Varie, 11 febbraio 2002
ANTONACCI
ANTONACCI Biagio Milano 9 novembre 1963. Cantante. Autore • «Il suo successo è fatto soprattutto di semplicità e d’immediatezza, di comunicativa e popolarità. Le sue canzoni sono come polaroid scattate con gli amici, come il peluche regalato al fidanzato, canzoni buone per essere cantate con la chitarra davanti al fuoco in spiaggia, o in coro nel pullman della gita. Canzoni che sembrano fatte apposta per abbracciarsi quando diventano sentimentali e per saltare quanto si fanno, come dice lui, ”ritmiche” [...] Conta poco che nessuna delle sue canzoni sia destinata a passare alla storia della musica, perché in fin dei conti nemmeno le polaroid scattate con gli amici sono destinate a finire in un museo; ma allo stesso tempo sono importantissime per chi le conserva. [...] Insomma, ha preso il posto lasciato libero da Baglioni nell’universo sentimentale della canzone italiana, quello del racconto privato, piccolo, immediato, quello della musica che un tempo si sarebbe detta da fotoromanzo. Ma, ed è questo uno dei motivi del suo odierno successo, questa musica lui la propone con un’energia, una carica vitale e comunicativa, che nessuno dei vecchi cantautori aveva. In scena sembra piuttosto Vasco Rossi, corre, salta, si scatena e fa del suo meglio per far scatenare la platea assieme a lui. Al pubblico chiede spesso di cantare, di saltare, di battere le mani, di prendere insomma parte all’’evento”, non di ascoltare passivamente un concerto. ”Bravissimi”, ripete di continuo, esaltando i cori dei ragazzi assiepati sugli spalti, e il pubblico risponde rimandando sul palco ondate di affetto ed energia, applausi scroscianti e urla. Lui non si tira indietro, si concede completamente, si consuma sapendo che l’affetto del pubblico va ricambiato fino in fondo, comunicando, perché è questo quello che lui sa fare meglio. Certo non può eliminare la distanza tra il palco e la platea, ma prova, per quanto può, a ridurla al minimo, prendendo addirittura in mano ogni tanto i telefonini di quelli delle prime file e salutando, in diretta, chi si trova all’altro capo della linea. [...] Canta con quella sua voce roca e acuta che spesso lo fa somigliare a Sting senza risparmiarsi, mette in scena se stesso così com’è, senza effetti speciali o trucchi. Non è un divo, e il pubblico lo sa, è uno di loro, vestito come loro, si muove come loro, non ha troppi gesti da rockstar e canta storie di tutti i giorni. [...] un artista di popolo, intrattenitore popolare, cantante pop» (Ernesto Assante, ”la Repubblica” 9/5/2002). «Personaggio spontaneo, cresciuto nella perifera milanese di Rozzano, ha sempre coltivato la musica nel cuore. Ci pensava mentre si diplomava da geometra, ci flirtava come batterista autodidatta, finché nel 1989 ottenne il primo contratto discografico di una carriera fortunata [...] andato financo ”troppo adagio” nel percorso verso il successo, ma il mondo attuale, e non solo quello dello spettacolo, è fatto per l’autopromozione, lui ha chinato la testa e lavorato dal 1989, la fiducia, stima e seguito che ha se li è creati anno dopo anno, tour dopo tour, disco dopo disco, ha scelto il ”profilo basso” - chè tanto basso non è trattandosi di musica - e allora eccolo sopravanzato da tanti che non valgono quanto lui» (’Il Messaggero” 10/11/2001). «Fino a trent’anni ho fatto il geometra, il successo è arrivato tardi. Quindi i primi due dischi li ho fatti che ancora lavoravo in cantiere, appunto da ”normale”. Il successo è arrivato che ero già grandicello e ho sempre tenuto a rimanere quello che sono. Se tutti mi vedono come uno ”normale” vuol dire che è passata l’immagine dell’uomo Biagio, più che del cantante Biagio. L’artista c’è ovviamente, con le sue euforie, le stanchezze, i momenti neri, ma questo vale per tutti quelli che fanno un lavoro creativo. E comunque ho faticato ad avere certi riconoscimenti. Per molto tempo sono stato considerato il cantante che piace alle ragazze. Inizialmente mi dava fastidio perché mi riduceva a un fenomeno adolescenziale. Oggi quasi mi piace, fa parte del gioco. Conquistare gli uomini è stato molto più faticoso: all’inizio dicevano ”che palle” quando le fidanzate volevano venire al mio concerto [...] io faccio canzoni per la gente, e cerco il più possibile di restare tra la gente, di continuare a vivere. Le canzoni le scrivo, ma non so come faccio. Non conosco la musica. Quando compongo al pianoforte uso solo i tasti bianchi. Quello che