varie, 8 febbraio 2002
ALBANESE
Antonio Olginate (Lecco) 10 ottobre 1964. Attore. «Dotato di grandi capacità mimiche e espressive, ottiene successi sia in teatro che in cinema e televisione. Si forma alla scuola d’arte drammatica Paolo Grassi […] Dopo una breve ma folgorante stagione al cabaret Zelig di Milano raggiunge il grande pubblico televisivo grazie a Su la testa di Paolo Rossi (1992) nei panni dei suoi famosissimi personaggi Alex Drastico (il meridionale spocchioso) e Epifanio (il suo poetico e insicuro contraltare, eredità di un suo precedente studio teatrale), due tipi che si inseriranno ben presto per i modi di dire e di muoversi nel linguaggio comune. Anche a teatro i suoi personaggi ottengono grandi consensi di critica e di pubblico e il suo spettacolo Uomo, che lo vede unico interprete in scena, verrà ripreso nel 1994 registrando il tutto esaurito in ogni piazza per ben due stagioni. Continua a alternare televisione (Mai dire gol) e palcoscenico […] Nel 1997, dopo essere stato protagonista del film Vesna va veloce di Carlo Mazzacurati, affronta il cinema nella doppia veste di regista e interprete con Uomo d’acqua dolce e inizia una fortunata tournée con il nuovo spettacolo teatrale Giù al Nord, di cui firma, assieme a Michele Serra ed Enzo Santin, la drammaturgia. anche autore del libro Patapim e Patapam che raccoglie alcuni suoi monologhi» (Livia Grossi, Dizionario dello Spettacolo del ”900, Baldini&Castoldi 1998). Nel 2001 Interprete di Pierino e il Lupo alla Scala nella serata dedicata alla memoria di Gianandrea Gavazzeni (’Corriere della Sera” 4/2/2001). «Ha trascinato in teatro perfino quelli che non ci avevano mai messo piede e ha incollato alla tv anche quelli che per noia, scelta, rabbia ne facevano a meno. In pochi anni […] ha dato un segno diverso alla comicità italiana infiammando gente eterogenea per età, estrazione, cultura, Giorgio Gaber e Dario Fo come i tifosi fan di Mai dire gol» (Anna Benedettini, ”Il Venerdì” 7/2/1997). « il più originale comico della sua generazione: fa ridere. Con il corpo, senza preavviso, da anarchico. Ha la qualità del comico, il coraggio fisico prima che intellettuale. Non è buonista alla moda. A differenza di molti colleghi, non vuole fare il simpatico (’diffido dei simpatici a tutti”), è spesso cattivo, politicamente scorretto, non nasce e non muore in televisione, ma si alimenta dalla strada. Va in giro, a Bologna dove vive con la moglie e la figlia, come a Olginate, nel profondo Nord come in Sicilia, a Milano come Roma. Afferra rumori, facce, nevrosi, con l’occhio allenato a cogliere l’assurdo. Prova a indossarli e arricchisce così una galleria di ritratti grotteschi e strampalati che pure, come in certi album di famiglia, hanno l’identico sguardo, il suo sguardo di comico, spaventato disagio.Come Flaiano diceva di scrivere ”per non essere incluso”, così Albanese scrive col corpo i suoi personaggi per non appartenere a nessuna delle strane tribù in cerca di identità» (Curzio Maltese, ”Il Venerdì” 12/7/1999). «Non faccio quel che normalmente fanno gli altri. Non per snobismo, ma perché non lo sento. Anche la tv […] Ogni tanto mi torna la voglia. Mi dico: vediamo se posso inserirmi […] M’interessa Linea Verde. Non è una battuta. Mi piacerebbe intervenire sul problema dell’acqua. Sono un pescatore. Quando posso vado a pescare in Piemonte, a Rocco Canavese […] Sento il bisogno di tornare al mimo, fare come Henry Salvador e Jacques Tati. una reazione e un bisogno. Oppure vorrei portare in tv il mio teatro» (’La Stampa” 4/2/2001). «Di famiglia siciliana, è cresciuto a Lecco, vive a Bologna, ed è il nostro eroe quotidiano. Uno che è riuscito a partire dalla Rai3 che fu, a passare da Mai dire Gol, ad approdare a Celentano e perfino a sopravvivere indenne a una