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 2002  febbraio 11 Lunedì calendario

Almansi Guido

• Milano novembre 1931, Mendrisio (Svizzera) 10 luglio 2001. Critico letterario. «Una figura sotto molti aspetti unica nella nostra cultura. [...] Un grande intellettuale europeo, per la sua eccentricità sottile e spesso impietosa e la sua imbarazzante franchezza, mai del tutto accreditato in Italia, specie nel mondo accademico che gli negò diritto di cittadinanza [...] Aveva insegnato a lungo e con successo in Inghilterra acquistando tra l’altro la cittadinanza britannica e concludendo poi la sua carriera a Ginevra. Definirlo un critico letterario significa limitare la portata dei suoi interessi e soprattutto l’acuta, persino creativa vivacità delle sue inclinazioni e della sua scrittura. Ciò che colpisce nella sua opera è da un lato un sorprendente retroterra insieme letterario e speculativo, dall’altro la irresistibile disposizione intuitiva. [...] Estetica dell’osceno , del ”74, un libro unico nel suo genere [...] tuttora indispensabile nell’indagare su un fronte molto vasto geograficamente e temporalmente, un filone capitale nella letteratura moderna, andando ben oltre i confini della letteratura stessa e avvalendosi di strumenti di ampio respiro. Amica ironia dell’84 apre un altro fronte nel complesso territorio percorso da Almansi. Anche qui si saldano con singolare efficacia, quasi a costituire un colorato mosaico, paradigmi letterari, di costume, di comportamento visti con sapienza critica e elegante misura saggistica. Non stupisce che seguisse nell’86 La ragione comica , di nuovo spaziando tra letteratura, teatro, poesia. [...] Era naturalmente estroso e dichiaratamente umorale, talora risentito, malizioso, elegantemente polemico e magari deliberatamente offensivo, costituendo una vistosa eccezione in un contesto culturale come il nostro, fatto di strizzate d’occhio, di inchini magari finti, e di rispettosi omaggi. Gioca probabilmente qui una matrice ebraica per la quale l’umor nero diventa pane quotidiano persino quando può ritorcersi su sé stesso: pensate a un Philip Roth, e avrete capito. [...] cedette occasionalmente alla tentazione narrativa con un romanzo in proprio, Il melone, e un altro in collaborazione con Attilio Veraldi, Donna del Quirinale , dove la sua vena passionalmente e mordentemente intellettuale ma non intellettualistica trova fertile terreno. La sua prospettiva riceve una sanzione appropriata precisamente nel titolo di un altro libro saggistico, L’incerta chiarezza, a conferma del suo naturale antidogmatismo e della sua problematicità remota da ogni inclinazione seriosa. [...] Non stupisce che fosse un eccellente critico teatrale e un ammirevole recensore, poiché anche sul piano pubblicistico sapeva offrire il meglio di sé, in questo assai vicino a un altro grande critico a cui fu legato e che contribuì a far conoscere in Italia, George Steiner» (’La Stampa” 12/7/2001). «Teatrale, non conformista, un poco esibizionista, a volte veniva in redazione con cappelli vistosi, camice coloratissime (mai la cravatta), magari un mantello nero. Si chiudeva a confabulare con Rosellina Balbi. Poi uscivano articoli provocatori, che non rifuggivano dall’elogiare l’osceno (nel ”74 aveva scritto un saggio su L’estetica dell’osceno, appunto), il grottesco, l’ambiguo. E lo sberleffo, e la parodia. Amava perfino il plagio, sottoscrivendo l’affermazione di T.S. Eliot che ”i poeti mediocri imitano, i grandi rubano”. Poteva permettersi tutto questo perché studiava, leggeva, conosceva i testi. Era originale e provocatorio, ma anche colto. Non era certo intellettualmente un pigro, anzi era raffinato allo spasimo, un patito degli ossimori. (Per chi non ricordasse cos’è un ossimoro, ecco subito un esempio: L’incerta chiarezza, titolo di un suo studio sul paesaggio tra pittura e letteratura, del 1990). Era anche un poligrafo: e non c’era genere letterario da cui rifuggisse, dal saggio alla narrativa, dal teatro al thriller. Impossibile ricordare tutti i libri che ha scritto da Il teatro del sonno, antologia