viene fuori è qualcosa che imparo dalla vita [...] Da ragazzo pregavo perché mi fosse data la possibilità di fare il cantante a tempo pieno» (Gino Castaldo, ”la Repubblica” 16/10/2004). «Da ragazzo andavo in vacanza a Gabicce Mare. Lì, incontravo spesso una ragazza che andava in giro a piedi nudi, come se non le interessasse nulla del mondo circostante. ancora lì [...] Una volta la prendevo in giro, un anno fa mi sono chiesto: ”E se avesse ragione lei?” [...] Non amo saccheggiare la mia vita, rubo la vita degli altri. Guardo le persone in strada e immagino cosa potrebbe capitargli [...] Piazza del Duomo, a Milano, qualche anno fa. Vedo un signore attempato camminare con una donna al fianco. Mi sembra di conoscerlo. Mi avvicino. Phil Collins. Prendo il coraggio a quattro mani e lo fermo. Gli dico, nel mio inglese stentato, quanto sia stato importante per me, quanto la sua musica mi abbia influenzato. Lui, gentilissimo, sorride. Sembra capire, o forse finge. Dopo un po’ che parliamo passa una ragazza, ci guarda e sgrana gli occhi. Osserva Phil rapita, poi si volta verso di me e dice: ”Biagio, mi fai un autografo?”» (Massimo Cotto, ”Max”n.12/2001). «Io sono nato con i Police e credo morirò con Reggatta de Blanc, anzi, se andrò in paradiso me lo porterò dietro. Per me è una grande gioia: se penso al ragazzo di periferia che ero, che faceva finta di suonare le canzoni con la scopa. [...] Suonavo la batteria e mi piaceva molto il rock, ma anche la canzone. Quando avevo 17 anni, nel 1980, andai a vedere a Milano un concerto dei Police. Andai al concerto non per i Police, ma per la ragazza. E invece rimasi scioccato dalla musica e soprattutto dalla forza di Sting, capii che la canzone e il rock potevano davvero andare d´accordo [...] Se Sting è il mio mito internazionale, Vasco è quello italiano. Negli anni ho imparato ad assimilarlo, inizialmente non capivo la sua filosofia, l´ho scoperto tardi, quando già facevo questo mestiere. Ho capito il suo linguaggio, la forza, l´incredibile capacità di portare la gente alla musica. Ormai lo conosco bene, c´incontriamo spesso a Bologna, e devo dire che con me è stato sempre un amico. [...] Lui e Sting sono quei miti, quelle persone che hanno dato a noi e alle generazioni che sono venute dopo il coraggio di fare musica. Oggi il talento non basta, bisogna avere coraggio: non fare solo canzoni, ma avere pensieri e idee nuove. I ragazzi non comprano i dischi per un nome, c´è bisogno di essere qualcosa di più di un personaggio che appare in tv, bisogna sapere dire sì o no. Vasco l´ha fatto sempre» (Ernesto Assante, ”la Repubblica” 18/4/2004). «[...] I pezzi io li scrivo in 10 minuti, se ci impiego più tempo vuol dire che non vanno [...]» (Paolo Zaccagnini, ”Il Messaggero” 10/2/2005). «Ce n’è uno solo in grado di competere con il sex-appeal di Gianni Morandi, e suscitare pensieri inquieti presso il pubblico femminile del pop. il suo ex genero, Biagio Antonacci, [...] diventato bolognese in una mutazione di radici che somiglia a quella di Cofferati, geometra passato alle canzoni grazie alla facilità ribalda con la quale riesce a comporre, senza nemmeno aver studiato musica, innumeri melodie che si appiccicano alla testa. Cantautori più anziani a corto di ispirazione farebbero carte false per aver la metà delle sue idee; ma la fortuna (che ci vede benissimo) ha baciato Antonacci anche regalandogli una voce particolare, rauca, che sa ormai usare con sapienza consumata. [...] Colpisce [...] una sensibilità quasi femminile nel raccontare le gamme di sentimenti amorosi attraverso le sue canzoni [...] ”Sì, è vero. Forse avrei potuto essere omosessuale, ma mi piacciono troppo le donne e mi sono fermato prima. Ho questo pessimismo cosmico un po’ leopardiano, ho un bell’Edipo, ho sempre avuto amiche donne. Ero attratto, ma anche mi mettevo sempre in gioco con la loro testa. Della donna è la pesantezza, in senso buono; dell’uomo la leggerezza [...] Non ho mai cambiato tiro, mai fatto un passo indietro né uno in avanti. E poi l’intimo che racconto nelle canzoni è l’intimo di tanti. [...] Per me è stato un problema. Il bello sta sui piedi agli uomini. Fossi stato più brutto, magari avrei avuto un pubblico più rock. [...] Sono nato nel ’63 ma adoro il Celentano di quell’epoca, che scriveva le sue filastrocche senza conoscere come me la musica: c’era quell’ignoranza musicale che apparteneva ai grandi autori. [...]” [...]» (Marinella Venegoni, ”La Stampa” 10/2/2005).