Varie, 8 febbraio 2002
AGLIERI Pietro
AGLIERI Pietro Palermo 6 giugno 1959. Mafioso. Arrestato il 6 giugno 1997 • «Braccio destro del boss dei boss, capo della famiglia di Santa Maria di Gesù [...] detto “’u signurinu”, per via del nonno che soleva andare in calesse tra le trazzere di quella borgata vestito di bianco di tutto punto e per via dei suoi modi da gentleman. Ma anche perché non si è mai sposato [...] Numero due di Cosa nostra, ex seminarista diventato killer e capo della mafia, mafioso che passava le sue giornate di latitante leggendo i libri di Edith Stein, la suora teologa ebrea ammazzata dai nazisti. Lo avevano cercato per otto anni, e come spesso accade in questi casi pare che sia sempre rimasto lì a due passi, nascosto nei dintorni di Palermo. Pare anche che dal suo covo abbia continuato a svolgere il suo ruolo nella cupola mafiosa [...] Era diventato capomafia di Santa Maria di Gesù nel 1989, quando Francesco Marino Mannoia, il “pentito americano”, lo indico come l’erede dei fratelli Pullarà. Eredità che ricevette a 29 anni. Figlioccio di Binnu Provenzano e, in un primo tempo, fedele alleato di Toto Riina, secondo le ricostruzioni offerte da molti pentiti era il capofila dell’ala morbida della mafia: quella propensa al compromesso con lo Stato, contraria alla strategia violenta degli anni Novanta. Per Totò Cangemi, principale pentito dei processi per le stragi, è invece “uno dei ‘diavuluna’ più sanguinari e vicini a Riina”. È stato condannato in primo grado tra gli autori degli eccidi di Falcone e Borsellino. Ma l’unico ergastolo che attualmente sconta è quello rimediato per l’omicidio di Benedetto Grado, avvenuto nel 1983, che fu il suo battesimo come boss. Un delitto famoso, più che per la vittima, per una fotografia: la madre e la figlia già vestite di nero, l’uomo ucciso coperto da un candido lenzuolo. Uno scatto che fece il giro del mondo per promuovere le magliette colorate della Benetton. Fu un altro delitto a causare la rottura con Totò Riina: si rifiutò di sparare, per vendetta trasversale, a un parente di Totuccio Contorno, altro pentito sotto tutela americana. Aveva preparato tutto per l’agguato, insieme al complice Ino Corso, ma al momento di sparare vide che la sua vittima aveva una bambina in braccio”. “Avresti dovuto sparare anche a lei, porta quel cognome”, pare gli abbia urlato Riina. E lui, con tono asciutto e in italiano: “Non solo non l’ho fatto, ma non lo farò mai”. Subito dopo andò a rifugiarsi sotto l’ala protettiva di Bernardo Provenzano. È conosciuto come uno di poche parole. Un riflessivo. Da quando è stato arrestato ha soltanto detto: “Sono Pietro Aglieri. Il mio avvocato è Rosalba Di Gregorio”. Poi il silenzio. Mai una parola in aula, mai un’espressione che tradisca il suo pensiero. Quando viene interrogato risponde in un solo modo: “Mi avvalgo della facoltà di non rispondere”. Soltanto una volta chiese di fare una dichiarazione spontanea per difendere un tale Tornatore, accusato di essere il suo vivandiere durante la latitanza: “Ha favorito me, non ci sono dubbi. Ma non per quel ruolo che mi viene attribuito, ma perché mi considerava uno che stava sempre rinchiuso e mi vedeva pregare” [...] Anche durante la latitanza parlava soltanto con quei due-tre preti che andavano a trovarlo. Del carmelitano parroco dell’antico quartiere arabo della Kalsa si è subito saputo. Anche perché padre Frittitta è stato rinchiuso in galera, processato, condannato in primo grado e assolto in secondo con grande clamore [...] “Quando lo incontrai vicino a Bagheria rimasi ammutolito davanti a quell’uomo esile, emaciato – ha raccontato Frittitta al suo processo – Mi disse semplicemente: sono Aglieri. Non riesco a dimenticare la sua intelligenza. Abbiamo parlato di teologia e filosofia. È un uomo debole ma determinato. Aveva letto centinaia di libri, discuteva di mistica. Pregava sette ore al giorno, digiunava due volte alla settimana”. Quando venne catturato i poliziotti trovarono almeno duecento libri e neanche un’arma. Fecero l’elenco nel rapporto, titolo per titolo. I miei pensieri di Santa Teresa di Lisieux, È magnifico essere uomini di Kierkegaard, La via di un pellegrino, il famoso testo spirituale di un anonimo russo, Diario di un curato di campagna di Bernanos, la biografia di Santa Teresa d’Avila. Ma soprattutto i testi di Edith Stein: La scelta di Dio, La mistica della croce, Il mistero del Natale, I sentieri della verità [...] Può un boss e uno stragista leggere e amare i libri della teologa ebrea, fattasi carmelitana e uccisa a Auschwitz? Di lei pare condivida motlo soprattutto i tormenti prima della conversione, quando lei scriveva: “Nel profondo sono convinta che si produrrà un qualche avvenimento che butterà a mare tutti i miei progetti. Il riposo in Dio è qualcosa di nuovo e completamente irriducibile. Prima era il silenzio della morte. Al suo posto subentra un senso di intima sicurezza, di liberazione”. Tra i duecento libri che gli hanno poi restituito, c’è anche un piccolo volume, Brace di sale, scritto da un padre palermitano, padre Giacomo Ribaudo, parroco della Magione, la chiesa del quartiere più degradato della città. Dove nacquero Falcone e Borsellino. Un prete controcorrente che pur intervenendo con durezza sulla mafia si considera garantista e spesso si è presentato ai dibattiti di Forza Italia [...] Si erano conosciuti in seminario a Palermo [...] La pecorella (o “’u diavuluni”?) avrebbe voluto costituirsi in chiesa. C’era quasi riuscito. Erano stati giorni di trattative segrete e febbrili. Iniziate dietro un confessionale. Così ha raccontato un sacerdote vicino al cardinale Pappalardo, e che ha sempre mantenuto l’anonimato. Era il Natale 1996. “Una persona in confessionale mi disse che aveva conosciuto un uomo che voleva convertirsi. Mi chiese se potevo fare qualcosa”. Poco prima di Pasqua un secondo incontro: “Aglieri mi chiese se potevo celebrare per lui e qualche altro ragazzo una messa. Risposi che dovevo chiedere il permesso all’Arcivescovo. Aggiunse che voleva trascorrere un mese in monastero. Non aveva più voglia di nascondersi né di scappare” [...] La trattativa era stata portata avanti mentre era ancora vescovo il cardinale Pappalardo. Che lasciò Palermo una settimana prima del previsto. Il nuovo pastore della Chiesa palermitana, monsignor De Giorgi, non continuò su quella strada. Era convinto di quanto scrivevano i preti dell’antimafia sulla rivista “Segno”: “La chiesa ai mafiosi non può offrire conforti religiosi ma solo sconforti evangelici” [...] L’anno precedente il suo arresto il quotidiano inglese “The Guardian” lo aveva inserito, unico italiano, tra i personaggi che avrebbero segnato il 1996. Quando fu arrestato, ne pubblicò la foto in copertina. Una ragazza di nome Janine la vide e se ne innamorò. Per un anno gli scrisse da Londra. Quel viso l’aveva colpita» (Marianna Bartoccelli, “Il Foglio” 4/2/2001).