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 2002  febbraio 11 Lunedì calendario

ANTOGNONI

ANTOGNONI Giancarlo Marsciano (Perugia) 1 aprile 1954. Ex calciatore. Tutta la carriera nella Fiorentina, con la nazionale campione del mondo nel 1982, in tutto 73 presenze e 7 reti • «Pupillo di Bernardini, che stravedeva per lui, al punto da consegnargli la regia nella nazionale della ricostruzione all’indomani dei mondiali ”74 […] Quindici anni di carriera, tutti al servizio della causa viola. Una delle ultime bandiere del nostro calcio. Alto e biondo, fisico ben proporzionato, corsa elegante, destro potente, gran palleggio, diventa il numero dieci della Fiorentina nel 1972. La società l’acquista dall’Astimacobi (serie D) per 75 milioni di lire: cifra notevole per un ragazzo sconosciuto ma sarà ben spesa. Debutta in campionato diciottenne, due anni più tardi il vecchio ”Fuffo” lo fa esordire in azzurro a Rotterdam nel 1974, in una sfida impossibile contro l’Olanda di Cruijff. Ma lui regala almeno il cross grazie al quale Boninsegna inventa l’illusorio vantaggio. Gioca due mondiali (1978 e 1982) vincendo l’edizione spagnola: sfortunato, si fa male in semifinale coi polacchi e deve rinunciare al match clou coi tedeschi. Scarno davvero, per un giocatore del suo calibro, il palmares in maglia gigliata: solo una Coppa Italia nel 1975, mai lo scudetto. Due gravissimi infortuni (doppia frattura temporale nello scontro con il portiere genoano Martina, gamba spezzata in un altro incidente di gioco) lo costringono ad altrettanti, lunghi stop. Particolarmente drammatico il primo episodio: il 22 novembre 1981 resta a terra, con la bava alla bocca, il cuore si ferma per venticinque secondi, mentre la disperazione prende compagni e avversari. Con la nazionale chiude nell’83, con la Fiorentina a fine campionato 1986/87 (341 partite, 61 gol). Si diverte ancora in Svizzera (Losanna) fino ai 35» (Dizionario del calcio italiano). «Andarono a Empoli con una Fiat 500, Pandolfini e Liedholm, per vedere quel ragazzo dell’Astimacobi che giocava a testa alta. Pandolfini era il direttore sportivo della Fiorentina, grande scopritore di talenti. Liedholm era l’allenatore dei viola, delizioso signore in giudiziosa ascesa […] Prendiamolo, disse Liedholm dopo dieci minuti di sapiente osservazione» (Sandro Picchi, Dizionario del calcio italiano). «’Se mi mettevano il nome di mio fratello ero rovinato”. Giancarlo Antognoni, come Gianni Morandi, varca le porte del tempo con dinoccolata, e inalterata, eleganza. Porta, a cinquant’anni, gli stessi capelli ondulati da putto, veste con sobrietà, come una volta giocava, mantiene un fisico da calciatore, anche se quando ha smesso, su un campo vero non ha più messo piede. Talvolta per beneficenza. ”Nausea da pallone. Forse perché sapevo che non sarei più riuscito a fare quello che facevo prima”. [...] Era il 15 ottobre 1972, il giorno dell’esordio i n A : Verona-Fiorentina 1-2. ”Il ragazzo gioca guardando le stelle” scrissero. Nils Liedholm lo mise in campo. Dopo, lo cercò sempre. Ma Giancarlo era ed è Firenze. ”Nessun rimpianto. Ho fatto le mie scelte. Mi dispiace solo per non aver vinto con la Fiorentina. Meglio da dirigente”. In città è sempre ”il capitano”. ”Qui è come se giocassi ancora”. I suoi 29 anni alla Fiorentina