Varie, 11 febbraio 2002
ALLETTO
ALLETTO Gabriella Roma dicembre 1962. Testimone chiave del caso Marta Russo. «La segretaria dell’Istituto di Filosofia del diritto finita, suo malgrado, nella vicenda. La donna che con le sue dichiarazioni ha messo il timbro ”colpevoli” al fascicolo che contiene i nomi di Scattone e Ferraro. Personaggio contrastante che non ispira una naturale simpatia, forse per quel suo atteggiamento un po’ opportunista. Ma è pur vero che se il giallo dell’omicidio di Marta Russo è arrivato alle condanne, è grazie alle sue dichiarazioni. Durante le indagini e anche davanti alla Corte d’Assise che l’ha interrogata, ha tenuto testa a Scattone e Ferraro. E nel confronto gli ha rinfacciato: ”Perché non dite la verità? venuto il momento di dirla”. [...] ”So di aver sempre detto la verità durante il processo è [...] Non provo sentimenti di soddisfazione per le condanne - aggiunge - ma mi sento serena per aver detto ciò che avevo visto nell’aula 6 la mattina del 9 maggio del ’97: la verità su Ferraro e Scattone”. Di quello che è stato definito il video shock, dei momenti in cui ha negato di conoscere i particolari dell’omicidio ai pubblici ministeri dell’inchiesta, non vuole parlarne. I fatti, comunque, sembrano averle dato ragione. La II Corte d’Appello d’Assise, in contrasto con quanto avevano fatto i precedenti giudici, con un colpo finale, ha voluto acquisire agli atti la videocassetta, proprio prima di entrare in camera di consiglio per la decisione. Ma ha ammesso solo una parte del nastro: la parte audio. La Corte non ha chiesto di vedere le immagini in cui la donna piange e giura sui suoi figli. Si è accontentata del contenuto della conversazione. Forse perché, negli atti del processo, erano già contenute le dichiarazioni della donna e del suo ravvedimento. ”Ho preso la decisione di raccontare tutto ai magistrati - ha sempre spiegato - quando praticamente non ne potevo fare più a meno. Quando c’è una stretta finale bisogna prendersi delle responsabilità. La decisione che ho dovuto prendere è stata tremenda. Ho sei nipoti dai 19 ai 23 anni e si può immaginare quanto io abbia sofferto. Del resto, io non conoscevo Marta Russo, non era mia parente”. [...] Ha avuto critiche, vita difficile, hanno scavato nel suo passato. Ha dovuto lasciare la facoltà di Giurisprudenza e passare all’Economato. L’aria lì si era fatta troppo pesante. Dopo aver parlato di Scattone e Ferraro, infatti, ha tirato in ballo altra gente che lavorava in Istituto. Ha sostenuto che anche loro sapevano» (Cristiana Mangani, ”Il Messaggero” 1/12/2002). «Un viso chiuso, serrato in una maschera drammatica [...] Se fossimo a teatro potremmo vederla rappresentare sia l’eroina positiva, coraggiosa, contro tutti, sia all’opposto una figura alla Bovary, in cui il bisogno di protagonismo – per uscire dalla mediocrità, spinge a imprese pazzesche. [...] Non potrebbe essere protagonista di una identificazione proiettiva con il giudice? In questo caso si comprenderebbe il suo ”confessate, confessate, come ho fatto io!” [...] Un’immagine perturbante ce la mostra nella videocassetta in cui giura sulla testa dei figli di non avere visto nulla. Tutti siamo rimasti turbati dalla visione dell’interrogatorio filmato. E se nascesse proprio dalla violenza psicologica subita una sorta di ambivalente identificazione con l’aggressore che la porta ad essere a sua volta implacabile accusatrice?» (Lella Ravasi Bellocchio, ”liberal” 22/10/1998).