Varie, 11 febbraio 2002
ANASTASI Andrea
ANASTASI Andrea Poggio Rusco (Mantova) 8 ottobre 1960. Ex giocatore di pallavolo, adesso allenatore. Già sulla panchina azzurra, dal febbraio 2011 ct della Polonia, subito condotta al bronzo europeo • Da giocatore disputò 16 campionati di serie A, dal 1977 tre anni a Parma, tre alla Panini Modena, quattro a Falconara, quattro a Treviso, uno a Schio, uno a Gioia del Colle. Con la nazionale giocò 134 partite vincendo l’Europeo a Stoccolma nel 1989, la World League e il mondiale in Brasile nel 1990. Allenatore della nazionale dal gennaio 1999 al dicembre 2002, vinse subito World League ed Europeo conquistando il terzo posto alle Olimpiadi di Sydney (2000). Ct della Spagna, nel 2007 la condusse al primo titolo europeo della sua storia • «[...] Centottantatré centimetri sono pochi per giocare a pallavolo. Pochissimi per fare lo schiacciatore. Eppure, Andrea Anastasi l’ha fatto per 15 anni. Benissimo. Lo chiamavano Nano, inevitabilmente. Lui sorrideva, saltava come un grillo e faceva punti. Cuore, testa e tecnica per beffare gli spilungoni che provavano a murarlo. Ricezione, difesa ma anche attacco per guadagnarsi 134 presenze in azzurro, proprio quando l’Italia diventava padrona, con Velasco ct. L’oro europeo del 1989, quello mondiale del 1990. I trionfi dei devastanti Lucchetta, Bernardi, Gardini e Zorzi, ma anche di gente come Anastasi, collanti dello spogliatoio, equilibratori della squadra. Doveva fare l’allenatore, uno così. In effetti, l’ha fatto. Per tutti, però, è rimasto il Nano. E ha cercato altre sfide complicate. Come quella di riprendersi l’Italia, da ct, e di mantenerla al top anche nell’era del “rally point system”: missione compiuta con gli ori nell’Europeo 1999 e nelle World League 1999 e 2000. [...] la pallavolo italiana che lo scaricò malamente nel 2002, dopo un 5° posto mondiale causato dallo sfortunato ko nel quarto contro il Brasile che avrebbe poi stravinto: 15-13 al tie-break, senza Giani e Papi infortunati. La Federazione decise di cambiare, nonostante il buon bottino di quel quadriennio (un Europeo, due World League, un bronzo olimpico) e quell’intuizione (Fei trasformato da centrale a opposto) che dà frutti ancora oggi. L’Italia, nel 2003, passò a Montali. E il Nano ci rimase male. Ripartì da Cuneo, dalla nostra A1. Due stagioni senza allori, un senso sempre più diffuso di disagio per il ruolo sempre meno centrale occupato dall’allenatore in Italia. L’estate 2005 da disoccupato-dimenticato. Un esilio forzato, sfruttato per stare finalmente un po’ più in famiglia, con la moglie e i due figli juventini come lui, per curare meglio il piacere della buona tavola, per fare il commentatore televisivo. [...]» (Roberto Condio, “La Stampa” 17/9/2007) • Iniziò a giocare «in una scuola media di Poggio Rusco, nel mantovano. C’è una grande tradizione. Avevamo un insegnante che era riuscito ad attirare un gran numero di ragazzi. Vivendo vicino a Modena subivamo l’influsso delle squadre di quella città: la prima pallavolo che ho visto era quella di Storek, Sibani, Dall’Olio [...] Nel 1976 avevo un contatto con la Villa d’Oro, ma la società saltò e io restai a Poggio. L’anno dopo provai a Parma e Sassuolo e decisi per la prima [...] Nell’80, giocavo nel Modena di Paolo Guidetti, ho cominciato a segnare tutto riguardo agli allenamenti, dalla A alla Z in un quadernetto: riscaldamento, palla a coppie, attacco [...] Ho trascritto Montali a Treviso. Velasco ce l’ho tutto: gli allenamenti e i discorsi fuori. È una mia abitudine: scrivere qualsiasi spunto interessante [...] Sono stato un giocatore difficile, questo mi ha insegnato tanto, riesco a intuire se uno cerca di barare. Però, se vogliono, ti fregano sempre [...] Non riesco a vedere l’allenatore che alla fine di un torneo va a far festa con la squadra [...] Le cose vanno separate, perché tu non devi mai perdere la posssibilità di decidere. Se sei amico di un giocatore puoi trovarti in difficoltà [...] Fossi stato alto due metri non sarei arrivato dove sono. Perché il gap fisico era talmente grande che dovevo ingegnarmi per colmarlo [...] Nella mia famiglia lavorava solo mio padre (impiegato): eravamo tre fratelli, non navigavamo nell’oro ma abbiamo studiato tutti. E non ho mai avuto l’impressione che mi mancasse qualcosa» (Gian Luca Pasini, “Gazzetta dello Sport Magazine” n.36 1999).