Varie, 11 febbraio 2002
ANTONIOLI
ANTONIOLI Francesco Monza (Milano) 14 settembre 1969. Calciatore. Portiere. Dal 2009/2010 al Cesena (B). Campione d’Italia con il Milan nel 1992 e nel 1993, con la Roma nel 2001. In serie A ha giocato anche con Reggiana, Sampdoria, Bologna. Terzo portiere della nazionale vicecampione d’Europa nel 2000 (divenuto secondo di Toldo per l’infortunio di Buffon) • «Con quella faccia un po’ così, quell’espressione un po’ così, era nel destino che dovesse finire a Genova. Carattere chiuso, uomo di poche parole. Come i genovesi, pur se riesce difficile pensare che Francesco Antonioli, nell’ombra degli armadi conservi – come canta Paolo Conte – lini e vecchie lavande. Di sicuro il portiere della Sampdoria è uno che, in una professione dominata dalla cura dell’immagine, poco concede al di fuori del campo di gioco. Il contorno è un dettaglio. Ininfluente e superfluo. Le sue interviste sono rare come la villeggiatura di una famiglia media italiana sull’Himalaya. A Bogliasco, campo di allenamento della squadra blucerchiata, le sue apparizioni in sala stampa hanno la frequenza che fa il paio con una corsia dal traffico scorrevole sull’Autostrada del Sole nei giorni dei grandi esodi. ”Non posso fare qualcosa che non appartiene a me stesso. L’unico modo in cui posso esprimermi, per quel che riguarda il mio lavoro, è parare”, ha confessato qualche mese fa. Una sorta di autodifesa contro le sfortune che capitano ai calciatori. Di quelle che, se capitano ai portieri, diventano guai grossi. Lui ne sa qualcosa. E ha messo la corazza, dimostrando che tra inferno e paradiso, a volte, può passare appena una settimana. E un pallone viscido come un’anguilla, sfuggitogli in rete nonostante le scarse pretese di un tiro di Gilardino del Parma (sabato 21 febbraio, 1-2 a Marassi), può trasformarsi in una biglia di ferro calamitata dai suoi guanti, vedi Samp-Chievo della domenica successiva (1-0) e valere il premio Ussi per il migliore in campo. [...] Tempra di portiere che più di una volta ha dovuto fare i conti con una palla avvelenata. Tranquillità di un uomo legatissimo alla famiglia – la moglie Marie, italo-lussemburghese, e la piccola Jasmine – che continua ad abitare a Cesena ”perché mia figlia va a scuola là, ha il suo ambiente e mia moglie ed io abbiamo preferito non crearle problemi”. Antonioli non ha hobby perché ”me ne troverò uno quando smetterò di giocare”. Conduce una vita ritirata perché ”penso principalmente al mio lavoro”. Il massimo della concessione è un ”ma se c’è da divertirsi non mi tiro indietro”, pur se non ama discoteche, ristoranti alla moda e le comparsate in tv. Insomma, Antonioli è uno che ama stare fuori dal coro. Lontano dagli stereotipi del calcio. Forse è per questo che, prima di arrivare alla Samp, è caduto e ha saputo risorgere due volte. Nato a Monza, è approdato dal Monza (debutto in C1 nell’ 86- 87) al Milan non ancora ventenne. Trafila in rosson ero e un po’ di provincia per farsi le ossa. Il Modena gli regalò, nel 1990-91, l’esordio in B. Poi il ritorno alla casa madre. Il debutto in A il 18 aprile ’92, Milan-Inter 1-0 e scusate se non è da tutti. Roba da rossonero a vita. Purtroppo per lui, nel derby del 22 novembre ’92, un altro agguato della sfortuna. Rossoneri in vantaggio (gol di Lentini), un tiro di De Agostini, la palla dal petto di Antonioli al gol. 1-1 e giù critiche. Fabio Capello fece quello che avrebbe poi fatto Walter Novellino: la domenica successiva, a Torino contro la Juve, confermò Antonioli. Riecco la iella: il portiere si infortunò e dovette cedere il posto a Sebastiano Rossi, che parò un rigore a Vialli. Ciao Milan, dopo aver partecipato alla conquista di due scudetti e di una Supercoppa Italiana. Nel novembre ’93 eccolo a Pisa, in B, quindi un anno a Reggio Emilia, in A. Poi quattro campionati a Bologna. ”La città dove sono stato meglio”. La città e la squadra con le quali ha ricostruito una carriera, grazie anche a Ulivieri, ”che mi ha concesso una fiducia incondizionata”. All’alba del nuovo secolo era pronto per la Roma. Tre stagioni, uno storico scudetto e una Supercoppa. Ma ancora quella maledetta iella a bussare alla sua porta. Contro il Perugia: campo bagnato, il pallone-saponetta e Saudati lì, beffardo profittatore (2-2 il 14 aprile 2001). Antonioli venne crivellato dai fischi della curva giallorossa. Intervenne Totti per placare i tifosi. Parentesi chiusa, ma riaperta nel dicembre 2002, in Champions, con un altro centravanti, Ibrahimovic dell’Ajax, a vestire i panni del boia. Destino al fiele, l’ombra lunga di Pelizzoli alle spalle. Ciao Roma. Il resto è storia di oggi. Nuova vita alla Sampdoria, pronta a fiutare l’affare a parametro zero. E lui, Antonioli, pronto a ricominciare. Indifferente agli scherzi del destino, forte della fiducia di Novellino. Genova, è vero, non è un’idea come un’altra. Chiedere conferma a Francesco Antonioli, il portiere che visse tre volte» (Enrico Valente, ”La Gazzetta dello Sport” 6/3/2004). «Il portiere si sente solo, questo è sicuro. Ha responsabilità molto grandi. Se ne sei consapevole, di fronte agli altri e a te stesso, ti senti uno contro tutti, contro gli avversari ma anche contro i tuoi, perché l’autorete è sempre in agguato. In pratica, sei tu contro ventuno, contro la tua stessa voglia di lanciarti avanti. Immobile mentre gli altri corrono [...] Nella vita ne ho già passate tante. Infortuni, contrattempi, ma soprattutto la famiglia di origine. Sono figlio di genitori sordomuti, ho imparato a comunicare in due maniere diverse, a vivere in due mondi diversi: uno silenzioso, dove contano i sentimenti e i segni; l’altro, quello normale, che è comune alla maggior parte della gente. La forza morale viene dal primo, dove c’è spazio per conoscersi a fondo, sapere quanto si vale e fin dove si può arrivare, e anche corazzarsi contro le critiche. Che non fanno certo piacere. Io sono stato attaccato, a volte, inutilmente, mi hanno scelto come capro espiatorio... Ma sentivo di aver fatto il massimo e la mia coscienza era a posto» (Rita Sala, ”Il Messaggero”, 3/1/2002).