varie, 11 febbraio 2002
ANSELMI Giulio
ANSELMI Giulio Valbrevenna (Genova) 27 febbraio 1945. Giornalista. Dal dicembre 2011 presidente della Fieg. Dall’aprile 2009 presidente dell’Ansa. Ex direttore de “La Stampa”, “Secolo XIX”, “Messaggero”, “Mondo”, Ansa, “L’Espresso”. Dopo la laurea in giurispridenza ha cominciato a collaborare con il “Corriere Mercantile”, nel 1969con “Stampa Sera”, poi inviato speciale di “Panorama”. Dal 1977 al 1984 ha lavorato al “Secolo XIX”, diventandone direttore. È stato, successivamente, direttore del “Mondo”, condirettore del “Corriere della Sera” sino al 1993, direttore del “Messaggero” dal 1993 al 1996, poi direttore dell’Ansa. «Vengo dalla cucciolata di Lamberto Sechi, come Rinaldi, Sabelli Fioretti e Rossella […] Sono nato a “Panorama”, che si sforzava di dire le cose com’erano con molte perline luccicanti […] Sono orgoglioso dei rudimenti di economia che mi sono fatto al “Mondo”, che fu uno dei miei tanti azzardi: andai a dirigerlo senza sapere nulla di più dell’esame di economia politica fatto all’università… Ero una bestia. Ma ho imparato in fretta e ne sono molto contento. Sono fiero anche del primo anno di Mani Pulite vissuto al “Corriere”. I grandi giornali sono fatti di una metà di gente che lavora, un’altra metà che pensa ai fatti propri e di una minoranza che ha come occupazione principale quella di danneggiare gli altri […] Mi è piaciuto molto ridare orgoglio di appartenenza ai giornalisti del “Messagggero” e dell’Ansa. Mi pento invece di alcune durezze: ho imparato solo negli ultimi anni che non si deve mai umiliare nessuno» (Annamaria Guadagni, “liberal” 22/7/1999). «[…] Quando è morto mio padre io avevo undici anni, mia madre era già morta, tutore fu nominato il cardinale Siri che era legato alla mia famiglia […] Quando il cardinale Siri sembrava dovesse diventare Papa, si parlò di trasferire anche me in Vaticano […] Vivevo in casa mia, con mia sorella più piccola e una governante, Anna, una brava donna che arrivai anche a odiare perché la vedevo come la spia del cardinale. I rapporti con Siri erano pessimi […] era un grande conservatore. Sosteneva che le donne non dovevano portare i pantaloni, diceva che la psicanalisi rivoltava i meandri dell’animo umano, amava soprattutto la forma. Quando gli fu riferito che leggevo l’“Espresso” reagì come se avesse scoperto che compravo i giornaletti porno. Mi vietò di comprare la televisione e la macchina. Piccole cose che davano un fastidio tremendo […] D’estate giocavo con i figli dei contadini, d’inverno frequentavo i compagni di classe dell’Arecco, la scuola dei gesuiti […] La mia riconciliazione con Siri avvenne molto tardi. Lo andai a trovare dopo che era stato messo in pensione. Lo trovai con uno scialletto sulle spalle come una vecchietta. Ugo, il vecchio autista, mi disse: “Il cardinale non è più lo stesso, credo che non preghi nemmeno più” […] Ero considerato uno scavezzacollo e mia sorella invece era vista come la perfezione. Io il discolo, lei la brava ragazzina […] A Legge, come tutti quelli che non sapevano che fare. Mi laureai e feci anche delle difese. Ricordo un poveretto che aveva ucciso il padre adottivo a bastonate perché lo insidiava […] Poi riuscii a fare assolvere uno che aveva dato fuoco alla cascina del vicino […] Il mio sogno era fare il regista. […] Da studente avevo collaborato a due pagine giovanili sul “Corriere Mercantile” […] Mi chiamò Fassio, che era il padrone, e mi offrì un posto. Commentatore di politica estera e cronista guidiziario. In pratica ritagliavo i giornali stranieri e andavo ai processi […] Un giorno dissi a un vecchio giardiniere: “Il padrone sono io”. Avevo dodici anni. Mi vergongo ancora oggi come un ladro […]» (Claudio Sabelli Fioretti, “Sette” n. 14/2000). «Sono stati tanti i miei primi libri. Ricordo di aver detestato quelli di lettura indicati dalla scuola, come Pinocchio e Cuore. Il libri che ricordo di aver letto con piacere sono Il libro della giungla, L’ultimo dei mohicani, Il leone di Fiandra. Ho cominciato molto presto. Nella nostra casa di campagna c’era una bella biblioteca. Ho sempre letto prima di addormentarmi. I libri della vita sono stati tanti. Attorno ai quindici anni furono i Livres de Poche francesi nella collezione-poesia da Villon a Eluard, a Valéry. Poi feci indigestione di letteratura italiana del Novecento: mi ero comprato una collezione del Club degli Editori da Bassani a Pavese, da Lampedusa a Buzzati. Poi vennero gli americani: Faulkner, Saul Bellow, Kerouac, Dos Passos […] Ho due tabù: buttare via il pane e buttare via i libri […] Lavoro con le parole, mi piace molto la costruzione logica e musicale di una frase. Sono affascinato dall’uso delle parole […] Sono curioso di quello che succede. Cerco di trovare particolari che siano notizie, di scoprire personaggi. Sono sempre attento, dovunque sia e qualunque cosa faccia, ai piccoli fatti e situazioni che possono diventare una notizia. Però ho una regola: non violare i rapporti di confidenza» (Alain Elkann, “Capital” n.4/1998).