra al caviale del compianto scrittore Manuel Vázquez Montalbán. [...] “Professionalmente posso essere importante - dice - ma non dimentico mai che vengo dal popolo, che sono uno come gli altri. Poi i miei amici e la mia famiglia mi fanno tenere i piedi per terra, sono sinceri e impediscono che diventi un presuntuoso idiota”. Definito il Dalí dei fornelli - per Time uno dei cento uomini più importanti nel mondo nel 2004 - lo chef che ha destrutturato persino i cocktail, aperto una catena di hamburgheserie (“Fast Good”), insegnato alla schiera degli adulatori come fare da mangiare in dieci minuti (e persino farsi una tortilla usando un sacchetto di patatine fritte) [...] “Del mio lavoro rimarrà una generazione di cuochi che hanno trasformato il cibo in esperienza, provocazione, emozione [...]”» (Gian Antonio Orighi, “La Stampa” 25/11/2007) • «“Il miglior cuoco in circolazione, il più innovativo, il numero uno”: l’incoronazione è venuta da un signore che […] quando si è ritirato dalle scene gastronomiche, era riconosciuto come l’indiscusso Maestro della ristorazione mondiale, il francese Joel Robuchon. Ma lui, un catalano ormai insignito delle fatidiche tre stelle della Guida Michelin, non è soltanto un creativo puro. Il geniale chef è diventato anche un imprenditore con il pallino del business, dà lavoro a 400 persone, allestisce una organizzazione di catering, si espande dalla piccola Roses (ristorante El Bulli) a Barcellona (laboratorio), a Madrid (catering), a Siviglia (albergo a 5 stelle) [...] Concepisce il suo ristorante come un teatro dove “i momenti più importanti sono le prove, cioè la preparazione e poi la mise en place, la rappresentazione” [...] Nel suo menù di 22 portate il ritmo è essenziale: “Devi continuamente sorprendere”. Il tam tam dei gourmet da anni magnifica le sue invenzioni, anche se alcune di queste hanno fatto inorridire chef nostrani e aspiranti intenditori: “Ma che roba è la mousse di fumo?” [...] Nella sua cucina “l’aspetto puramente tecnico è fondamentale” [...] Tra i suoi capolavori non si può ignorare il “semifreddo di parmigiano”» (Daniele Protti, “Sette” n. 26/1999) • «È arrivato a creare la spuma di fumo, ingredienti l’aria, l’acqua e il fuoco, e si può legittimamente pensare che a ispirarlo sia stato il filosofo greco Talete [...] Forse sarebbe piaciuto all’aeropittore Filippo Marinetti che ha sperimentato anche in cucina le sue idee futuristiche» (Federico Bugno, “L’Espresso” 7/1/1999) • «Il Gaudì del piatto destrutturato: o il simbolo stesso dell’arte di stupire a tavola, l’uomo che dai fornelli di “El Bulli” ha rivoluzionato, a colpi di minestre destrutturate, il modo di far cucina. Ma anche quello chef spesso accusato di vendere aria fritta (nel senso letterale del termine, ricordiamo la sua “Spuma di fumo”), ma di saperla vendere benissimo. […] Un’opera che per essere capita ha bisogno di una legenda intitolata instrumentos de ayuda. Un super-saggio per pochi e ultra-raffinati estimatori della “meta-cucina”: 490 pagine di immagini e riflessioni dove Ferran Adrià e July Soler raccontano quattro anni di esperimenti, idee fulminanti, e pure “ciò che avrebbe potuto essere e non è stato”, vale a dire tutti quei piatti rimasti rigorosamente al di fuori del menu. A prima vista, questo librone nero segnato dal gesso bianco (che fa il verso alla lavagna che c’è a El Bulli), sembra un catalogo di arte concettuale. Poi, se ti soffermi, capisci che il soggetto di quelle immagini non sono le iper-geometriche sculture di Arp o qualche pirotecnico virtuosismo di Balla, ma (più semplicemente?) un soufflè di pastiera piramidale o una spuma di peperoni plasticamente sospesa su un letto di triglie. Eppure Adrià, riesce a spedire il suo messaggio d’alta cucina - mutuato da attrezzi come il sifone, il “Paco-jet” (una sorbettiera che trasforma qualsiasi pietanza in gelato) e la “Rallador” (la grattugia verticale che “aerizza” gli alimenti) - anche al piano terra dell’haute cuisine, quello abitato da coloro che addetti ai lavori non sono. […] “Tutti possono creare buoni piatti. L’importante è che la qualità degli ingredienti sia alta, e non si voglia strafare. Prenda la pizza alla napoletana. La mozzarella va messa alla fine. Solo così resterà morbida, e non secca e bruciata, il sigillo classico della cottura da forno domestico”. Incalza: “Passiamo ai tempi di cottura: per dorare uno scampo bastano venti secondi e non i classici tre minuti imposti dai manuali di cucina. La cottura è distruzione: attraverso questo passaggio tutto perde colore, sapore, vitamine”» (“La Stampa” 17/2/2003) • «Prima di creare, bisogna conoscere. Io viaggio molto, nei sei mesi da ottobre a marzo, quando El Bulli è chiuso. Prima ho divorato tutti i libri di gastronomia. Poi ho cominciato a fare la mia cucina, creando piatti che non esistevano. E ogni anno cambio completamente il menù. Una sfida continua con me stesso: ne sarò capace? È come correre in formula uno. Con la differenza che noi presentiamo un nuovo bolide ogni anno. Però non cucino per soldi né per soddisfare il mio ego, perché non avrei mai sognato di avere un decimo della fama conseguita [...] El Bulli è come una griffe, ogni primo aprile presenta la sua collezione» (Gian Antonio Orighi, “Panorama” 21/9/2000) • «Un quadro di Picasso è certamente una gran cosa: ma posso stare senza vederlo anche tutta la vita; mentre se voglio vivere non posso smettere di mangiare. E poi i miei piatti costano molto meno di un Picasso [...] Quello che cucino può piacere o meno, dipende dai gusti [...] Io non ho maestri e non ho tradizioni. Certo se fossi vietnamita cucinerei in un altro modo ma questo è solo banale. Parliamo piuttosto di memoria, ma anche di quella di ieri [...] Non so se, come dicono, sono il più bravo, certo sono il più innovativo. Il difficile non è stupire con cibi pregiati, piatti esotici, ostriche, aragoste e caviale. Difficile è fare qualcosa di straordinario con un pomodoro» (Giancarlo Loquenzi, ‘liberal’ n. 34/1998) • «Sicuramente ha una grandissima tecnica, ma secondo me è inutile tutta questa ricerca per approdare a risultati che al mio palato e a quello di molti altri risultano sconcertanti. È un’operazione fatta per stupire, il cliente lancia gridolini di meraviglia, i giapponesi fotografano le porzioncine, il mondo gastronomico non parla che di questo» (Edoardo Raspelli, “Specchio” 11/3/2000) • «Capisco che qualcuno storca il naso davanti alla fetta di cocomero grigliata con pomodori e pinoli» (Moreno Cedroni, cuoco, su “Specchio” dell’11/3/2000) • «Se esiste un dio dei cuochi, è il Messia: se fossi buddista sarebbe il mio Dalai lama; se fossi un rivoluzionario, il mio Che Guevara» (Mirko Panattoni, cuoco del ristorante Marianna di Bergamo, su “Specchio” 11/3/2000).