varie, 8 febbraio 2002
AGOSTINI Giacomo
AGOSTINI Giacomo Brescia 16 giugno 1941. Ex motociclista. Sportivo italiano dal curriculum inarrivabile: in moto, è il migliore di tutti i tempi. Campione del mondo della classe 500 nel 1966, 1967, 1968, 1969, 1970, 1971, 1972 (su M.V. Agusta) e 1975 (su Yamaha); campione del Mondo della classe 350 nel 1968, 1969, 1970, 1971, 1972, 1973 (su M.V. Agusta) e 1974 (su Yamaha), si è imposto in 123 Gran Premi. Esordio nel 1961 alla Trento-Bondone su Morini Settebello 175 (2°). Con la 250 della casa bolognese debuttò nel mondiale 1963 a Monza (ritirato). Detiene il primato di vittorie consecutive nella stessa classe (20, nella 500), di vittorie nello stesso anno (19, nel 1970). Ha tentato senza fortuna la carriera di pilota automobilistico, nel 1978 in Formula 1, nel 1979 in Formula Aurora (l’attuale Formula 3000). Da team manager ha conquistato tre mondiali 500. «Di famiglia agiata [...] ha rivelato molto presto quelle eccezionali doti di pilota che nel 1962, a cavallo di una Morini, lo avrebbero portato a conquistare il titolo di campione d’Italia juniores di motocross [...] Al rigore professionale ha saputo integrare il senso dell’innovazione tecnica e un fiuto per gli affari che all’epoca, e in un ambiente molto chiuso, risultavano ancora del tutto nuovi. Avendo compreso primo fra tutti l’importanza della sponsorizzazione, facendo pubblicità con il proprio abbigliamento avrebbe fatto fortuna, riuscendo anche a investire bene il proprio denaro [...] Idolo delle folle, considerato un mito dai tifosi italiani, ha saputo tuttavia mantenere i piedi ben saldi sul terreno [...] Nell’ambiente non era ben visto da tutti. Un suo grande rivale, l’inglese Phil Read, non nascondeva affatto l’opinione che aveva di lui: “Come pilota è fantastico, in anticipo rispetto ai tempi, ma come uomo non riesco ad apprezzarlo. Spingere la brama di vincere fino al punto di ignorare ogni altra cosa, tutto ciò che fa parte della vita, significa nascondere il vuoto sotto una maschera d’oro…”» (Jean Boully, I grandi dello sport). «Erano altri tempi. Read fu scorretto una volta a Vallelunga, nel 1968: Phil guidava la Yamaha, io la Mv. Eravamo quasi affiancati, Read leggermente avanti, mi spinse verso l’esterno, dove c’era la roccia, fui costretto a chiudere il gas. A fine gara un mio amico, che vide l’episodio, andò autonomamente con modi e maniere adatti a chiarire a Read che certe cose non si facevano. E non le ha più fatte […] Read era un po’ scorretto perché se si arrivava in frenata assieme, tendeva ad allargare le gambe e a crearti qualche problema toccandoti. Era sempre polemico con me, ma amava anche scherzare. Per esempio una volta a Cascina Costa, dopo aver incontrato il conte Agusta, mi fece vedere un enorme pacco di soldi, erano tanti. Scoprii poi che c’era solo qualche banconota sopra ed il resto era cartaccia. Sapeva che i soldi mi piacevano e si divertiva a farmi soffrire. Raccontava in giro che era pagato più di me. Questo mi è stato utile, perché poi a mia volta chiedevo più soldi […] Ora Read con me è molto gentile. Qualche tempo fa quando ho compiuto gli anni mi telefonò il giorno dopo scusandosi per il ritardo. E su un giornale inglese ha dichiarato recentemente che sono stato il più grande”» (Giancarlo Falletti, “Corriere della Sera” 16/7/2002). «A nove anni cominciò a vincere le gimcane negli oratori della Valcamonica e a sentir parlare, “il lunedì, attraverso la Gazzetta”, di gente inglese che vinceva cose chiamate gran premi [...] L’era di Agostini porta in tv le prime dirette: “Trasmettevano Monza, Imola, a volte Assen”. L’emozione più grande è la gara del ‘64 nel catino di Daytona, “ma non entrai nei primi sei”. La sua Mv Agusta a 5 cilindri, con motore stretto, maneggevole e neppure così potente, viene affidata al meccanico Ruggero Mazza, oggi 75 anni: “Smontava la moto da solo, andava al banco e iniziava a limare a mano i cilindri”» (Corrado Zunino, “la Repubblica” 3/11/2001). «Avrò avuto 9 anni. Rubai il Galletto di mio padre, segretario comunale a Cividate Camuno. Arrivai in piazza tronfio, orgoglioso: ma ero troppo piccolo per toccare con i piedi per terra e quando feci per fermarmi caddi davanti a tutti. Che vergogna! [...] Il mio primo motorino, un Bianchi Aquilotto con la trasmissione a rullo. La notte prima del ritiro non riuscii a chiudere occhio. Mi alzai all’alba, andai davanti al negozio del concessionario aspettando a lungo l’orario d’apertura. Poi, entrato in possesso dell’oggetto dei