e insieme studio critico sul sogno in letteratura, thriller che scrisse nel 1990 con Attilio Veraldi, Donna da Quirinale (Mondadori). Amava anche la polemica fatta ”sul tamburo” (quelli che nei giornali si chiamano corsivi), e ne ha fatte con chiunque fosse disponibile a polemizzare, in televisione (Maurizio Costanzo show) o sulla carta stampata: da Cesare Garboli a Beniamino Placido ad Alberto Asor Rosa. Quest’ultimo, ad esempio, nel ”92 si lamentò che in Italia non ci fossero più gli intellettuali-guida di un tempo, quegli scrittori o pensatori che, come Pier Paolo Pasolini, i quotidiani potevano mettere in prima pagina. Su ”Panorama”, gli rispose invocando un po’’ di silenzio. Forse potremmo definirlo un Pietro Aretino del nostro tempo. Dunque un tipo di scrittore italianissimo, in bilico tra erudizione, maniera e invenzione. Proprio lui che, pure essendo nato in Italia, in Italia non sembrava capace di viverci. Non ci veniva spesso, anche se era presentissimo sulla scena culturale. O almeno, non veniva spesso a Roma. Forse andava di più a Milano, dove tra l’altro era critico teatrale di ”Panorama”. La sua vita quotidiana la divideva tra due paesi che, per diverse ragioni e in diversi modi, erano ”fuori” dell’Europa convenzionale: la Svizzera e l’Inghilterra. Insegnava all’università inglese di East Anglia, e la casa ce l’aveva in Svizzera, abitava a Bellinzona [...] Forse la sua migliore descrizione è quella che fece nel 1987 Enzo Golino recensendo il suo saggio La ragion comica pubblicato da Feltrinelli: ”Un folletto scatenato si esercita da alcuni anni a dimostrare che la cultura italiana pecca di sussiego e di solennità La sua arguzia è contagiosa, la sua ironia accattivante, il suo sarcasmo lascia segni che bruciano tra gusti e disgusti, stizze e bizze. Usa le parole come giocattoli, costruisce frasi veloci come saette, scorrazza dentro le più svariate forme di linguaggio, da laborioso abitatore di grammatiche e sintassi. Questo folletto è un professore ma impartisce le sue lezioni in modo nient’affatto professorali. Sarà difficile vederlo in cattedra nei nostri atenei... Si chiama Guido Almansi, è italiano ma insegna letteratura inglese e comparata all’università di East Anglia, naturalmente in Inghilterra. A leggere i suoi scritti, si ha l’impressione che manderebbe al diavolo tonnellate di ponderosi studi accademici e secoli di tradizioni letterarie per un solo rigo di Lewis Carroll o di Rabelais”. Ufficialmente era etichettato come anglista, ma anche questa definizione va presa con molti chiaroscuri. Nell’84 scrisse un saggio Amica ironia, in cui, scrisse Italo Calvino, cerca di circoscrivere, più che di definire, quanto di essa sfugge ad ogni definizione troppo rigida. E tra gli autori che analizza sono presenti Jane Austen e George Eliot, ma anche Bocaccio e Ovidio e perfino i casi clinici di Freud. Qui, scrisse Calvino ”è la nevrosi, e non la ragione, ad essere ironica”. Per esempio: ”Il giorno della partenza dell’amica, essendo inciampato in un sasso mentre camminava per la strada, dovette raccoglierlo e metterlo in un canto perché gli era venuta l’idea che la carrozza su cui lei viaggiava avrebbe percorso quella strada qualche ora dopo e l’amata avrebbe potuto subire un danno a causa del sasso; ma qualche minuto dopo pensò che era un’assurdità, e dovette tornare indietro a rimettere il sasso dove si trovava prima, in mezzo alla strada”. Non tutti comunque erano entusiasti di lui. Nel 1988 il suo romanzo La nuova Alice (Marsilio) suggerì a Massimo Onofri tristi considerazioni, che scrisse, fra l’altro su ”diario”: ”A me pare che questo Novecento sia stato il secolo delle tante stazioni, degli improvvisi viaggi, degli imprevisti ritorni: e che il treno di Guido Almansi stia sferragliando, malinconicamente, su un binario morto”. Rosellina Balbi era indifferente ai suoi vestiti vistosi. Proprio lei, che nei suoi perenni golf aveva quell’aspetto di monaca laica, puritano e sprezzante del corpo, che è stato tipico delle donne ”emancipate” della sua generazione» (Laura Lilli, ”la Repubblica” 12/7/2001).