varie, 11 febbraio 2002
ANTIBO
ANTIBO Salvatore Altofonte (Palermo) 7 febbraio 1962. Ex mezzofondista. Medaglia d’argento nei 10.000 alle Olimpiadi di Seul, oro nei 5000 e 10000 agli Europei di Spalato (una doppietta che prima di lui era riuscita soltanto a Zatopek), carriera troncata da una malattia «Il piccolo male, che per alcuni secondi come un interruttore dispettoso gli spegneva la luce, facendogli perdere la cognizione dello spazio e del tempo. Totò ci ha convissuto in silenzio. Sino al 25 agosto del ”91, quando a Tokyo la sua luce personale si spense mentre invece i riflettori di tutto il mondo erano puntati sulla finale dei 10 mila metri. Venne resa pubblica una vicenda che in molti conoscevano, ma che tutti avevano taciuto. Antibo per primo. ”Avevo deciso di non dire niente a nessuno perché mi avrebbero subito ritirato l’idoneità per le gare. Del resto non correvo in Formula uno e nemmeno guidavo un aereo. Certamente non potevo morire. Al massimo potevo perdere una gara”. E così fu. Una commissione di quindici medici decise di togliergli, e immediatamente dopo restituirgli, il nulla osta per l’attività agonistica. ”Mi misi a piangere. Li supplicai che dovevano continuare a farmi gareggiare. Alla fine si convinsero, ma mi prescrissero delle medicine e quella fu realmente la fine della mia carriera”. Le medicine erano degli psicofarmaci, gli stessi che prende ancora nei momenti critici. ”Sono cose che a poco a poco ti mangiano i muscoli, ti levano la forza nelle gambe, ti fanno mancare il fiato”. Riuscì lo stesso ad arrivare quarto a Barcellona ’92. ”Volevo dimostrare di essere ancora il più bravo e ho sfiorato il podio quando ormai potevo dare solo il cinquanta per cento. Quando ormai ero stato spremuto, dalle medicine e dalla federazione che si è presa tutto e alla fine non mi ha dato nulla”» (Massimo Norrito, ”la Repubblica” 5/1/2002). «Una storia grande nel difficile cammino imposto a chi ha la strada in salita fin da piccino. Lo straordinario cavallino siciliano eroe del mezzofondo, l’unico bianco che sapeva lottare e battere la fortissima falange africana, sembra essere finito nel girone dei dimenticati. Il tempo, i trofei portati nella contrada della sua Altofonte, in Sicilia, ci dicono che lo hanno trattato male. [...] Totò per tutti, non è un signore felice. ”Sto male, ho problemi di salute - racconta - Il piccolo male mi perseguita, ho crisi continue. Adesso sto provando un’altra cura [...] Corro ogni giorno, tempo ne ho, ma non gareggio, neppure nella corse amatoriali: lo troverei cattivo per quegli amatori che fanno tanti sacrifici per allenarsi”. La sua avventura con lo sport agonistico s’è interrotta a Stoccarda, ai Mondiali del ”93. Poi i medici gli hanno negato l’idoneità per via dell’epilessia. ”Per tornare al meglio ero andato anche a Turku, dal professor Orawa per farmi operare ai tendini, tutto a mie spese perché dalla Federazione non s’è fatto mai vivo nessuno: sono anni che non mi chiamano più”. [...] Il suo tempo lo spende per lo sport, ”aiutante” di campo del sindaco. ”Non sono l’assessore, ma il suo consulente. Il mio vero lavoro? La corsa e guai a chi me la tocca”. […] La sua vita sportiva, quella che lo aveva visto un trionfatore contro Skah, Chelimo, Boutayeb s’è spezzata un giorno di agosto del 1991. A Tokyo. Durante la finale dei 10 mila ai Mondiali Antibo all’improvviso cominciò a vagare. ”Quella gara non l’ho ancora rivista e mai la vedrò: non voglio. Era una finale difficile da perdere. Skah potevo batterlo anche perché i tre keniani mi davano un vantaggio con il loro ritmo da primato del mondo”. Nella notte giapponese, Totò confessò il suo male. ”Avrei potuto ingannare tutti, fermarmi (finì ultimo, ndr) e dire altre cose. Preferii dire la verità, dire che soffrivo del piccolo male senza inventare nulla”. Dai giorni belli dell’atletica non sente più gli amici di un tempo, quelli che correvano con lui. ”Poco male, ognuno fa la sua vita. Una volta mi ha telefonato Carosi e mi ha fatto tanto piacere. Ma dalla Federazione nessuno mi ha cercato mai. Eppure io per loro ho dato tanto”. L’atletica dei sui tempi non c’è più anche perché non c’è nessuno come lui, nessun bianco capace di tener testa agli africani. ”Che tortura guardare i 5 e i 10 mila metri alle Olimpiadi con solo neri al comando! Manco io e mi vien voglia di piangere e di tornere a correre. Se non si fa a tempo a trovare qualcuno bravo, finisce tutto”. Intanto, Totò piange per davvero. Perché? Gli è tornata in mente una domanda che gli hanno rivolto: è vero che l’epilessia ti è venuta perché ti dopavi? ”Lì per lì avrei voluto mandarlo al diavolo quello lì. Ma che sciocchezze dicono. Ma volete sapere una cosa? Se davvero mi fossi dopato, avrei corso in 26’ e sarei sceso al di sotto dei 12’40’’”. Una carriera splendida, padrone dell’Europa nel ”90, un argento olimpico nei 10 mila a Seul, due quarti posti, a Los Angeles e poi a Barcellona. ”Che bello sarebbe stato vincere i Giochi. Lui (Boutayeb, primo nel ”92, ndr) è stato più bravo di me: non lo conoscevo, io ero contro i keniani e seguivo il mio amico Barrios. Ma il rammarico vero è quello di non aver vinto i mondiali”. Il sogno era di terminare la sua vicenda agonistica con la maratona. ”Con Polizzi (il suo allenatore, ndr) avevamo buttato giù un programma: vinco il mondiale, vado alle Olimpiadi di Atlanta e sarebbero state quattro, poi corro la maratona di New York. Non è stato possibile ma nella vita bisogna saper accettare tutto”. Già, la vita. Un’esistenza in salita, con quell’incidente a tre anni quando un’auto lo urtò lasciandolo a terra. ”Mi avevano dato per morto e mi sono ripreso. lì che ho cominciato a soffrire di epilessia. Ma sono un ragazzo che non si arrende mai. Ho saputo combattere e si sarebbe potuto fare di più”. Se gli amici di un tempo lo hanno abbandonato, Gaspare Polizzi, il suo coach, no. ”Ho un bel rapporto con lui. Ero considerato suo figlio. Adesso spesso mi accompagna in auto perché io non posso guidare”» (Carlo Santi, ”Il Messaggero” 21/1/2002).