miei sogni, me ne stetti in giro tutto il giorno. Nemmeno mangiai. A casa, sapendo che ero andato a ritirare il motorino, e non vedendomi di ritorno erano disperati. Avrò avuto meno di 11 anni. Quando tornai furono sberle, sacrosante. E il motorino rimase a lungo sequestrato [...] Io sognavo la velocità, papà non ne voleva sapere. Arrivai al compromesso facendomi regalare una Parilla 125 da fuoristrada. La mia prima vera motocicletta [...] Mi appostavo sui tracciati dove si allenavano i campioni del fuoristrada, poi mi mettevo alle loro spalle: loro aprivano il gas, ma non riuscivano a staccarmi. Si stupivano, mi chiedevano chi fossi. “Agostini Giacomo, posso seguirvi ancora?”. E li bastonavo. Avevano moto più potenti della mia e io ero un ragazzino di nemmeno 14 anni, però non riuscivano a staccarmi [...] Sognavo una Ducati 125 o 175, troppo veloce per i gusti di mio padre. Dovetti accontentarmi di una Guzzi Lodola 175, più docile e meno potente. Con quella cominciai a fare delle gincane. La prima fu a Pisogne, sulla sponda bresciana del Lago d’Iseo. Io non volevo partecipare, mi vergognavo. Italo, l’amico che era con me, cercava di convincermi. Poi vidi che tra i partecipanti c’era anche uno del paese, senza una gamba. Poverino, pensai, però almeno uno lo batto. Mi buttai e vinsi. Cominciai la mia carriera da gincanista: ogni domenica un paese diverso, una nuova gara. Io correvo, Italo faceva da manager. Anzi da compare. Entravamo nei bar frequentati dai motociclisti con le Ducati, Gilera e Morini, tutte moto più veloci della mia Lodola. Italo attaccava discorso, poi lanciava la sfida, la scommessa: 5.000 lire al vincitore. Abboccavano: impossibile pensare che quel ragazzino, io, sulla Lodola, potesse stare davanti. E invece, mai uno che mi superasse sulla strada tutta curve del Lgo d’Iseo: da Lovere, il mio paese, a Sarnico [...] In seguito non ho più avuto un manager, è utile ma non indispensabile [...] Qualche volta fu problematico [...] come quando dovetti dimettermi dalla Morini per passare alla MV, a fine ’64. Ero in profondo imbarazzo davanti al commendator Morini che cercava di convincermi a restare con loro. Teneva in mano il blocchetto degli assegni, mi abbracciava, mi chiedeva incredulo se veramente volevo andare via. Io avevo un groppo alla gola nel “tradire” chi mi aveva dato la possibilità di emergere. Ma volevo assolutamente partecipare e vincere nel mondiale. E con la Morini non sarebbe stato possibile. Era stato il conte Domenico Agusta in persona a dire ad Artuto Magni, il “diesse” della MV, di contattarmi dopo la mia vittoria al circuito di Varese. Il conte voleva un pilota italiano per la nuova 350 a tre cilindri. Fissarono un appuntamento per le cinque del pomeriggio. Il conte mi ricevette dopo avermi fatto fare anticamera per cinque ore. Volevo andarmene a casa. Magni mi convinse ad aver pazienza. Entrai, emozionato, nello studio del conte, poco illuminato, pieno di coppe e trofei. Lui in fondo, dietro la scrivania, sistemata in alto, su una pedana. Come una cattedra della scuola. Non alzò nemmeno lo sguardo. Chiese: “Tu chi sei?”. “Agostini”. “Sì, ma cosa vuoi?”. Risposi di botto: “Voglio correre”, “Ma sei capace di andare in moto?”, e allora sbottai in un: “Mi provi!”. Così lui disse ad Arturo di provarmi a Monza, in una sorta di slalom tra birilli [...] Superato il test, firmai il contratto, per la metà dei soldi che alla Morini [...] Per fortuna ho avuto pochi incidenti: la clavicola fratturata ad Anderstop nel 1974, che mi costò il titolo, la scivolata a Misano in allenamento nel 1973. Ebbi un muscolo lesionato, fu necessario un piccolo trapianto. Ma il volo più pauroso fu al Sachsenring: fuori a 200 orari in una scarpata. Fui fortunato a fratturarmi solo il setto nasale [...] Sono stato felice di aver incontrato tutti quelli che si sono schierati contro di me [...] Non capivo chi usava metodi poco corretti per vincere. Diciamolo: Phil Read era tremendo. Eppure quando ci incontriamo alle rievocazioni storiche, stiamo insieme volentieri. Il migliore era Hailwood. Mi è rimasto nella mente e nel cuore, perché era grande anche dal punto di vista umano [...] Mi ha insegnato un sacco di cose [...] Era un amico [...] Alle quattro ruote sono passato tardi. Avrei potuto farlo prima: nel 1969 provai la Ferrari a Modena e fui velocissimo. Enzo Ferrari mi disse: “Quando vorrà, per lei una macchina ci sarà sempre”. Non me la sentii di lasciare la moto» (Carlo Canzano, “La Gazzetta dello Sport Magazine”, n. 16/1999).