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 2002  febbraio 08 Venerdì calendario

ALI AGCA Mehemet Yesiltepe (Turchia) 9 gennaio 1958. Terrorista. L’uomo che il 13 maggio 1981 sparò a papa Giovanni Paolo II in piazza San Pietro

ALI AGCA Mehemet Yesiltepe (Turchia) 9 gennaio 1958. Terrorista. L’uomo che il 13 maggio 1981 sparò a papa Giovanni Paolo II in piazza San Pietro. In libertà dal 18 gennaio 2010 (graziato in Italia dopo 19 anni di prigione e scontati altri 9 anni e 7 mesi per il coinvolgimento nell’omicidio, nel 1979, del direttore del quotidiano Milliyet, Abdi Ipekci) • «Non doveva essere preso. Doveva sparare al papa, fuggire ed essere messo in salvo da dei complici che lo attendevano nelle vicinanze di piazza San Pietro. Tra i documenti che gli sono stati trovati addosso, c’erano delle piantine della zona e tre ipotesi di attentato: colpire il pontefice da una finestra con una carabina, sparargli da una palazzina vicina, aggredirlo tra la folla e poi far esplodere tre bombe fumogene per scatenare il panico. Scelse questa ultima soluzione. Ma una suora gli bloccò la fuga. L’ex esponente dei ”Lupi grigi” ha subito parlato dei suoi complici, facendo i nomi di altri tre turchi e di almeno un bulgaro. La pista internazionale: ne parla all’improvviso con i magistrati italiani. Racconta nei dettagli la sua fuga dal carcere di Istanbul, la sua permanenza a Sofia, svela retroscena sulle connivenze tra mafia turca e servizi segreti bulgari, indica nomi e cognomi, indirizzi di società di comodo e di appartamenti dove aveva alloggiato con i suoi amici dei ”Lupi Grigi”. I magistrati verificano e trovano i riscontri. Ma ogni volta che tornano dal mancato killer per chiedergli nuovi chiarimenti, lui cambia versione. Abbandona la pista bulgara e insinua che dietro l’attentato ci siano complicità occidentali. Scrive una lettera all’ambasciata Usa in Italia nella quale ricorda che devono mantenere gli impegni assunti. Coinvolge spezzoni dei nostri servizi segreti deviati. Fa il nome di Francesco Pazienza. Il quale chiede un confronto, lo ottiene e lo vince: pressato dalle domande, ricorre al suo solito delirio mistico e accenna per l’ennesima volta al terzo segreto di Fatima. Emanuela Orlandi: la scomparsa della figlia del messo del Vaticano viene collegata all’attentato al papa. lui a parlarne. Si rivolge ai presunti sequestratori intimando loro di rilasciarla subito. Ma poi spiega ai magistrati che la liberazione di Emanuela Orlandi può avvenire solo se sarà scarcerato. Che è stata rapita dai ”Lupi grigi”, i quali premono sul Vaticano per ottenere la libertà del loro compagno. Il caso Orlandi farà comunque parte di una lunga sequela di minacce e di episodi mai chiariti che scandiscono gran parte degli anni 80. Si parla di alcune foto del papa, carpite segretamente e diventate oggetto di ricatti. Di pressioni, lettere, scritti, contatti. Tutti culminati appunto con la scomparsa della figlia di un messo del Vaticano e messa in relazione all’agguato in piazza San Pietro» (Daniele Mastrogiacomo, ”la Repubblica” 15/6/2000). «’Lupo grigio”, il killer capace di portare a termine uno degli attentati più clamorosi della Storia [...] ”un uomo freddo, con un animo glaciale, un tipo dalla volontà ferrea”. Il miglior killer in circolazione in Turchia, alla fine degli anni Settanta. [...] Di questo [...] aveva dato ampiamente prova [...] con l’assassinio [...] del direttore del quotidiano ”Milliyet”, Abdi Ipekci. A Malatya, la sua città d’origine, il giovane Alì si era legato agli ambienti di estrema destra che con il sostegno dei militari e dei servizi segreti portarono al colpo di stato del settembre ”80. Quindi si avvicinò ai grandi boss dei Lupi grigi, allora imperanti in Turchia, Alpaslan Turkes, il leader del partito, ma soprattutto ai capi che organizzavano i lavori più sporchi e delicati. Come quell’Abdullah Catli che nel ”97 morirà in misterioso incidente stradale a Susurluk: gli altri occupanti dell’auto erano nientemeno che il capo della polizia di Istanbul, un deputato del Partito della Giusta via, e miss Turchia. Avevano da poco incontrato in un grande albergo di Kusadasi il ministro degli Interni, Mehmet Acar. Una volta in carcere in Italia Agca cambiò con il passare del tempo. Prima spavaldo, quasi sprezzante, in aula: ”Io sono la reincarnazione di Gesù Cristo - diceva, quando molti lo ritenevano pazzo - Vi annuncio il Terzo segreto di Fatima”. Sorprendente quando lo conducevano via in manette e proclamava la liberazione di Emanuela Orlandi. Ma in carcere, tutti lo hanno sempre ammesso, si trasformava in un detenuto modello. Negli ultimi anni le persone che lo hanno visitato lo hanno trovato molto provato. Ai sacerdoti che raccoglievano le sue confidenze appariva triste. [...] Soffriva la solitudine, appena alleviata dai viaggi che il fratello Adnan compiva puntualmente come delicate missioni ogni tre mesi» (Marco Ansaldo, ”la Repubblica” 14/6/2000).