Varie, 11 febbraio 2002
ANNUNZIATA
ANNUNZIATA Lucia Salerno 8 agosto 1950. Giornalista. Editorialista della Stampa (dove ha anche curato la rubrica delle lettere), su Raitre conduce In ½ ora. Ex direttore del Tg3, ex corrispondente di guerra del ”Corriere della Sera” e di ”Repubblica”, ex presidente della Rai (2003-2004) • «’Non faccio parte dell’establishment giornalistico. Una gang di maschi che decide chi sta dentro e chi fuori e che mi ha messo in croce quando dirigevo il Tg3 […] Ce l’hanno con me perché sono selvaggia, arrogante, presuntuosa. E figlia di ferroviere. Mi vergognavo della mia casa popolare coi panni stesi. ”Sei una piccola borghes, mi diceva papà, sindacalista comunista delle Ffss”. Nel 1968, era ”una miltante scatenata”. Dopo la laurea in filosofia, sposò un napoletano di origini olandesi, Wanderlingh, con cui si trasferì in Sardegna, sognando la rivoluzione. ”I compagni operai di Portovesme mi addestravano a sparare nei boschetti di Carbonia”. Nel 1974, in una riunione dell’extrasinistra, si imbatté in Luigi Manconi, di Lc. ”Scoppiò l’amore, finì il matrimonio. Furono anni di gioie, botte, tradimenti”. Passò al ”manifesto” come giornalista […] Mollò tutto per gli Usa. Ci restò un decennio da corrispondente, impalmando un’altra doppia W., Daniel Williams, del ”Washington Post”, attuale marito. Passò a ”Repubblica” e seguì la guerra del Golfo. Poi tre anni di ”Corriere della Sera”, prima della Rai e di Ap Biscom» (Giancarlo Perna, ”Capital” n.7/2001). «Se il mestiere dell’inviato di esteri non fosse cambiato, lo farei ancora, spero di rifarlo, non so se sarà possibile. […] Cominciai nell’81 in America Centrale e qualsiasi notizia dal Nicaragua e dal Salvador scuoteva le coscienze. Oggi si va in Jugoslavia e ci si sente fuori dal mondo . come se uno mandasse una lettera in una bottiglia […] Un giornalista non è uno scrittore, un politico o un intellettuale. Il mestiere di giornalista è un mestiere in cui ci si dedica alla scrittura quotidiana virgolettata dall’impatto tra i fatti e le persone. Non bisogna perdere l’impatto, se non si perde la ragione della scelta del mestiere […] In Italia si disquisisce sempre sulla grande diversità tra il nostro giornalismo e quello anglosassone. Ma se si guardano da vicino, i due mestieri vivono lo stesso trend, gli stessi problemi. […] Mi è rimasta l’idea di morire in condizioni drammatiche, non riesco a togliermela. Sarà forse il pessimismo napoletano […] Da giovane ero romantica politicamente, oggi ho imparato che aiuta di più il cinismo […] Sono famosa per avere un caratteraccio, ma non è vero […] Lavoro moltissimo in modo eccessivo, sono perfezionista, ho delle fortissime opinioni ma questo non è cattivo carattere. Non sono né cattiva né invidiosa. Sono forse una rompiballe […] Nono sono mondana, non vado quasi mai a feste, a cene o fuori di casa» (Alain Elkann, ”La Stampa” 6/5/1996). «Il papà la portava tutte le mattine all’asilo, in treno, affidandola a un collega in quel di Avellino Scalo. Un giorno nevicava e per non farle bagnare le scarpine Lucia venne provvisoriamente deposta sulla carta di un quotidiano. E qui, come in un racconto edificante, si scoprì che la piccola sapeva leggere. Aveva imparato da sola. Prodigi, dunque. […] Nell’estate del 1995 le avevano affidato un talk-show politico. Prima puntata tutta al femminile con Suni Agnelli e Giovanna Melandri. Lei se l’era anche cavata egregiamente, ossia con grinta e ritmo, video-qualità tra le più richieste in quel genere di arene. Ai politici chiaramente mendaci e ai numerosi pesci in barile della Repubblica l’Annunziata quasi mai si rivolgeva con aggressività. Quelli parlavano, parlavano, parlavano, ma lei semplicemente, se li guardava con un certo distacco e quindi gli sparava addosso una frase che divenne un po’ la sua cifra televisiva: ”Mi dia una riposta plausibile”. Ad alcuni, recidivi, diceva: ”Mi dia una risposta più plausibile”. Ebbe successo. Ma quello stesso successo, probabilmente, la portò la notte dei risultati elettorali a salire sul palco montato a piazza Santi Apostoli per celebrare la vittoria dell’Ulivo. Che non è una cosa simpatica, per una giornalista. Tanto meno è simpatica se qualche mese dopo questa stessa giornalista viene promossa alla guida di un tg. E insomma, così fu. Era la primavera-estate del 1996. Si disse che lo sponsor era D’Alema (che pure su quel palco non era stato invitato). Ma per dire le contorsioni della politica, e ancora di più quelle della Rai, quando nemmeno due anni dopo ebbe termine la direzione di Annunziata al Tg3, sempre si disse che dipendeva da D’Alema. E insomma, il cavallo di viale Mazzini dimostrò una potenza magica di superiore entità. Esaurito l’excursus, la leggenda, o meglio la biografia annunziatiana va ripresa dall’adolescenza a Salerno e quindi