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 2002  febbraio 08 Venerdì calendario

Agnelli Umberto

• Losanna (Svizzera) 1 novembre 1934, Torino 27 maggio 2004. Magnate. Presidente della Fiat (dal 2003, in sostituzione di Paolo Fresco). Dal 1970 al 1976 è stato amministratore delegato della Fiat, dal 1976 al 1979 senatore Dc, dal 1976 al 1993 vicepresidente Fiat, dall’89 al 1993 presidente della Toro Assicurazioni, poi vicepresidente e amministratore delegato dell’Ifi, amministratore delegato dell’Ifil. Il figlio Giovanni Alberto, erede designato dell’impero Fiat, morì di cancro nel 1997. «Il terzo Agnelli alla presidenza della Fiat in poco più di cent’anni. Dopo il nonno fondatore dell’impero e il fratello Gianni, conquista quella poltrona di comando che avrebbe potuto occupare da tempo e che gli era stata sottratta più volte dai giochi di potere di banche e uomini. Ci arriva a sessantotto anni e in un momento, forse il più difficile della storia dell’azienda. Assume un comando che ha rincorso a lungo e che ora gli viene consegnato più dal destino che dagli uomini. Adesso deve pilotare la Fiat fuori dalla crisi, sottraendola a una fine ingloriosa, assicurando la continuità della famiglia e cercando di evitare quel divorzio tra l’azienda e Torino - forse tra l’azienda e l’Italia - che da un paio d’anni aleggia, un’ombra minacciosa, su tutta la complessa vicenda del Lingotto. […] Lui, il “dottore” come lo chiamano nel quartier generale di Ifi e Ifil di Corso Matteotti, tutto questo forse non l´aveva messo in conto. Ci aveva pensato forse un tempo ma quando ancora la sceneggiatura del caso Fiat sembrava essere un’altra. E se oggi ci ripensa la sua mente arretra nel tempo a una sera di novembre del 1984, quando nella villa dei Roveri affogata nel verde della Mandria, festeggiò i suoi cinquant’anni. Quella sera, alzando il bicchiere per brindare, l’Avvocato lo indicò a tutta la famiglia come suo successore alla presidenza della Fiat. Poi l’itinerario venne modificato e al comando si avvicendarono Cesare Romiti e Paolo Fresco. Umberto Agnelli si allontanò con discrezione, senza rumore, si fece da parte. Quando Mediobanca oppose il veto alla sua nomina lasciò la Fiat ma non si ritirò a vita privata. Un suo collaboratore che gli è da lungo tempo vicino e lo conosce bene ricorda che lui “come un ufficiale sabaudo ha scelto di continuare a lavorare per la Fiat e per la famiglia”. In realtà quando lascia la Fiat Umberto Agnelli non si fa sfiorare dalla tentazione di abbandonare Torino. Curiosamente sceglie di tornare a lavorare in Corso Matteotti già residenza della famiglia all’epoca dei nonni. Qui il “mancato presidente” mette in atto la strategia che trasformerà la piccola Ifil di cui sarà a lungo presidente e amministratore delegato in una società dagli interessi spiccati per la diversificazione, un piccolo patrimonio iniziale che diventerà un motore capace di produrre profitti (da 30 a 350 miliardi di vecchie lire di utili in una dozzina d’anni) che serviranno con gli anni anche a sostenere la casa madre in difficoltà. In quarant’anni ha concentrato il suo impegno in Fiat e fuori. Presidente di Fiat Sai, Fiat France e Piaggio sul piano operativo, vicepresidente e amministratore delegato di Fiat e presidente di Fiat Auto su quello manageriale, senatore come indipendente nelle file della Dc, attività e incarichi che non gli hanno impedito di assolvere altri importanti ruoli in organismi internazionali. Senza mai dimenticare quella passione chiamata Juventus. Due matrimoni e tre figli (Giovanni, Andrea e Anna), dopo il tramonto della sua presidenza annunciata s’illude che il figlio Giovannino possa sedere sulla poltrona a lui negata, ma è un´illusione che finisce tragicamente nel dicembre 1997: Giovannino muore giovanissimo interrompendo quella speranza appena abbozzata di continuità della famiglia nella gestione. E tocca all’Avvocato, anziano patriarca, tenere assieme il clan sforzandosi negli ultimi anni di costruire un futuro per una generazione di nipoti ancora poco più che ragazzi. Alla presidenza della Fiat c’è Cesare Romiti e dopo di lui arriverà Paolo Fresco. Umberto non sembra coltivare più un progetto di impegno diretto come presidente, tant’è che si pensa a John Philip, figlio di Margherita e Alain Elkann, come delfino del nonno Gianni e futuro rappresentante della famiglia. Poi la situazione precipita e nell’annus horribilis 2002 la crisi della Fiat va a incrociare con la malattia dell’Avvocato. Questa volta il rischio del disimpegno della famiglia diventa una minaccia e dal letto di una clinica di New York l’Avvocato affida alla sorella Susanna il consiglio di stringersi attorno a Umberto come garante della continuità. E´ l’investitura, quella vera. Il “dottore” per la prima volta dopo oltre dieci anni di esilio si rende conto che è arrivata l’ora di tornare al Lingotto. Da presidente. Con la cautela e la discrezione che fanno parte del suo bagaglio personale comincia a tessere la sua tela e lo fa anche all’interno della famiglia dove non tutti sentono allo stesso modo l’impegno della continuità. Lui sa che la Fiat è Torino e Torino è la Fiat, è consapevole che non si possono gettare al vento cent’anni di storia dell’industria italiana. E sa anche che molto dipende da lui» (Salvatore Tropea, “la Repubblica” 26/2/2003). «Dopo un’esperienza alla Piaggio, approda in Fiat nel 1968. Giovanissimo è stato presidente della Juventus e della Federazione Italiana Calcio e a Parigi ha guidato Fiat France. A Torino assume la guida di tutte le attività estere della Fiat di cui nel ’70 diventa amministratore delegato, ruolo che mantiene per un decennio condividendolo nella parte finale con Romiti. Alla vigilia della stagione che si concluderà con la marcia dei 35 mila nell’autunno ’80 comincia il suo distacco dalla Fiat romitiana che viene interpretato, non senso un fondamento di verità, come una sorta di disaffezione al settore automobilistico […] Un matrimonio con Antonella Bechi Piaggio da cui nasce Giovanni Alberto e poi seconde nozze con Allegra Caracciolo da cui ha avuto i figli Andrea e Anna» (Salvatore Tropea, “la Repubblica” 25/1/2003). «Modesto, riservato, ha metodo e senso del dovere. È un gran lavoratore. E poi ha dentro una grande voglia di cambiare, mentre Gianni è un conservatore, un vero Gattopardo» (Carlo De Benedetti). «Alla metà degli anni 90, dal suo “esilio” alla testa delle finanziarie di famiglia, Ifi e Ifil, ha costruito i presupposti di una solida diversificazione all’estero. Lontano dai clamori della scena, ha lavorato per procurare alla famiglia valide alternative industriali e finanziarie: l’ingresso nel San Paolo e l’alleanza con la Deutsche bank nella battaglia per il controllo della Comit dicono che il suo sforzo ha avuto buon esito» (Paolo Madron, “Panorama” 29/10/1998).