8 febbraio 2002
Shaaban Abdel Rahim, egiziano, grasso, gira sempre imbrillantinato, con i vestiti pieni di strass e lustrini, due orologi d’oro a ognuno dei polsi
Shaaban Abdel Rahim, egiziano, grasso, gira sempre imbrillantinato, con i vestiti pieni di strass e lustrini, due orologi d’oro a ognuno dei polsi. Fabbro al Cairo, con l’hobby del canto, alcuni clienti cominciarono a chiamarlo ai matrimoni e lui si dette al doppio lavoro: fabbro di giorno, cantante di balera e ricevimenti la notte. Finché uno dei più importanti presentatori della Tv pubblica lo ascoltò, lo fece intervenire a una trasmissione.Con il Christian Science Monitor ha ammesso di essere bruttissimo e di non saper cantare. Fu il successo immediato di questa canzone anti-israeliana, il cui titolo però presenta un risvolto curioso, a prima vista incomprensibile per un non egiziano. In Egitto esiste un ufficio di censura che ha il potere di vietare film, dischi, cassette, e videocassette che costituiscono un "oltraggio al pubblico senso del pudore". Ebbene, lo scorso anno il capo della censura, Madkour Thabet ha rivelato al Middle East Times che il titolo originario della canzone non era Io odio Israele, ma un più moderato Non mi piace Israele: "Ma io ho espresso la raccomandazione che scegliessero un altro termine più consono ai sentimenti popolari". Così, quel che sembrava un’espressione di dubbio gusto contro Israele, diventa la direttiva burocratica di uno stato censorio. Eseguita sullo stile della musica popolare (shaabi), questa canzone ha subito venduto milioni di dischi, malgrado Shaaban non l’abbia mai cantata dagli schermi della Tv di stato. E il ritornello è fischiettato in tutti i paesi arabi. I ragazzi palestinesi lasciano i registratori accesi con questa canzone vicino ai posti di blocco, in modo che i soldati israeliani siano costretti ad ascoltarla. Artisti contro Io odio Israele s’inserisce in tutta quella produzione che l’anno scorso si è sviluppata in Egitto a partire dalla ripresa dell’Intifada palestinese nel settembre 2000. Molti artisti egiziani furono colpiti dalla ripresa tv del 30 settembre di quell’anno che filmava la morte del dodicenne Mohammed Al Durra, ucciso dalle pallottole israeliane. L’immagine del ragazzino morente nelle braccia di suo padre fu riprodotta in gigantografie che troneggiavano in molte mostre e festival, compresa la Fiera internazionale del libro del Cairo del gennaio 2001. Da allora, si sono moltiplicate le manifestazioni dedicate all’Intifada. La foto del bimbo è stampata sui fazzolettoni con cui i cairoti si sono asciugati il sudore in estate ed è servita da sfondo visivo a un videoclip in cui i più famosi cantanti e musicisti egiziani, tutti vestiti in nero, ripetevano il ritornello "Gerusalemme tornerà nostra". Il pittore Mohamed Abla, 49 anni, noto in Egitto per i suoi acquerelli di scene di strada e di villaggi arabi, l’anno scorso ha organizzato un mostra in cui ogni visitatore era libero di esporre un disegno, una fotografia, o di leggere una propria poesia sull’Intifada. Questa mostra è stata ripetuta più volte. Nel film dell’anno scorso Amici o affari? prodotto dal gruppo Al Adl, un uomo chiamato jihad cammina a passi decisi verso un posto di blocco militare e lancia uno sguardo a un cameraman della tv egiziana prima di far esplodere il proprio giubbotto farcito di esplosivo e di uccidere i soldati israeliani intorno a lui. Il film ha avuto un successo enorme, con le platee piene, e quasi sempre in lacrime. Nel film Abbiamo ricevuto il seguente comunicato, l’attore Muhammad Heneidi recita la parte di un inviato nei Territori Palestinesi che getta via il suo microfono per, indignato e furioso, lanciare pietre contro i soldati israeliani. C’è poi stata la commedia musicale Zakia Zakaria sfida Sharon che - in due ore punteggiate di battute, canzoni e gag - racconta di un cattivone, Haroun, che uccide i genitori di una bambina, Nidal (che in arabo significa "lotta"), confisca le proprietà dell’orfana e la rinchiude in un ospizio per bimbi di strada. Zakia guida la lotta dei bambini dell’ospizio fino a sconfiggere Haroun e a riconquistare con la forza i diritti di Nidal. Infatti Nidal riprende la sua terra (come quella dei palestinesi), con l’aiuto dei suoi amici dell’ospizio (che rappresentano i popoli arabi) mostrando i documenti che erano stati rubati da Haroun (che si trasforma in Sharon) e che mostrano che la terra apparteneva a lei. Il regista, Raeed Labib, e lo sceneggiatore, Shamek Al Shamandouli, sono due pezzi grossi dello show business egiziano: erano saliti alla ribalta per aver rispettivamente diretto e scritto il locale programma tv di Candid Camera, clamoroso successo. Ma è stata senza dubbio la canzone Io odio Israele quella che più ha segnato l’atmosfera del varietà egiziano lo scorso anno, anche per l’incidente diplomatico-finanziario che