dal giornalismo. Militante, senza dubbio, questo giornalismo. Comunista. Nasce infatti al ”Manifesto”. Maestri sono Pintor e la Rossanda. Il quotidiano assembleare, elegante e moderatamente estremista si rivela una di quelle esperienze che nella vita e nella carriera si definiscono fondanti. innamorata della cronaca, vive i suoi vent’anni con frettolosa generosità. In redazione la stimano, la contestano, la valorizzano. Ma lei non si accontenta mai. sveglia, decisa, conosce un mare di gente. S’innamora, vive la stagione civile più difficile, ma cerca anche l’altrove, quindi parte, traversa l’oceano, arriva in America: New York. Qui all’inizio fa una specie di vita bohemienne: case incerte, ospitalità improbabili, pochissimi soldi, ma ”siamo tutti compagni”. Sono gli anni settanta, del resto, e qualche ricco inviato della stampa borghese che ti paga la cena c’è sempre. Ma poi anche l’America le diventa stretta. E allora via in Centroamerica. Sono i brividi della cronaca, la febbre del reportage. Quando segue la guerra dei Contras in Nicaragua e poi va a cercare notizie (e guai) nel Salvador è già un piccolo mito di coraggiosa sventatezza, nella comunità giornalistica. Un paio di volte se la vede brutta. I poteri costituiti, gli eserciti, le polizie di frontiera - sarà una costante della sua carriera - diffidano istintivamente di quella ragazza con penna e taccuino che sa alzare la voce. […] Di solito se la cava da sola. Ma in Salvador dovette venire a salvarla, con un camion, uno dei più famosi fotografi di New York, James Nachtway. Scrive per il ”Corriere della Sera”, per la ”Repubblica”, ormai. Un giorno, affacciata a una finestra di qualche città arida e violenta del Centroamerica, vede pestare dai soldati un poveraccio di reporter americano. Si precipita giù, si mette in mezzo, alza le mani, fronteggia i gorilloni. Stavolta è lei a salvarlo. Lui si chiama Dan Williams, lavora per la stampa Usa (oggi è corrispondente del ”Washington Post” per l’Europa meridionale) e diverrà suo marito. Insieme hanno Antonia. Abitano al Ghetto, in un antichissimo edificio che un tempo sembrava del tutto cadente e oggi è bellissimo, perfino lussuoso. Ogni tanto Lucia organizza feste con gente di potere e di mondanità. A volte ci sono, sotto, i fotografi e se ne dà conto nella rubrica del Messaggero ”Roma Giorno e Notte”. Eppure, ancora oggi fa impressione immaginarsela alle prese con Del Noce, Saccà e il ministro Gasparri, pur essendo anche quella di viale Mazzini una forma - certo simulata e simbolica - di quella guerriglia che nelle sue forme più crude lei ha osservata da vicino. A Saxa Rubra ha lasciato un ricordo come al solito controverso, un grumo di amore e rancore, ammirazione e tensione, comunque da prendere o lasciare. Dopo il Tg3 ha rifiutato la sede di Pechino, ma se n’è andata per conto suo a Mosca, da dove scrive per il ”Foglio” e vive attaccata al telefono, con l’Italia. Quando torna è in arretrato con i vizi e le suggestioni della politica. Frequenta i potenti, anche quelli che da giovane si dovevano evitare. Li studia, li diverte, li preoccupa, entra nel gioco permanente delle candidature, del toto-potere. Ma poi, dopo la sciagura di Sarno, si fionda laggiù, senza risparmio, fa venire i giornali, le tv, tira fuori la gente dal fango. Scrive un libro molto bello, La crepa, un saggio di cronaca e di energia giornalistica. Poi torna a immergersi nella realtà romana, nei suoi bollori, nei suoi scetticismi. S’improvvisa manager, si inventa un’agenzia, l´Ap-Biscom, e la impone sul mercato. Ma ha sempre l’aria di chi si aspetta di più dalla vita e anche da se stessa, in fondo. Le è capitata la Rai» (Filippo Ceccarelli, ”La Stampa” 14/3/2003). «Uno dei miei ricordi più lontani è stato il 1956. Avevo sei anni, abitavamo in un casello ferroviario in Irpinia, mio padre ascoltava alla radio la storia, le notizie della repressione ungherese e fumava nervosamente in cucina. La mia educazione politica è stata vivere tra passioni e tormenti. Come tutti i comunisti, era un uomo tormentato ma non gli piaceva lo stalinismo, non gli piacque l’invasione di Praga, però viveva in Italia […] Quando avevo un anno ed abitavamo in Irpinia, un fulmine ha colpito la casa e s’è propagato attraverso tutti i locali e una scheggia di fulmine mi ha colpito un occhio, bruciandolo per sempre […] Vivere con un solo occhio ti abitua a un controllo delle tue risorse. Si è più attenti a quello che si fa […] Ci sono molte donne che nel mio mestiere hanno fatto più di me […] Come giornalista da giovane sono stata molto aiutata da donne eccezionali più grandi di me: Rossanda, Mafai, Castellina […] Penso di avere un carattere difficile per gli altri. Cerco di combattere questo aspetto. Non godo di questo carattere difficile» (Alain Elkann, ”La Stampa” 18/2/2001).