Varie, 8 febbraio 2002
AGNELLI Marella
AGNELLI Marella (Caracciolo) Firenze 4 maggio 1927. Principessa di Castagneto. Moglie di Gianni (matrimonio il 19 novembre 1953). «Si erano sposati qualche settimana dopo due loro cari amici americani: John Kennedy e Jacqueline Bouvier. Nozze nella cappella di Osthoffen, un castello vicino a Strasburgo, un matrimonio elegante ma senza fasto. Gianni Agnelli è in tight e si appoggia a un bastone per i postumi dell’incidente stradale in Costa Azzurra. Lei, aristo-model ma anche fotografa di ottima famiglia e studi cosmopoliti, indossa un abito di moiré bianco, sobrio quanto chic. Sobri e chic: è la loro cifra comune, il loro emblema. Una vita con ampi spazi di libertà reciproca. Sono spesso lontani, ma accorciando le distanze e azzerando le difficoltà logistiche sono spesso anche insieme. Fra loro un patto di complicità. Lui ha alle spalle lunghe e vorticose serate mondane. “A me quello che piace sono le macchine veloci, il tappeto verde e le belle ragazze”. I rotocalchi lo mostrano sorridente accanto a playboy con nomi da canzone di Fred Buscaglione: Baby Pignatari, Porfirio Rubirosa, l’Aga Khan. Le donne che siedono ai loro tavoli sono Lauren Bacall, Linda Christian, Rita Hayworth. Faceva l’indossatrice e la modella anche la principessa Marella Caracciolo, mannequin come altre nobildonne del suo tempo, Mimosa Pignatari, Vivina Montezemolo. Nel ’50 va a New York dove posa per “Vogue” ma si annoia tremendamente in quel lavoro in cui bisogna soltanto essere belle, e presto diventa l’assistente del fotografo Erwin Blumendfeld. Richard Avedon rimane incantato dalla sua grazia altera e flessuosa. Truman Capote dirà: “Ha il collo più lungo e aristocratico che mi sia capitato di vedere”. Nel ’52 torna in Italia e rincontra Gianni Agnelli. Non è un colpo di fulmine il loro, se l’Avvocato, tendenzialmente poco romantico, non rammenta né il come né il dove: “Era amica delle mie sorelle minori, dovessi dire dove e come l’ho incontrata non ricordo, ma certamente a Roma, subito dopo la guerra”. Una vita costruita insieme facendo della riservatezza una religione, un patto di mutuo soccorso. Sono rarissime le interviste che la schiva Marella concede: “Di che cosa dovrei parlare? Della mia privacy? Non sarebbe giusto, perché non appartiene solo a me”. […] “Sono stata gelosa a lungo - racconterà - Poi uno comincia a ragionare e a cercare di capire. Dov’è il pericolo? mi sono chiesta. Perché trovare appigli per rovinare tutto, e in particolar modo se stessi?... E allora ci si rende conto che non ne vale la pena. Erano cose poco importanti, e sempre molto brevi”. Giusto: Marella non è mai stata in pericolo, non è mai stata messa in discussione. Lo teorizzerà lo stesso Avvocato: “La famiglia è molto importante, nel senso della continuità, all’indietro e nel futuro. Si può far tutto, ma la famiglia non si può lasciare”. […] A legare lui e Marella è il fatto che hanno la stessa estrazione e la stessa educazione, il medesimo allenamento a nascondere le emozioni, la stessa eleganza del gesto, quella scioltezza che rivela un’abitudine familiare all´agio, alla ricchezza, al potere. Ma a tenerli insieme, con i privilegi, sono soprattutto le affinità elettive. Traspare dal modo in cui Marella racconta come insieme hanno sempre scelto i quadri della loro formidabile collezione privata, i Manet, i Tiepolo, i Bacon, i Balla, riuniti ora nella Pinacoteca del Lingotto: “Non abbiamo seguito criteri particolari. A guidarci è stato il puro piacere. Delight, direbbero gli inglesi. Mio marito non è un collezionista, lo definirei piuttosto un esteta. Il guardare, come l’ascoltare musica, o il leggere dei buoni libri, è una via d’accesso alla spiritualità”. Marella brilla per sottrazione, per antipresenzialismo. Negli Usa, dove vince un Oscar del disegno per le sue stoffe d’arredamento, più che in Italia - dove nessuno oserebbe - viene di tanto in tanto invitata in tv ma la risposta invariabilmente è no: “Ho sempre rifiutato, con la fermezza di una roccia. Mi disturba perfino pensarci”. Essere tanto inafferrabile, così appartata, la rende ancora più preziosa, rende più inaccessibile il suo stile al fianco di un re senza corona: “Farsi notare non è elegante - sottolineerà – L’eleganza è passare inosservati. Parlare poco, mostrarsi poco. Non esibirsi”. Lei si esibisce solo per la famiglia, nelle case disseminate nel mondo: l’appartamento di Park Avenue, lo chalet Alcyon di Saint Moritz, la casa romana dirimpetto al Quirinale arredata con i multipli di Marilyn Monroe dell’amico Andy Warhol, l’ex convento di Calvi dal giardino coltivato solo a fiori bianchi, Villa Frescot a Torino ma soprattutto la magione della dinastia Agnelli a Villar Perosa, dal solenne parco che lei stessa ha ridisegnato assieme a Russell Page. “Nella mia vita non ho mai potuto dimenticare di essere moglie, nemmeno per un attimo”. Ormai sono due coniugi collaudati, non c’è quasi più bisogno di parlare: “Si sta bene persino in silenzio - dirà Marella - perché basta un cenno per capirsi”. E lui: “Viviamo insieme da una vita. Come si fa ad essere amici? È di più, molto di più. È un pezzo di me stesso”. Sangue blu e pollice verde. La passione di donna Marella per il giardinaggio, che si è materializzata in quattro libri fotografici, l’ha sempre impegnata in una solitaria ricerca di armonia: “Non c’è stata angoscia, noia, irritazione che i miei giardini non siano riusciti a consolare. Come certi giardini medievali, hanno una funzione di ritiro, di lenimento, di ricarica”. Parole pronunciate prima del suicidio del figlio Edoardo, l’erede troppo fragile per essere protetto. Una disgrazia che ha unito ancora di più, nel silenzio delle emozioni occultate, i coniugi Agnelli, facendone una coppia per sempre solida» (Laura Laurenzi, “la Repubblica” 26/1/2003). «Dita minuscole di giardiniera, il suo hobby preferito: coltiva i suoi fiori e poi li fotografa, oppure li fa seccare, o tutte e due le cose. Un modo per far durare la bellezza, per dare tempo a ciò che ha vita breve. Un suo libro s’intitola Il giardino segreto, e nell’aggettivo è detto tutto. […] C’è anche una rosa che porta il suo nome, è nei libri, si chiama “donna Marella Agnelli”: rosa chiarissimo il colore, assai tenue il profumo, così recitano le schede. E c’è il suo nome in molti comitati di solidarietà e volontariato, nella giuria del premio letterario “Giardini Hanbury”, nella presidenza della “Società di Studio per i disturbi della personalità”. […] Il giorno del matrimonio ad Osthofen, vicino a Strasburgo, lei indossava un abito di moire bianco che fece epoca, lui aveva già il bastone per via di un incidente automobilistico in Costa Azzurra. Bellissima principessa napoletana è stata la donna paziente, colta e silenziosa che ha accompagnato Giovanni Agnelli per mezzo secolo» (Maurizio Crosetti, “la Repubblica” 26/1/2003).