ha provocato, e che mostra come siano indissolubilmente intrecciati meccanismi della globalizzazione e conflitti locali. L’incidente riguarda McDonald’s. Dopo aver introdotto i Samurai Pork Burgers in Thailandia e gli hamburgers di montone nell’India a maggioranza hindi, la multinazionale del fast food ha deciso di adattare le sue ricette al gusto egiziano e l’anno scorso ha lanciato il McFalafel. I falafel sono speziate polpette di purèe di fave che la Mcdonald fa deciso di offrire su una base di pane da hamburger all’americana, con una fetta di pomodoro, lattuga, cetriolini e una salsa piccante tahin, mentre il falafel, noto in Egitto come tamiya, è di solito servito su una pita, focaccia bianca simile al pane indiano naan. La Mcdonald’s egiziana, per il lancio ha fissato il prezzo del Mcfalafel base (una delle voci più a buon mercato del menù) a circa 800 lire, quasi il quadruplo di quel che costa in una qualunque bancarella del Cairo, mentre l’equivalente del BigMac a base di falafel, il "el-Miallem", costa circa 1800 e include una Cocacola (il big Mac costa negli Usa 6.000 lire). Per far ingoiare ai cairoti la differenza di prezzo e di gusto (la pita è infinitamente migliore del panino soffice, manipolato e insulso degli hamburgers), la McDonald’s egiziana decise di usare la canzone Io odio Israele come testimonial per il lancio pubblicitario in Tv. Così firmò un contratto in cui vincolava Shaaban per un anno a non offrirsi come testimonial per un’impresa concorrente. Già è incredibile l’idea che una multinazionale americana assoldi una canzone intitolata Io odio Israele per lanciare la "mcdonaldizzazione" del mondo (così suona il titolo originale del libro Il mondo alla Mcdonald’s di George Ritzer, tradotto in italiano presso il Mulino). E in effetti l’idea è sembrata incredibile (oltre che lesiva) al Comitato ebreo americano (Ajc: American jewish commettee) che, appena tre settimane dopo l’inizio degli spot tv in Egitto, ha minacciato la McDonald’s di lanciare un boicottaggio ebreo di tutti i suoi locali negli Usa se non avesse subito interrotto la campagna. Che in effetti è stata conclusa dopo appena un mese. E qui è cominciato, come ha raccontato il Cairo Times, un balletto che sarebbe comico, se sullo sfondo non ci fosse la tragedia di due popoli: per non perdere il pubblico egiziano la McDonalds-Egitto doveva negare di aver subito la pressione ebrea, altrimenti sarebbe passata per filo-israeliana, e allora non c’era Mcfalafel che tenesse. Invece la McDonald’s sede madre di Chicago doveva far vedere agli ebrei statunitensi di aver soddisfatto le loro richieste. L’unico che ci ha perso è Shaaban che infatti ha intentato causa alla McDonald’s. Politica in musica L’altro aspetto curioso di tutta la storia è che, nonostante la plateale adulazione dell’establishment contenuta nel sottotitolo della canzone (E amo Amr Moussa), per la sua origine proletaria Shaaban Abdel Rahim è detestato con tutte le forze dalla Cairo bene che vede come il rosso negli occhi il fatto che Shaaban sia chiamato a ogni piè sospinto come ospite in tutte le trasmissioni tv (anche se non gli fanno cantare la canzone). Il capo della commissione parlamentare di sorveglianza della Tv, Abdel Salem Abdel Ghaffdar, afferma che "Shaaban non rappresenta nessun valore artistico o culturale. In più, il suo look stravagante e di pessimo gusto agisce sui nostri giovani influenzati da quel che vedono in tv". La celeberrima attrice Madiha Youssri dice che "Uomini di cultura e di lettere che tanto hanno dato al nostro paese compaiono solo di rado in tv, mentre questo Shaaban sta lì ogni minuto. Quell’uomo dovrebbe essere abolito dalle onde". All’inizio di gennaio il capo dell’ufficio della censura (sempre lui) ha annunciato che avrebbe introdotto una speciale misura per stoppare Shaaban: visto che non ha il potere formale di vietarglielo, vuole introdurre una direttiva per cui possono apparire in tv solo i cantanti che hanno un titolo di studio. Ma in un paese in cui la classe politica è odiata e disprezzata, ogni attacco dei politici accresce la fama popolare di Shaaban che ha appena lanciato un altro disco, nato dal clima creatosi dopo l’attacco dell’11 settembre contro le Twin Towers di New York. Il disco s’intitola Amrika Ya Amrika e il testo è sempre scritto dal paroliere di Io odio Israele, che è un maestro elementare. Il disco comprende anche una canzone sulla mucca pazza in cui a cantare sono pecore, capre e oche che temono di essere mangiate dalle mucche fotto forma di farina animale. Forse, agli occhi di Shaaban, sono mucche israeliane. a gennaio: il parlamento era quello egiziano, e il cantante è improvvisamente diventato famoso l’anno scorso con la canzone Io odio Israele, che portava il sottotitolo E amo Amr Moussa, il filopalestinese ex ministro degli esteri egiziano ed attuale capo della Lega Araba.