collaborazione ormai cronica con Vincenzo Cerami. Ha fatto tutto questo essendo nazionale e popolare, ma senza mai coniugare i due aggettivi in un orribile neologismo; lo ha fatto senza farsi fagocitare; lo ha fatto dando l’impressione che ognuna di queste esperienze fosse desiderata, più che progettata a tavolino. E così si è disposti a credergli perfino quando dice che smetterebbe se la passione per questo lavoro scemasse, che potrebbe andarsene in campagna. Gli si crede perché non parla del silenzio e degli uccellini che cantano: ”Trovo che uno dei gesti più intellettuali ed eleganti del mondo sia fare il proprio vino”. diventato famoso con Alex Drastico, il primo dei suoi personaggi, quello che chiudeva ogni discussione con ”Tu ce l’hai piccolo”. Non ha sfruttato il filone, non si è arroccato sul clichet: il personaggio successivo, Epifanio, era timido quanto Alex era sbruffone, e ora ”Ho due o tre pensieri nel cassetto: il primo è quello di fare uno spettacolo muto”. Antonio Albanese non fa satira politica né imitazioni, che per un comico italiano oggi è una specie di miracolo. ”La comicità è comunque direttamente politica. La satira è affascinante ma limitata. E poi non vedo perché dovrei animare o rianimare un politico tramite la mia comicità”. Uno a cui ci si azzarderebbe a diagnosticare perfino una certa qual sincerità, perché l’imitazione non è il suo genere (’Animare perfettamente altri corpi… mi colpisce sempre, però non mi piace”) e però se gli si cita Paola Cortellesi si vede che vorrebbe davvero di più e di meglio, per lei, che la riproduzione delle figurine del Grande Fratello (’Lei non sa che talento che ha”), e se gli si nomina Corrado Guzzanti lo si vede emozionarsi: ”Quando faceva Fulvia, la valletta di ”Rieducational Channel’, che non era un’imitazione, mi è capitata una cosa che non mi era mai successa: volevo prendere la macchina, venire a Roma e abbracciarlo”. Antonio Albanese è eroico, perché riesce a non spazientirsi e a non essere mai banale anche di fronte alla trita questione ”Cos’è la comicità” (varianti possibili: cos’è la satira, cos’è la sinistra): ”Vedo molti che si definiscono comici e invece fanno i simpatici, che è una cosa rispettabilissima, ma è un’altra cosa”. Quanto a lui, ama visceralmente Buster Keaton, ma non lo dice: ” come quando mi si chiede ”qual è la città più bella del mondo?’: Venezia non la calcolo neanche”. Così Antonio Albanese, caso pressoché unico di attore che ama i giornalisti (il suo terzo film, Il nostro matrimonio è in crisi, è scritto anche da Michele Serra, e Albanese, con ottimismo ai limiti dell’ingenuità, ritiene la categoria l’unica adatta ”a scrivere drammaturgia: parlate con la gente, conoscete il paese”) richiesto di citare un modello, risponde ”Il libro di Gianantonio Stella, Sghei. Reputo obbligatorio leggerlo. contemporaneamente comico e drammaticissimo”. Non vincerà – forse – mai un Oscar, non verrà interpellato sotto elezioni, Spielberg non lo inviterà a cena. Forse. Ma è il nostro eroe, e uno spietato cronista del paese in cui vive. Il suo Perego iperproduttivo imprenditore del Nordest, e il suo Alex Drastico, che dice ”La Sicilia non è solo mafia, ma è anche degrado, disperazione, disoccupazione …” sono, secondo il loro inventore: ”Uguali: cinici e cattivi, ma non ipocriti. Alex non si è mai rassegnato a essere siciliano, Perego dice ”Mio padre ha fatto il capannone più grande di quello di mio nonno, io l’ho fatto più grande di quello di mio padre, mio figlio si droga perché ha capito che non potrà mai fare un capannone più grande del mio’, e questo è spaventoso: seicento anni fa i ricchi ci lasciavano monumenti meravigliosi, i ricchi di oggi ci lasciano capannoni di eternit. Non va bene. Perego non può andare avanti avendo come unico obiettivo