sono finiti nel 2001. ”Mi sono dimesso. Che stranezza”. Perché? ”Non si dimette mai nessuno”. Cinquant’anni e tanto calcio, successo, polemiche, infortuni. ”Lo scontro con Martina è stato il più grave, ma mi fa male ancora quello che mi fece saltare la finale del Mondiale. Colpa del gol, regolare, che mi annullarono contro il Brasile. Volevo segnare a tutti i costi e andai allo scontro col polacco Matysik. Errore”. Ha lasciato un solco nella storia del calcio, grazie al fratello ragioniere, di due anni più grande, che s’immolò su quel nome antico. ”Non so dove l’abbia pescato mio padre Gino. Gestiva un bar a Perugia: era un Milan club. E noi tutti rossoneri. Conservo ancora la foto con Rivera a centrocampo”. Forse i cromosomi non scherzano se lui, ora, ha aperto, con l’amico Aurelio, un ristorante a Firenze, il Kilimanjaro Café. Bambù, ampie seggiole leopardate, piatti toscani, pesce, sapori etnici. [...] Primi anni – 60, ricordi vaghi di un boom che già languiva. Assiste alla prima partita allo stadio a Bologna. ”Vinse il Milan 2-0”. Destino: anche l’ultima è stata con il Milan. ”Ho portato mia figlia Rubinia, 15 anni, a vedere il derby di Milano. Da milanista gongolava”. Come il ragazzino della Juventina Perugia. ”Campo a Prepo senza erba. Ruolo? Non lo sapevo”. Anche il Torino lo ignora: viene preso nel pacchetto-Bottausci. Paghi uno e prendi due. Quello vero è Bottausci. Fermata all’Astimacobi. ”Nebbia, un albergo anonimo, la scuola dai preti, malinconie”. Va forte, però, e il Torino vorrebbe riportarlo a casa, ma lui rifiuta e va alla Fiorentina. Resterà per 29 anni: colore viola sbiadito per un allenatore turco. ”Inevitabile”. Lo dice con la tristezza di chi afferra un principio e non lo molla più. Aveva i pantaloni a zampa d’elefante e una Bmw 1600 (’tranne durante le domeniche a piedi”) . Ascoltava Battisti, canticchia ”Acqua azzurra, acqua chiara”. ”I giocatori di adesso guadagnano di più, ma in campo ci divertivamo più noi”. Ha giocato contro e con i più grandi. ”A New York, nella partita dopo il Mondiale del 1982, Platini era la mia riserva. Andammo a cena con l’Avvocato e Kissinger. Agnelli mi disse: ”L’ho sempre voluta, ma non è mai voluto venire. Nel 1978 l’affare era fatto. Rifiutai”. Incontri, ricordi, paragoni. Il giocatore: ”Maradona”. L’allenatore: ”Bearzot: non si lasciava condizionare da nessuno, per gli altri non avrei mai giocato”. Gli eredi: ”Kakà, Totti, ma loro segnano di più. Ai miei tempi da ragazzino avevi solo il tuo istinto. Rari insegnanti”. L’amico: ”Moreno Roggi”. I nemici: ”Nessuno. Penso sempre alla buona fede. In nazionale, all’inizio, Causio mi portava via il pallone, poi siamo diventati amici. I miei avversari erano i mediani di una volta: Oriali, Furino, Tardelli, Faccenda”. Cecchi Gori: ”Ha messo tanto ma ha anche preso. Voleva bene alla Fiorentina, ma si attorniava di persone non all’altezza”. La crisi: ”Ci ha rimesso solo la Fiorentina. Le altre credo che si salveranno”. Il padre: ”Forse avrei dovuto essere più presente. Mi sarebbe piaciuto che Alessandro facesse il calciatore. Per me aveva le qualità. Si è perso”. [...] Firenze è uguale a se stessa. Come Antognoni. Impossibile pensarli separati, anche se Giancarlo fosse stato Viscardo» (Roberto Perrone, ”Corriere della Sera” 1/4/2004).