varie, 8 febbraio 2002
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ALBERTINI Demetrio Besano Brianza (Milano) 23 agosto 1971. Ex calciatore. Cinque volte campione d’Italia (1991/92, 1992/93, 1993/94, 1995/96, 1998/99) e una d’Europa (1993/94) con il Milan, vicecampione del mondo (1994) e d’Europa (2000) con la nazionale
ALBERTINI Demetrio Besano Brianza (Milano) 23 agosto 1971. Ex calciatore. Cinque volte campione d’Italia (1991/92, 1992/93, 1993/94, 1995/96, 1998/99) e una d’Europa (1993/94) con il Milan, vicecampione del mondo (1994) e d’Europa (2000) con la nazionale. Ha giocato anche con Padova, Atletico Madrid, Lazio, Atalanta, Barcellona. Dal 2007 vicepresidente della Figc. «Regista e perno di centrocampo è un prodotto del vivaio rossonero, un’istituzione del Milan di Berlusconi, con cui ha debuttato ad appena 17 anni [...] Educato, sensibile, molto religioso, si è sempre distinto in campo e fuori per una condotta corretta e professionale» (Dizionario del calcio italiano). «Centrocampista in possesso di una nitida visione di gioco, è noto come il ”metronomo” del Milan di Berlusconi, cioè il giocatore che detta i tempi dell’azione. Cresciuto nel vivaio rossonero […] Formatosi nel gruppo di Arrigo Sacchi, rubando i segreti a campioni come Rijkaard e Ancelotti, si afferma nel 1990/91 dopo una stagione in serie B, in prestito al Padova» (A.C., Enciclopedia dello Sport, Treccani 2002). «[...] Fabio Capello che lo fece esordire nel 1991, quel giorno disse: ”Oggi ho rivisto la luce di Rivera”. Era un complimento ma anche un sinistro presagio. Dall’album della ”famiglia” rossonera, infatti, l’ex tessitore delle trame di centrocampo, rigorista e buon battitore di punizioni è stato pressocché cancellato e in circostanze ancora tutte da chiarire, com’è già accaduto al centrocampista più grande di tutti, il golden boy Rivera appunto. Nel 2002 - rimasto fuori dalla Nazionale per infortunio - Albertini andò all’Atletico Madrid, e fu una mossa sorprendente per l’epoca. ”Ancelotti non ha provato a fermarmi”, chiosò a denti stretti. L’anno successivo tornò a Milano e si vide dirottato alla Lazio in cambio di Pancaro. ”Con Berlusconi ho un rapporto fantastico - disse in quell’occasione Albertini con la pazienza del martire - Non è intervenuto? Non so cosa sappia esattamente della mia storia, anche perché credo che abbia cose più importanti da pensare”. Ecco, la cosa più triste della storia è questa: Albertini, che di anagramma fa Better Milan or I die (!), dimenticato dalla famiglia milanista e convinto credente, alla famiglia ci tiene veramente. Ha imparato a giocare in un oratorio dell’hinterland milanese come si faceva negli anni 60. E ha un fratello prete. Certo, da buon figlio del nostro tempo, dipinse sui muri del campetto parrocchiale i cartelloni pubblicitari, proprio come aveva visto alla tv (il parroco non la prese benissimo). E si sposò pure una proto-velina, vincitrice del concorso Bellissima ”93 che andava su Italia 1 quando al posto di Maria De Filippi c’era Valerio Merola. Ma si stava meglio allora (quando si stava peggio)? Boh. Certo, il tempo non è passato invano. Albertini, anello di congiunzione tra Ancelotti e Pirlo nella storia degli schemi del Milan [...] Nel 1998, dovette disputarsi un posto in nazionale con Luigi Di Biagio, che come centrale era certamente più cattivo e sbrigativo nelle entrate: entrambi sbagliarono un rigore nella partita contro la Francia. Lasciò in eredità alla Nazionale l’abbraccio durante l’esecuzione dell’inno, invenzione sua. Oggi risulta citato nel sito ugly footballer (calciatori brutti), tra Kahn e Effenberg, e forse non se lo meritava» (Alberto Piccinini, ”il manifesto” 3/2/2005). Quand’era nelle giovanili del Milan aveva paura che la mamma lo portasse via: «Specie quando andavo alle medie. I miei non mi hanno mai ostacolato, ma hanno sempre voluto che prendessi il diploma». Il padre pugile dilettante, pur di seguirlo si improvvisò allenatore: «Più che altro faceva da autista accompagnatore. Al massimo decideva le sostituzioni». Da ragazzino, tifoso della Juventus, teneva in camera il poster di Marco Tardelli. Emozione più forte della carriera: «Quando ho battuto il rigore nella finale dei mondiali del 1994 contro il Brasile. La delusione più grande dopo il rigore fallito, nel 1998, contro la Francia: un dolore enorme, anche se tutti si ricordano solo l’errore di Di Biagio» (Iacopo Iandiorio, ”La Gazzetta dello Sport-Magazine”, n.23/1999).