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 2002  febbraio 08 Venerdì calendario

ALBERTOSI

ALBERTOSI Enrico Pontremoli (Massa Carrara) 2 novembre 1939. Ex calciatore. Portiere: 532 partite in serie A (185 nella Fiorentina, 177 nel Cagliari, 170 nel Milan) e 47 in C2. Due scudetti (Cagliari 1969/70, Milan 1978/79), tre coppe Italia, una coppa delle Coppe. 34 partite in nazionale, partecipando quattro volte ai mondili (Cile 1962, Inghilterra 1966, Messico 1970, Germania 1974). «L’altra faccia di Zoff: essenziale e taciturno il friulano, spettacolare ed estroverso il toscano, sono i due grandi portieri del nostro calcio dagli anni 60 all’inizio degli anni 80. Lui ha tre primavere più di Zoff, ma forse lo eguaglierebbe in longevità, se la carriera non si infrangesse sullo scandalo scommesse che coinvolge, alla fine del campionato 1979/80, lui e il Milan in cui milita (accumula comunque il record di 21 campionati, come Piola e Rivera). Protagonista in tre sqaadre (Fiorentina, Cagliari e appunto il Diavolo), vince due scudetti che sono ugualmente indimenticabili: per la squadra sarda è l’unico della storia, nel segno di Gigi Riva, per i rossoneri è il decimo, quello della ”stella” [...] Soprattutto nel secondo il suo apporto è straordinario: pur quarantenne è più scattante e teatrale che mai, le sue parate evitano gol fatti. In nazionale vive momenti esaltanti e deprimenti. Purtroppo è lui a subire il gol più tragico, quello segnato dal nord coreano Pak Doo Ik, il 19 luglio 1966 a Middlesbrough, che butta fuori l’Italia dai mondiali inglesi. però ancora titolare nel 1970, all’edizione messicana e vive da eroe la fantastica Italia-Germania Ovest 4-3: la leggenda narra che volesse strangolare Rivera dopo il secondo gol di Mueller non respinto sulla linea dal milanista e che per paura delle sue mani robuste lo stesso Rivera sia avanzato nell’area tedesca, per segnare subito dopo la splendida rete decisiva. Smette a 45 anni in serie C» (Dizionario del calcio italiano). «Dopo i primi exploit nello Spezia era passato come enfant prodige alla Fiorentina. Fisico stratosferico, colpo d’occhio eccezionale, riflessi felini e quella facilità d’inarcarsi in volo che conquistò subito tecnici e tifosi. Davanti, però, a Firenze aveva Giuliano Sarti, il portiere dello scudetto, antispettacolare per antonomasia, maestro del piazzamento e del calcolo a scapito della spericolatezza. Così si ebbe l’assurdo: Albertosi, precoce e brillante esordiente in serie A, conquistò presto un angolo in nazionale, con la partecipazione ai mondiali in Cile ad appena ventidue anni, ma restava riserva in viola. Finì che se ne andò senza consumare mai appieno quelle nozze [...] Lo sguardo sgherro, il sorriso da simpatica canaglia, l’ostentazione di una beata indifferenza alle regole correnti (gli piaceva fumare e frequentare gli ippodromi), tutto si sublimava nel rendimento sul campo [...] Tornò a riveder le stelle per la vittoria azzurra in Spagna e volle tornare sul campo, stavolta in C2, all’Elpidiense, a far miracoli a quarantatré anni suonati. Chiuse nell’84, dopo un grave infortunio, il primo della carriera, a un ginocchio» (Carlo F. Chiesa, ”Calcio 2000” febbraio 1999). «Il portiere della Pontremolese era un marinaio alto e forte. Una mattina, all’alba, partì con la sua nave. Chiamarono allora il ragazzo Enrico, figlio del maestro elementare del paese. Quanti anni hai?, gli chiesero. ”Quattordici compiuti” disse Enrico. Non era vero. Però lo disse. Giocò dieci partite nella Pontremolese, prima categoria dilettanti. Diventò Enrico Albertosi. Poi Ricky. Leggendario portiere e avventuriero del calcio. Enrico Albertosi, quattro Mondiali, con dentro Italia-Germania 4 3. Due scudetti, con Cagliari e Milan. [...] Albertosi è stato Albertosi. Riserva della Fiorentina, gioca in Nazionale. Poi vince lo scudetto a Cagliari, lui in porta, Gigi Riva davanti: ” successo, non succederà più. Uno scudetto nell’isola vale come venti al Milan o alla Juve. Una cosa clamorosa”. Poi vince a San Siro, con il Milan, il decimo, quello della stella. ”Clamoroso. Quello era un periodaccio e la squadra non certo irresistibile [...] Giocavo nello Spezia, sempre dilettanti, vicino a casa. Si era fatta viva l’Inter, dopo un provino cominciato alle nove del mattino e terminato a notte fonda. Poi la Fiorentina. Papà non voleva, facevo le magistrali. Diceva: ’Finisci la scuola, il calcio è provvisorio’. Mia madre mi aiutò e firmai per la Fiorentina...”