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 2002  febbraio 08 Venerdì calendario

AGROPPI Aldo

AGROPPI Aldo Piombino (Livorno) 14 marzo 1944. Ex calciatore. Allenatore. Ha giocato 250 partite in serie A segnando 16 gol. Vanta cinque presenze in nazionale, esordio il 17 giugno 1972, Romania-Italia 3-3. Ex allenatore. Commentatore tv. Dirigente del Livorno. «Toscano verace e dalla lingua pungente trascorre la carriera “extra moenia”: e non è profeta in patria nemmeno quando allena lui la Fiorentina. Fa la gavetta a Terni e a Potenza, , poi passa una vita in granata, con l’alloro di due Coppe Italia, e lascia il Toro, con infelice tempismo, l’anno prima dello scudetto firmato Radice. È un mediano con i piedi da mezzala, o una mezzala con il fiato da mediano: comunque, un intelligente capomastro di metà campo. Di personalità forte e spiccia, sul terreno e fuori, non si piglia molto con i grandi centrocampisti del tempo: l’esperienza in nazionale è breve anche perché si mormora che Rivera non lo ami lui spesso rilancia il gioco “bypassando” il “golden boy” che invece esige palle giocabili. Presto bruciato come allenatore, (ri)diventa famoso come commentatore televisivo: grazie alla vis polemica e alla proprietà di favella, è il lavoro che gli riesce meglio [...] Come allenatore ha un promettente avvio di carriera: le squadre giovanili del Perugia, il Pescara in serie B, la promozione in A con il Pisa, di nuovo il Perugia, il quarto posto con la Fiorentina nel 1986 e poi la parabola discendente: inattività ed esoneri, gli inutili tentativi di evitare la retrocessione con l’Ascoli nel 1990 e la Fiorentina nel 1993. Uomo di sincerità disarmante, tradito da falsi amici, lentamente emarginato dal grande calcio. Opinionista alla tv, escluso dopo un litigio con l’allenatore della Juventus Lippi. Sua frase celebre: “Il calcio non è da tutti”» (Dizionario del calcio italiano). «[...] È stato calciatore nella Ternana, nel Potenza, nel Torino (otto stagioni, due Coppe Italia vinte), nel Perugia. Ha giocato cinque partite nella Nazionale di Ferruccio Valcareggi. È stato allenatore in serie B del Pescara, del Pisa, del Perugia, del Padova, ancora del Perugia; in serie A della Fiorentina, del Como, ancora della Fiorentina. Lo chiamano il Don Chisciotte di Piombino o anche Pierino la peste. [...] Ha avuto la fortuna di avere un padre onesto, racconta: “Ha lavorato in fabbrica ed è stato rappresentante di medicinali. Era un ‘legno storto’: un uomo tutto d’un pezzo. Le regole morali erano il suo credo quotidiano. Sono felice di averle imparate e rispettate. Anch’io al di sopra di tutto metto la correttezza, la lealtà, la sincerità: valori che mi hanno permesso di combattere a viso aperto ogni forma di corruzione e di oppormi a qualsiasi situazione balorda [...] Era il 1967, avevo 23 anni, giocavo in serie B nel Potenza. Decido di sposare una ragazza di Piombino di 21 anni, Nadia. Lui non vuole neanche sentirne parlare: non perché abbia qualcosa contro la mia fidanzata, ma vede nel matrimonio un freno alla mia carriera. Non lo ascolto: so che, sposandomi, inquadrerò la mia vita su binari molto sereni. E il babbo non viene alla cerimonia. Dopo 40 anni sto ancora con mia moglie; ho due figli, uno di 39, uno di 35 anni; due nipotini, di 7 e di 5. Il matrimonio è stata la mia fortuna. Ho trovato una donna perbene che non mi ha mai disonorato: una casalinga che mi ha aiutato nei momenti difficili e ha saputo fare la mamma. Quando il babbo si è accorto che Nadia era il mio bastone, mi dava la fiducia e la serenità