Varie, 11 febbraio 2002
ANDREOTTI
ANDREOTTI Giulio Roma 14 gennaio 1919. Politico. «Esponente di spicco della DC, parlamentare della Costituente (1946), sottosegretario con De Gasperi, più volte ministro, a lungo in sintonia con il Vaticano su materie di rilievo come la politica estera, assunse con gli anni il ruolo di abile mediatore tra forze politiche diverse e guidò una corrente spesso determinante per gli equilibri interni al suo partito. Sette volte presidente del Consiglio (due nel 1972-73, tre fra il 1976 e ”79, due tra 1989 e ”92), presiedette nella prima metà degli anni ”70 un esecutivo non sgradito a destra e nella seconda metà quelli di solidarietà nazionale contrassegnati dalla collaborazione tra DC e PCI. Senatore a vita dal 1991. Inquisito per associazione mafiosa nel 1993 e processato, è stato assolto in primo grado nel 1999. La sentenza è stata parzialmente riformata in appello nel 2003 con la prescrizione di una parte del reato commesso; assoluzione e prescrizione sono state confermate dalla Cassazione nel 2004. Assolto in primo grado, condannato in appello a 24 anni come mandante dell’omicidio di Carmine (’Mino” Pecorelli, direttore della discussa rivista ”Op”), è stato assolto in Cassazione nel 2003» (Garzantina Universale, 31 agosto 2008) • «Politico di rare abilità, esordì come esponente del centrismo, poi fu critico del primo centro sinistra, in seguito ne divenne sostenitore, e fu pronto anche a ”aprire” ai comunisti con la formula della ”solidarietà nazionale”. In politica estera, fu ”atlantista” e ”europeista”, pur con vigile attenzione ai rapporti col mondo arabo. Accusato di intrighi politico-mafiosi, fu assolto nel 1999, condannato in appello nel 2002» (Colombo, ”Corriere della Sera” 19/11/2002). « uno dei grandi delle tre Italie (liberale, fascista, democratica). Di quest’ultima è stato protagonista, forse uno dei maggiori perché durante un tempo superiore a quello di De Gasperi, Sforza o Togliatti. Della Repubblica è quasi un eroe eponimo: una stagione sarà ricordata come ”andreottiana”. Oltre alla giovinezza a fianco di De Gasperi, è da ricordare la sua maturità come capo corrente ”nel centro del centro” e come uomo- ponte verso il mondo cattolico. La prima caratteristica è stata il perno della politica tripolare all’italiana; la seconda non si è mai tramutata in sudditanza e si è manifestata con caratteri fatalmente laici. Di stile personale romano, ben diverso dal trentino De Gasperi, si è fatto portatore di interessi statuali pur conservando un’anima interamente guelfa» (Rumi, ”Corriere della Sera” 19/11/2002). «Ha gestito il potere più a lungo di ogni altro politico italiano. Forse più a lungo di ogni altro politico di paesi democratici: dal 1947, sottosegretario accanto ad Alcide De Gasperi, fino al 1992. In questi 45 anni è stato uno dei gestori del periodo di maggior sviluppo della nostra storia dopo il Rinascimento. Questo è il merito. Ma, poiché il potere corrompe sempre almeno un poco, un potere di lunga durata corrompe di più. In maggior misura in un paese dove il crimine organizzato ha forte peso, come la mafia in Italia. Da qui i lati oscuri della sua storia politica con decine di richieste di autorizzazione a procedere, sempre respinte dalle Camere quando egli era intoccabile e inossidabile. Poi la cronaca è cambiata. diventata giudiziaria. E la storia quindi ne terrà conto. Con equilibrio» (Galli, ”Corriere della Sera” 19/11/2002). « il personaggio più singolare nella storia politica della Repubblica italiana. Perché, infine, ha sempre fatto ”ponte per se stesso”. un politico romano che ha avuto la capacità di rappresentare le due grandi burocrazie romane, quella vaticana e l’italiana. Non è mai stato uomo di partito, ma uomo di governo, come si addice a un grande rappresentante delle burocrazie. Non vi è un’opera della politica italiana degli ultimi cinquant’anni che si possa far risalire a lui, ma egli è stato tuttavia una figura determinante dell’insieme della storia italiana» (Baget Bozz, ”Corriere della Sera” 19/11/2002). Il padre Alfonso era maestro, la madre Rosa casalinga. «L’incubo che avevamo io e mio fatello: quello di morire a 33 anni. A quell’età se n’erano andati sia mio padre, sia il padre di mio padre. Fino a che non abbiamo superato quella soglia abbiamo avuto paura [...] La storia è una cosa seria. Io appartengo alla cronaca. Se non fossi nato, l’Italia sarebbe andata avanti lo stesso, e nessuno se ne sarebbe accorto» (’Panorama”, 14/1/1999). «Molti sono per lui, molti contro. Piace la sua ironia sottile, le sue orecchie a sventola, la sua testa ingobbita tra le spalle, il suo aspetto da salamandra, le sue battute proverbiali, la sua furbizia, il suo linguaggio piano, comune. Dispiace invece l’ipocrisia, l’impenetrabilità, il cinismo che traspare dai suoi comportamenti, il trasformismo politico, le frequentazioni spesso equivoche, i misteri, i doppi e tripli fondi della sua mente. […] stato, insieme a Fanfani e a Moro, uno dei cavalli di razza della Democrazia cristiana ma con alcune differenze sostanziali. Fanfani fu il capo d’una corrente che per alcuni anni ebbe la maggioranza del partito; Moro si impose per la sottigliezza della tattica e l’intelligenza della strategia. Il primo rappresentò la sinistra sociale della Dc, il secondo la sinistra politica. Andreotti fu il leader d’una minoranza legata a lui da vincoli personali, una sorta di caravella senza legami e ancoraggi ideologici, capace di spostarsi dall’uno all’altro capo dello schieramento politico in meno di ventiquattr’ore seguendo le istruzioni del suo capitano. Con questo armamento leggero transitò dal centro alla destra, poi alla sinistra, civettò con Bufalini, sedusse perfino il vecchio maresciallo d’Italia Graziani, reduce dai nefasti di Salò, governò di volta in volta con Malagodi, coi repubblicani di La Malfa, con Saragat, con Nenni, con Berlinguer. Simpatizzò con Gheddafi ma anche con Israele, con l’America di Little Italy ma molto meno con quella di Washington. Si circondò di mediocrità dialettali e di professionisti dell’intrallazzo politico, giudiziario, imprenditoriale: Evangelisti, Sbardella, Cirino Pomicino, Vitalone, Caltagirone. Incontrò nella sua lunga strada anche Sindona, anche Calvi. Eppoi Lima e i cugini Salvo. Ai loro tempi Moro e Fanfani furono molto potenti. Ma Andreotti rappresentò il potere. No fu intrinseco di nessun papa, ma di molti cardinali e vescovi. Craxi, quand’era presidente del Consiglio, lo paragonò pubblicamente a Belzebù» (Eugenio Scalfari, ”la Repubblica” 19/11/2002).