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 2002  febbraio 11 Lunedì calendario

ALTAFINI José Piracicaba (Brasile) 24 luglio 1938. Ex calciatore. Detto «Mazzola» per la somiglianza con il sommo Valentino, è nato nello stato di San Paolo (Brasile)

ALTAFINI José Piracicaba (Brasile) 24 luglio 1938. Ex calciatore. Detto «Mazzola» per la somiglianza con il sommo Valentino, è nato nello stato di San Paolo (Brasile). Centravanti di ruolo, è stato uno dei più grandi cannonieri della storia del calcio italiano: con 216 gol - al pari di Peppino Meazza - occupa il terzo posto assoluto dietro a Silvio Piola (274) e Gunnar Nordahl (225). Debutta nel Palmeiras di San Paolo, poi Milan (dal 1958 al 1965: 205 partite, 120 reti), Napoli (1965-1972: 180 partite, 71 reti) e Juventus (1972-1976: 74 partite, 25 reti). Nell’albo d’oro spiccano quattro scudetti (1959 e 1962 Milan, 1973 e 1975 Juventus), una Coppa dei Campioni (1963 Milan), la prima conquistata da una squadra italiana, 2-1 al Benfica nella finale di Wembley, doppietta di Josè. Capocannoniere in campionato nel 1962 e in Coppa dei Campioni nel 1963. Sono rimasti famosi, ai tempi del Milan, i burrascosi rapporti con Gipo Viani, che arrivò a chiamarlo «coniglio». Con la Nazionale brasiliana ha disputato e vinto i Mondiali svedesi del 1958. Era, quella, la straordinaria «seleçao» di Garrincha, Didì, Vavà e Pelè. Su sei partite, Altafini fu titolare con Austria (2 gol), Inghilterra e Galles, ma saltò semifinali e finale: il ct Feola gli preferì Vavà. In qualità di oriundo, Josè ha vestito anche la maglia azzurra: 6 partite, 5 reti, inclusa la fallimentare esperienza in Cile, Mondiali ”62. Oggi, è uno dei più competenti e pittoreschi tele-commentatori di Sky sport. «Non ha vent’anni quando con la nazionale carioca (laggiù lo chiamano Mazzola per la somiglianza col grande Valentino) vince il mondiale ”58 giocando alcune gare da centravanti al posto di Vavà. Il Milan l’acquista subito e l’inserisce nella squadra di Schiaffino e del giovanissimo Rivera: con 28 reti la trascinerà allo scudetto del 1959, replicando nel 1962, ma è il 1963 l’anno della consacrazione, con la prima conquista della Coppa dei Campioni da parte di un club italiano, nella finale di Wembley, contro il Benfica: segna la doppietta che consente di rimontare il gol della stella portoghese Eusebio. E si laurea cannoniere del torneo con 14 reti: un primato. Però l’avventura italiana non è tutto rosa e fiori: il direttore tecnico milanista Viani lo chiama ”coniglio” accusandolo di scarso coraggio in campo specialmente nelle trasferte. Nel 1964/65 si rifugia in Brasile per molti mesi e ritorna solo a fine campionato. Il Diavolo ha sette punti di vantaggio sull’Inter e la storia vuole che il rientro del fuoriclasse coincida con il crollo dei rossoneri. Il Milan lo cederà al Napoli (per 110 milioni di lire) e giocherà due stagioni con Sivori. La sua carriera pare ormai agli sgoccioli. Invece, a trentaquattro anni, per il ”vecchio José” arriva una seconda giovinezza nella Juventus che l’utilizza part-time, nei finali di partita, ripagata con molti gol decisivi e due scudetti. Chiude, ormai quarantunenne in Svizzera e poi diventa commentatore televisivo. Ha collezionato la bellezza di 459 partite in serie A: il record per gli stranieri del nostro campionato» (Dizionario del calcio italiano). «Quando deve ricordare mette davanti a tutto due cose. Le botte: ”La partita più sofferta? La finale di Coppa dei Campioni a Wembley, dalle botte la notte successiva non riuscii a dormire”. E i sacrifici: ”Niente salumi, pochissimo alcol, niente fumo, quante privazioni!” [...] Il piccolo José cresce in una famiglia povera, morde il calcio e la fame, chiude con la scuola dopo la quarta elementare, a nove anni prova coi lavori più disparati a portare la sua pietruzza al muro della vita familiare. Niente: in tavola c’era sempre lo stesso piatto, riso e fagioli. Si iscrive a una scuola professionale, diventa meccanico, studio e lavoro. La sua passione però è il calcio [...] Nel 1954 [...] il padre rifiuta il trasferimento al Bangù, ma quando a chiamare, nel 1955, è il Palmeiras, la squadra degli italiani di San Paolo, il rifiuto è impossibile [...] Diventa un fuoriclasse [...] ha classe, forza fisica, colpo di testa e un senso del gol spaventoso [...] in campionato ha segnato 216 gol in 459 partite» (’Calcio 2000” febbraio 1999). «[...] L’Ajax del calcio totale. ”La squadra che, in assoluto, mi ha impressionato di più. Non dare retta a quegli scienziati da strapazzo che millantano di averla copiata. Quell’Ajax era e resterà un capitolo a sè, unico nel suo genere. Rimasi in campo per 90’, e alla fine mi divertii a contare quanti mi avevano marcato: Blankenburg, Krol, lo stesso Cruyff, talvolta Neeskens. Per farla breve: tranne il portiere, più o meno tutti” [...] La partita più bella della tua carriera? ”Un Palmeiras-Santos del ”57. Io nel Palmeiras, Pelè nel Santos. Cito a memoria: 5-1 per loro, rimontissima, 6-5 per noi a dieci minuti dal termine. Risultato finale: 7-6 per il Santos. La gente impazzì, letteralmente. Pelè segnò tre gol, il sottoscritto pure. O forse due: boh... [...] Alla bellezza ho sempre preferito l’importanza. E il gol più importante che ho realizzato rimane, nei secoli, il secondo di Wembley, finale Benfica-Milan, il gol che ci diede la prima Coppa dei Campioni. Il paradosso è che fu uno dei più banali: in contropiede, su respinta di Costa Pereira. Ero solo e avevo pure sbagliato mira...[...]Ormai il calcio è atletica spinta agli eccessi, senza poesia. Per questo, quando trovo uno che sa recitare o azzecca una rima, mi lascio andare. I calciatori moderni sono macchine. Sai che ti dico? se mi allenassi come loro, sarei titolare in qualsiasi squadra. A 66 anni: giuro”» (Roberto Beccantini, ”La Stampa” 4/4/2005).