Varie, 8 febbraio 2002
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Adriano LeiteRibero
• Rio de Janeiro (Brasile) 17 febbraio 1982. Calciatore. Nel 2010/2011 alla Roma (otto presenze tra Supercoppa italiana, campionato, Coppa Italia e Champions League, in tutto 354 minuti e zero gol per uno stipendio di quasi 10.000 euro a minuto). Con l’Inter ha vinto gli scudetti 2006, 2007, 2008, 2009 (il primo a tavolino). Ha giocato anche con Fiorentina, Parma, San Paolo, Flamengo. 6º nella classifica del Pallone d’Oro 2004, 7º nel 2005. Bidone d’oro 2006 e 2007 • « Mezzo Riva e mezzo Charles. Adriano bifronte mette insieme il sinistro micidiale di “Rombo di tuono” e il colpo di testa da ariete di “King John”. In stato di grazia psicofisica, il brasiliano fa la differenza come la faceva Giggirriva [...] E la stessa potenza nel gioco aereo di Charles [...] È un atleta straordinario, tecnicamente completo anche se usa il destro raramente. [...]» (Bruno Bernardi, “La Stampa” 14/6/2005) • Si rivelò negli ultimi minuti di un amichevole estiva Inter-Real Madrid al Santiago Bernabeu (2001): «Otto minuti quasi perfetti. Un gesto tecnico dietro l’altro, uno meglio dell’altro, nessun errore, nessuna sbavatura, neanche un indugio. Otto minuti eclatanti. Falli procurati, difesa della palla, iniziative personali, gol sfiorato di testa, punizione, gol all’incrocio col sinistro liberato a 180 all’ora. Tutto questo, di tale qualità e in così poco tempo mai si era visto e, probabilmente, mai si rivedrà. A maggior ragione da un ragazzo di 19 anni, arrivato dal Brasile giovedì, allenatosi per la prima volta sabato, aggregato di fretta alla prima squadra lunedì. Martedì buttato in campo al Santiago Bernabeu di Madrid in un’amichevole ormai destinata ai calci di rigore, per di più al posto di Christian Vieri, nell’ultima manciata di insignificanti minuti. Sei, per la precisione, più il recupero. Il punto non circoscrive solo il gol, di potenza e precisione irreali, segnato al chirurgico scoccare del 47’ (l’ottavo minuto utile). Il punto si estende alla biologica naturalezza, alla lucidissima determinazione e alla soverchiante personalità di un talento che, come minimo, ha vissuto due volte» (“Corriere della Sera”, 17/8/2001) • «Campione mondiale Under 17, calcisticamente è nato nel Flamengo, dove ha fatto tutta la trafila da quando aveva sette anni. A 10 anni ha rischiato di smettere non per un grave infortunio ma perché il padre, Almir, nella favela di Rio dove abitava era stato colpito alla testa da una pallottola vagante. Con il genitore ricoverato in ospedale in fin di vita, il piccolo Adriano dovette smettere di allenarsi e cominciò a fare il lustrascarpe per aiutare la famiglia. Ma Almir riuscì a salvarsi e Adriano potè tornare al calcio. Il suo primo ruolo fu quello di terzino sinistro, con attitudine al gol tanto che ne segnò 37 in 127 gare ufficiali. Poi il suo allenatore Nelsinho lo trasformò in centravanti e in breve tempo conquistò la Nazionale Under 17 e vinse i Mondiali di categoria. A gennaio 2000, l’esordio da professionista nel Flamengo, lanciato da Zagallo, l’allenatore storico del calcio brasiliano, con uno stipendio di 750 mila lire al mese. Che aumentò da agosto a 12 milioni, somma che gli ha permesso di regalare ai genitori una villa in un quartiere di vip a Rio. Con l’arrivo all’Inter, in cambio della comproprietà di Vampeta che nel frattempo era passato al Paris Sg, l’ingaggio è salito a un miliardo e mezzo a stagione per 5 anni. Le sue doti migliori sono il colpo di testa (è alto 189 cm) e il tiro fortissimo (calza scarpe numero 43), ma è abile anche nel dribbling e nello scatto breve» (Nino Sormani, “La Stampa” 17/8/2001) • «Crescendo nelle favelas si imparano cose che la gente normale non immagina. Io ho avuto la fortuna di avere genitori che mi hanno insegnato cosa è giusto e cosa è sbagliato. Ho visto i sacrifici che hanno fatto per farmi giocare con i ragazzi del Flamengo. Ho visto mia madre e mia nonna piangere il giorno in cui portai a casa il mio primo stipendio (750.000 lire ndr). Nelle favelas c’è povertà, la gente non sa come fare a sopravvivere, i ragazzi giocano con le biglie di terracotta e con la palla, ma ho visto anche bambini con le armi in mano e molti hanno i coltelli per giocattolo. Il mio mondo per anni è stato un campo tra le case fatte di legno e cartone. Poi un giorno mi hanno chiamato per andare alla scuola di calcetto del Flamengo. A undici anni ero terzino sinistro. Gli altri ragazzi mi invidiavano, era difficile tirare avanti, i soldi per andare agli allenamenti erano un problema. Ho imparato a non mollare, a camminare a testa alta. Giurai a me stesso di portare mia madre via di lì, di darle una casa vera [...] Gilmar Rinaldi, che faceva il portiere nel Flamengo, mi ha insegnato a mettere i soldi in banca, a stare attento nelle spese. [...] Io ho avuto fortuna, ho incontrato le persone giuste. Prima la mia famiglia, poi Carpegiani che mi ha portato al Flamengo, infine Zagalo che mi ha ripetuto mille volte di non avere fretta, di imparare, di stare calmo. Io ho pazienza, ma non mi accontento mai. Mi hanno raccontato che ci sono tanti ragazzi bravi con il pallone che si perdono per strada. Io voglio farcela, voglio imparare e so che solo lavorando tanto si ottiene qualcosa» (Gianni Piva, “la Repubblica” 17/8/2001).