la costruzione di capannoni in eternit. Secondo me, bisogna fargli capire che non va bene. Dico ”secondo me’ perché poi siamo tutti diversi, e liberi di pensarla diversamente, grazie al cielo”. Antonio Albanese è il nostro eroe perché è buono ma non buonista, educato ma non senza opinioni, perché dice che il guaio di questo paese è l’ipocrisia, ma lo dice senza toni da crociato. Lo dice con la stessa gentilezza feroce con cui in televisione si mise a girare intorno a Celentano in bicicletta. Ospite di 125 milioni di cazzate, si complimentò con il più venerato uomo di televisione per l’idea del titolo: ”Dopo tanti anni, finalmente un momento di lucidità”. Glielo disse con affetto. Glielo disse senza nascondersi dietro una recensione. Glielo disse senza temere ritorsioni. E siccome esiste una cosmica giustizia poetica, il perdono di Adriano Celentano arrivò tardivo ma inesorabile: ”Alla quarta puntata mi abbracciò”» (Guia Soncini, ”Il Foglio” 1/12/2001). «Il mio sogno è diventare un comico. Prima facevo dei classici di teatro, ma io voglio raccontare. Vengo da una famiglia normale, dal mio lago, dai miei amici. un po’ tutto inflazionato. Ho sentito dire cose del tipo: gli unici oggi a far politica sono i comici. Ma l’inflazione c’è anche nella nouvelle cuisine! Il comico cerca di trasmettere cose. In tv c’è inflazione di comici ma anche di opinionisti. Questo è un periodo tra i più volgari. Sembra, secondo me, che non vi sia addirittura più nulla di bello. Pensi alle chiese: erano meravigliose e ora sono due pannelli di eternit e due pezzi di ferro. La comicità racconta questo e ognuno la fa a modo suo. Io sono una sorta di clown operaio. Ci sono invece comici e scrittori che rappresentano la borghesia. I miei personaggi possono essere un emigrato siciliano non inserito, oppure un ingenuo che rappresenta l’amore con i colori, oppure un industriale che fabbrica eternit e che è un perdente, vive nel Nord. Io sono cresciuto sul lago di Como, un lago meraviglioso che oggi è rovinato dall’industria. Cerco di rappresentare nel mio piccolo quello che trovo sbagliato. Macario aveva una grande cultura per un certo varietà. I miei maestri sono l’Accademia, Gabriele Vacis, direttore del Teatro Sette di Torino, maestri mitici come Keaton, Tati o Henry Salvador. Tati era una gioia, un ”imperatore”. […] Ho una mia famiglia, una figlia e ho le mie passioni. Adoro la pesca, andare a trovare i miei amici pittori. Ho la passione dei quadri, vado a vedere le mostre, le gallerie. E lì acquisto qualche disegno, ma i quadri sono nelle mani di chi guadagna moltissimo. Io faccio piuttosto una raccolta di cataloghi […] Tra i giovani di Roma, gli allievi di Toti Scialoia: sono dei bravi quarantenni, Pizzi Cannella, Nunzio, Gallo, Dessì. Li conosco bene. Tra i classici ho un amore per Sironi, per Carrà e mi piace anche il periodo pop degli Anni 70: penso a Festa, Angeli, Schifano. Amo l’arte contemporanea perché mi aiuta a fantasticare. Penso, per esempio, ai quadri di Boetti che mi piacciono moltissimo. Gnoli è un grande iper realista. Ceroli m’ha affascinato […] Attori cui mi ispiro? Ugo Tognazzi, che era coraggioso. Faceva il varietà leggero, il cabaret, la commedia all’italiana, film in cui creava, provocava delle emozioni, poteva cambiarsi in mille modi, io l’ho sempre amato molto. Chi m’attraeva di più era Mastroianni per il suo fascino e la sua eleganza. Tra i giovani penso a Bentivoglio, a Zingaretti con i quali ho lavorato in alcuni film […] Ho un’adorazione per Gianni Amelio […] Mi fanno ridere gli uomini che parlano di tutto. Li trovo presuntuosi e ridicoli. Mi fa ridere anche una certa borghesia rincoglionita che sogna di mangiare come lui, di andare in vacanza come lui, di leggere come lui... » (Alain Elkann, ”La Stampa” 10/3/2002).