11 febbraio 2002
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Andretti Mario
• . Nato a Montona (Trieste) il 28 febbraio 1940. Pilota di Formula 1. Campione del mondo nel 1978 al volante della Lotus. Quattro volte campione della Indy car: 1965, 1966, 1969, 1984. Il debutto in Formula uno nel 1968. «E’ già un pilota affermato quando si accorda con la Ferrari per disputare alcune gare nel 1971: non tutte quelle in calendario, a causa degli impegni del pilota istriano nel campionato Indy, dove ha già vinto nel ’69 la 500 Miglia di Indianapolis. Fino a quel momento, in F.1 ha corso nove volte con la Lotus e con la March, ottenendo come miglior risultato il terzo posto nel Gran Premio di Spagna del 1970, disputato appunto con la neonata March. Il debutto alla briglia del Cavallino rampante non poteva essere migliore, visto che vince nella gara d’esordio in Sud Africa: ma quella resterà l’unica vittoria ottenuta da ”piedone” con la Rossa di Maranello. Anche nella stagione successiva, disputa solo cinque Gran Premi con la Ferrari, ottenendo come miglior risultato il quarto posto in Sud Africa. Nelle stagioni successive, correrà in F.1 con Parnelli, Lotus, Alfa Romeo e Williams, diventando campione del mondo nel 1978 con una fantastica Lotus che spiazza la concorrenza con la soluzione dell’effetto suolo. Ma sarà proprio con la Ferrari che ”piedone” disputerà le ultime gare in F.1, quando nel 1982 sarà chiamato a sostituire l’infortunato Pironi nei Gran Premi d’Italia e degli Stati Uniti. E a Monza, davanti a un pubblico in delirio, realizza una fantastica pole position: poi, in gara, dovrà accontentarsi del terzo posto» (sports.com). «Arrivò negli Stati Uniti 50 anni fa, ragazzino stupìto e irrequieto, al seguito di una famiglia che aveva conosciuto i sacrifici di un campo di concentramento. Erano riusciti, gli Andretti, a sfuggire alla morsa comunista di quella parte dell’Italia destinata a diventare jugoslava. Papà Andretti aveva in tasca 125 dollari in tutto, ma uno zio di Mario che viveva in Pennsylvania pagò loro il viaggio. Mario adorava Ascari, sognava di emularlo e lo diceva spesso ai suoi. Il ragazzo crebbe con la passione dei motori e con il rispetto per i genitori e per la fede cristiana instillata in lui da uno zio prete. La Ferrari ora è parcheggiata in garage, Mario Andretti è un ricco signore di 62 anni che resta un mito americano dell’automobilismo, ma che ama l’Italia e parla ogni volta che può in italiano. Paul Newman ha detto di lui: ”Mario è una persona gentile, seria, generosa ed onesta”. La storia del perfett o emigrante che ha fatto fortuna, un fenomeno non frequentissimo per il mondo dello sport... ”Già, ma è una definizione che mi piace e mi inorgoglisce. Perchè mi aiuta a ricordare le mie origini. Non dimenticherò mai i primi giri a bordo di una Hudson sull’ovale di Nazareth. Io e mio fartello Aldo lavoravamo in un garage e nel tempo libero mettevamo a punto una vecchia macchina... Poi Aldo ebbe un pauroso incidente che lo tolse dalle competizioni. Peccato perchè lui era un vero talento”. L’automobilismo in Usa era (ed è) soprattutto Indianapolis... ”Mi offrirono di gareggiarvi qualche anno prima del mio effettivo dubetto. Avevo alle spalle un numero incredibile di gare sugli ovali, ma rifiutai: non mi sentivo ancora pronto per competere con quei ’mostri’. Però nel 1969 vinsi ed anche Indy divenne una parola familiare”. Per 20 anni poi inseguì una secondo successo nella classica di Indianapolis, senza successo... ”Certo, ci provavo con tutte le forze ma i risultati nelle corse automobilistiche spesso sono legati alla rottura di una parte meccanica che puoi comprare sul mercato per un dollaro. Questo è il bello delle corse”. Nel frattempo nel 1968, a Watkins Glen, su una Lotus provò per la prima volta l’ebbrezza della Formula 1. ”Ero emozionato come un bambino. Gli altri piloti venivano a darmi pacche sulle spalle mentre io avrei voluto chiedere i loro autografi. Mi sentii come un bambino in una sala piena di giocattoli...”. Vittorie, fama, denaro. Dal quel momento la sua vita cambiò per sempre. ”Già, come in un film. Quanti viaggi però, quante assenze da casa. Mia moglie, quando tornavo, diceva: ’Ma guarda, oggi abbiamo un ospite...’. Certo non era facile, sempre a rischiare la pelle e tutto di corsa. Ma la domenica andavo a messa anche se mi trovavo al... polo nord”. Poi l’incontro con la Ferrari. ”Un matrimonio che all’inizio mi procurò qualche problema. La scuderia di Maranello per me aveva organizzato un set fotografico in cui io e la macchina eravamo attorniati da bellissime donne. Quando le foto furono pubblicate ricevetti una telefonata da mio zio prete dall’Italia. Mi fece una ramanzina che non vi dico. Dovetti spiegargli che non c’era nulla di male con quella pubblicità. Anche mia moglie era pronta a rompermi qualcosa in testa...”. Un episodio singolare per un professionista conosciuto ovunque per la sua serietà e per il grande attaccamento alla famiglia... ”Io dico sempre che sono stato sempre fortunato. Che il Signore è stato buono con me, mi ha sempre protetto nella vita e sulle piste. Ho avuto una vita interessante anche se, devo proprio dirlo, se fossi rimasto in Italia avrei non credo che avrei avuto le medesime opportunità”. Nel 1971 debuttò con la Ferrari vincendo il Gp del Sudafrica. Diventò così un grosso nome anche nella Formula 1. ”Qualcuno mi appioppò il nomignolo di ’piedone’, perchè, dicevano, spaccavo spesso i motori. Chissà. Certo che quando mi calavo nell’abitacolo di quell’auto straordinaria e unica al mondo, l’adrenalina saliva alle stelle”. Nel 1978 il suo compagno di squadra Ronnie Peterson perse la vita in un incidente a Monza, forse il momento più difficile della sua carriera. ”Non lo dimenticherò mai. James Hunt spinto verso Ronnie da un altro concorrente, la sua auto che va in fiamme. Mi passa spesso negli occhi come un film senza fine”. Quando segue suo figlio Michael in una gara, che cosa pensa? ”Cerco di capire se compie i movimenti giusti, se sta usando le marce giuste, non ho paura. Però se lo speaker dell’autodromo annuncia: ’incidente a Michael Andretti’, allora il mio cuore si ferma di colpo”. E’ un uomo molto ricco: aziende di vini in California, una catena di stazioni di servizio, aziende di auto, di go-karts, di abbigliamento che portano il suo nome, spot pubblicitari in tutti i network Usa... ”Mia moglie cura i conti, io monto sul mio aereo e vado ovunque c’è da andare. Le pantofole le userò tra qualche anno, se Dio vuole”» (Benny Manocchia, ”Avvenire” 10/10/2002).