necessarie per affrontare la professione, si è riavvicinato e tutto si è ricompattato [...] Ero tifoso dei bianconeri, da ragazzino: il mio idolo era Sivori e la gioia più grande, da calciatore, l’ho provata in un Napoli - Torino marcandolo a tutto campo. [...] mi sono convinto che i risultati non sempre avvengono sul campo: si decidono anche molto tempo prima e sono determinati da chi ha più potere [...] Allora mi sono rivolto dalla parte del proletariato: la razza padrona non era per me. Ho cancellato la Juve. E ne vado orgoglioso. Soprattutto oggi [...] La Rai. La Fininvest. Mettendosi in casa il sottoscritto, si mettono in casa dei problemi. Non sono più bravo degli altri: faccio una televisione diversa. Per far capire e rendere un servizio al pubblico, vado a ruota libera e contro chiunque. Non è detto che abbia sempre ragione: porto avanti la mia verità e lascio il giudizio ai tifosi... Vedo degli opinionisti banali, scontati, tranquillizzanti: o non hanno le capacità o, se le hanno, non vogliono disturbare per mantenere il posto di lavoro. Sportivamente e Dribling, le ultime trasmissioni televisive che ho fatto alla Rai, hanno avuto un ottimo ascolto: con poca spesa e nonostante si dovessero misurare con Maurizio Costanzo e Porta a porta . Ma sono stato messo da parte. Se, per esempio, mi chiedono dell’Inter, come faccio a parlarne bene? Dovrei essere o un incompetente o un ruffiano. Siccome non sono né l’uno né l’altro, devo dire delle verità scomode. La società il giorno dopo fa le sue rimostranze perché la verità non la vuole sentire nessuno. Alla scadenza, il contratto non mi viene rinnovato. Ho fatto ascolto, ma ho creato problemi. E nessuno ne vuole, nessuno vuole mettersi contro le grandi firme e i grandi potentati. Adesso collaboro con alcune televisioni private di Firenze e di Livorno. Dico quello che penso, me lo lasciano dire, mi trovo bene [...] l’ultima esperienza alla Fiorentina, nel 1993. Mi sono accorto che non ero più un allenatore. Se avessi continuato, avrei rubato lo stipendio; soprattutto avrei rubato gli anni della vecchiaia a me stesso. L’ansia, le notti insonni prima di una partita, la pressione quotidiana, la tensione mi avevano reso schiavo del calcio e del sistema. Avevo perduto anche la famiglia, perché il calcio che intendevo io non mi dava più tregua. Non era corretto continuare. Era doveroso fermarsi per riflettere: e così ho fatto. Mi sono ritirato: rinunciando a facili guadagni e a un mondo comunque affascinante. Ho detto basta a malincuore. Ma lucidamente: ‘Se non alleno mi manca la panchina, se alleno mi manca la vita’ [...] sono istintivo di natura. Credo che parlare a voce alta sia un vantaggio per tutti: e io ho sempre parlato per convinzione, mai per convenienza. Non ho rammarichi né rimpianti. Sono vissuto in modo libero, senza riguardi per nessuno. E penso di dover andare, giustamente, all’inferno [...] Lavoravo con soddisfazione per la Fininvest. E sono tornato ad allenare i viola: incautamente, perché in precedenza avevo attaccato gli arbitri, il presidente federale, il sistema. Il Palazzo me l’ha fatta pagare. Ho avuto molte responsabilità: come allenatore avevo perduto le caratteristiche migliori. Ma alcuni arbitraggi (ancora riscontrabili) sono stati vergognosi: ci hanno affondato. Faceva divertire la retrocessione della Fiorentina di Aldo Agroppi e del presidente Vittorio Cecchi Gori: un altro inviso al Potere. I campionati non si giocano soltanto sul campo: si giocano soprattutto nei corridoi [...]”» (Luigi Vaccari, “Il Messaggero”, 19/6/2006).