. Incontra Giuliano Sarti, portiere scientifico, nemico dei voli, rigoroso senso del piazzamento. ”Si fa male, debutto in prima squadra a diciannove anni e faccio buone cose, non becco gol”. Sarti cosa le disse? ”Solo questo: ’Il titolare sono io’. Anche dopo la Nazionale. ’Tu giocherai con l’Italia ma qui il posto è mio’. Non gli piaceva giocare di sera. E aveva ragione: non era facile con l’illuminazione di allora. Sarti era a suo modo un motivatore. Al suo portiere di riserva diceva spesso: ’Vuoi giocare domenica?’ E quello: ’No, no: il titolare sei tu’. Ricordo che lo faceva con Toros e altri. L’ha chiesto anche a me e io ho risposto: ’Sì, certo che voglio giocare’. L’ho fatto quando è passato all’Inter”. Dieci campionati alla Fiorentina, un Mondiale, in Inghilterra nel ’66. Ricky, schietto ed esuberante, cerca la grande squadra. Gli anni passano, nel ’69 arriva l’Inter. ”Una sera Italo Allodi mi chiama: ’Tutto fatto: sei dei nostri’. Bene bene, mi vedevo già a Milano. Alcuni giorni dopo il presidente Nello Baglini mi chiama. ’A posto’, dice. ’Lo so, dico io, sono contento, l’Inter mi piace, è una buona scelta’. Lui sgrana gli occhi: ’L’Inter? Guarda che io ti ho ceduto al Cagliari’. Sono rimasto lì, a bocca aperta come un ebete. Non volevo andarci a Cagliari. Ma non avevo nessun potere. Ci andai, con un buon contratto. L’avessi fatto prima: è stata la mia fortuna. Ho vinto lo scudetto [...] Una esperienza straordinaria, indimenticabile. Il clima, i compagni, l’allenatore, la città, il mare. Un posto meraviglioso. Abbiamo vinto lo scudetto nell’isola, una storia incredibile. I ricordi più belli sono la semifinale con la Germania, quella del 4 3, e lo scudetto con Scopigno [...] Grande psicologo e conduttore di uomini. Ho avuto molti allenatori, molti maestri, ma Scopigno era il top. Aveva creato un’atmosfera quasi magica. Basta ricordare la famosa notte di Roma... [...] Eravamo in ritiro, dovevamo giocare con la Lazio. Dopo cena ci mettiamo d’accordo per un pokerino nella camera di Riva. Il gruppo si ingrossa rapidamente, verso mezzanotte siamo una decina. Fumiamo tutti. Io, Riva, Domenghini, Gori, Mancin, Greatti, Nenè. Verso le due la fame è forte, chiamiamo un cameriere per dei panini. Passano dieci minuti, bussano alla porta. Finalmente, si mangia. Apriamo, è Scopigno! Porca miseria e adesso... la camera è avvolta dalla nebbia. Manlio si sfila dalla tasca il pacchetto e si mette in bocca una sigaretta: ’Disturbo se fumo?’. Guarda severo l’orologio: L’ultimo giro e poi alle due e un quarto massimo a letto". Il giorno dopo vinciamo quattro a due. Capito? Questo era il Cagliari, questo era Scopigno. Pensa se fosse successo con un altro allenatore...”. Un ”altro” poteva essere Giacomini? ”Non me ne parli. Mi dava fastidio solo vederlo. Purtroppo è venuto dopo Liedholm e dopo lo scudetto. Ma io non ho mai avuto peli sulla lingua, quello che avevo da dire l’ho detto. Non ero un falso. Fumavo un pacchetto di sigarette al giorno, facevo l’amore, andavo all’ippodromo”. Il finale al Milan è burrascoso: scandalo scommesse. Albertosi è coinvolto e squalificato quattro anni. Poi dopo la vittoria mondiale arriva l’amnistia. ”Io non ho mai venduto le partite. Casomai ho fatto da tramite per comprarle. E comunque ho pagato”» (Germano Bovolenta, ”La Gazzetta dello Sport” 19/2/2005).