varie, 11 febbraio 2002
ANSELMI
ANSELMI Tina Castelfranco Veneto (Treviso) 25 marzo 1927. Politico. Parlamentare per sei legislature, tre volte ministro, ha presieduto la commissione d’inchiesta sulla P2. «[...] protagonista dimenticata della prima Repubblica, faccia buona della Dc affossata negli scandali, testarda presidente della commissione P2. [...] come ministro del Lavoro, è stata il primo ministro donna della storia d’Italia e ha firmato leggi importanti come la legge di Parità. Ma la grande notorietà le è venuta dalla presidenza della commissione P2. Come mai avevano scelto proprio lei? ”Me l’aveva chiesto Nilde Jotti, presidente della Camera: ’Tutti mi dicono che sei l’unica su cui non ci sono ombre, non puoi dirmi di no’. ’Non sono un magistrato, forse non ce la potrò fare’, avevo obiettato. Ma la Jotti sapeva convincerti. Avevamo molto in comune, venivamo dalla Resistenza, credevamo nelle istituzioni, avevamo la stessa origine cattolica [...] Abbiamo fatto tutto quel che potevamo. Nell’elenco di Gelli c’era buona parte di quelli che contavano, uno spaccato tremendo del paese. Ho avuto pressioni, minacce, denunce, sette chili di tritolo davanti a casa, era una vita impossibile. Ma c’era anche chi ci aiutava ad andare avanti, come il presidente Pertini, che ha giocato un ruolo molto maggiore di quel che si crede. Anche Wojtyla mi aveva incoraggiato. Una volta che ero a San Pietro il papa mi aveva mandato a chiamare. ’Forza, forza’, mi aveva detto battendomi con la mano sulla spalla. Conservo la foto di quell’incontro”. Si dice però che così abbia rovinato la sua carriera politica. Di Tina Anselmi si era parlato addirittura come di un possibile presidente della Repubblica. Ma poi nel ’92 Forlani l’aveva candidata in un seggio perdente e non era stata nemmeno rieletta in Parlamento. ”Sì, Forlani e la sua corte si erano dati da fare per lasciarmi fuori. Ma ben più grave è che molti uomini della P2 siano passati indenni da quegli anni. Basti ricordare l’attuale presidente Berlusconi, tessera numero 1.816, e il suo aiutante Fabrizio Cicchitto, tessera 2.232 [...] Se c’è qualcosa che ho imparato dalla vita è di non credere mai in anticipo di avere già vinto”» (Chiara Valentini, ”L’espresso” 23/2/2006). Ex partigiana: «La mia brigata, la Cesare Battisti, era autonoma. Eravamo di tante idee, non vincolati a nessun partito. Il nostro comandante, Gino Sartor, che era stato ufficiale negli alpini, diceva: ”Finita la guerra decideremo come costruire il paese. Ora dobbiamo vincere”. Io, d’altra parte, di politica cosa vuole che sapessi, a quell’età? Ora è difficile da capire quanto fosse complicato allora il passaggio d’informazioni [...] Sapevi le cose perché le vedevi, le sentivi da qualcuno. Il primo libro che ho letto, di politica, è stato un testo di Bakunin perché un mio amico l’aveva trovato nella biblioteca dello zio [...] Mi ricordo l’unico ceffone preso in vita mia da mio padre. A tavola, lui disse: ”I dittatori possono vincere una battaglia, non la guerra”. Io gli risposi: ”Disfattista”. Mi dette uno schiaffo [...] Avevo una pistola, sì, alla fine l’ho avuta. Mi avevano insegnato ad usarla. Per fortuna non ne ho mai avuto bisogno [...] Il fidanzato della mia amica Marcella, si chiamava Carlo Magova, mi chiese se volevo fare qualcosa per i partigiani. Mi spiegò che non dovevo parlarne con nessuno, nemmeno con i miei genitori, che li avrei messi in pericolo. Che non avrei conosciuto i miei compagni, e che avrei avuto un nome falso per non farmi riconoscere. Gabriella, dissi, non so perché. E accettai. Così ho cominciato i miei cento chilometri al giorno di bicicletta. Alle cinque uscivo, portavo messaggi, ricetrasmittenti, tenevo il collegamento tra le brigate. Poi andavo a scuola [...] Noi facevamo soprattutto saltare binari per impedire le deportazioni, e il trasporto di materiali delle fabbriche oltreconfine[...] C’era un mio cugino, Mario, che viveva in casa con me, non sapevo neppure che fosse partigiano, né lui di me. Nessuno sapeva niente, in verità. La mattina che abbiamo fatto l’accordo con i tedeschi per farli andare via senza che loro saccheggiassero e sparassero, e senza che noi li attaccassimo, era il 26 aprile, sono andata in bicicletta sotto casa mia, erano le cinque, mi sono messa a urlare: ”Abbiamo liberato Castelfranco!”. E mia madre, alla finestra: ”Ma Tina, cosa ci fai per strada a quest’ora, torna su”. stato il giorno che ho arrestato mio padre: quella notte. Un’ombra per strada, non sapeva la parola d’ordine, l’ho arrestato. Fa ridere, no?. stato 55 anni fa. Un attimo, guardi, le assicuroAdesso può non credermi, ma vedrà: 55 anni sono un momento» (Concita De Gregorio, ”il Venerdì” 17/11/2000). Vedi anche: Storia di una passione politica, biografia scritta con Anna Vinci, Sperling & Kupfer.