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 2002  febbraio 11 Lunedì calendario

ARBASINO

ARBASINO Alberto Voghera (Pavia) 22 gennaio 1930. Scrittore. Laureato in legge, è stato assistente di diritto internazionale, ma si è convertito presto alla letteratura esordendo nel 1957 con Le piccole vacanze, seguite nel 1959 da L’anonimo lombardo. stato tra i fondatori del Gruppo 63, e in quell’anno ha pubblicato la prima versione del suo romanzo più famoso, Fratelli d’Italia, rielaborato nel 1967 e di nuovo nel 1995. Tra le sue raccolte di saggi Parigi o cara (1960), Un paese senza (1980), Paesaggi italiani con zombi (1998) • «Curiosissimo, poliedrico, osservatore del bel mondo, narratore incapace di pensare ai suoi libri come qualcosa di dato, di intoccabile [...] Continua a girare il mondo da un museo all’altro, da un concerto all’altro, come a perdersi in un tour intellettuale che non ha inizio e fine, a sublime disprezzo di un mondo di grammatiche perdute, di ignoranze indotte, di sciocchezzai ripresi ovunque. Compreso quello stracitato ”signora mia”: giochetto diventato l’icona di tutte le volgarità del mondo» (Roberto Cotroneo). «La mia vita non è stata nulla di così speciale, è quella di uno nato negli anni Trenta che ha fatto l’università a Milano, in quella Milano dove c’erano grandi compagnie teatrali. La Scala presentava ogni anno 25 spettacoli nuovi con Maria Callas, Herbert von Karajan e Luchino Visconti. In una stessa sera si poteva scegliere tra la Scala, Totò al Teatro Nuovo e la Wanda Osiris al Lirico. Per non parlare di poeti, scrittori, intellettuali che animavano la vita culturale di Roma e Milano [...] Io provenivo dai libri di diritto internazionale, non avevo fatto studi letterari» (Denise Pardo, ”L’Espresso” 27/1/2002). «Quanti libri si possono leggere in un giorno? Se posso preferisco vedere mostre o vedere spettacoli. [...] Oggi è il nome stesso di intellettuale che lascia perplesso, mentre il ruolo di un medico è fare bene il medico, il ruolo di un intellettuale è parlare del ruolo di intellettuale. Il mio ruolo è scrivere libri» (Alain Elkann, ”Capital” n.7/1996). «Nella terza età tornano rime e ritmi degli anni giovanili. Le poesie che si imparavano a memoria di Parini, Metastasio, Carducci, poi le canzoni che si sentivano alla radio e i libretti d’opera dove c’erano situazioni tipiche come il ”libiamo nei lieti calici” o ”che gelida manina”. Mescolando insieme questi ricordi, magari con poesie di Palazzeschi vengono fuori i miei rap politici e civili. Palazzeschi a 70 anni ricominciò a scrivere poesie. Ecco, in questo modo, a me vengono giudizi sull’attualità, commenti [...] Mi sembra un modo giusto di registrare in presa diretta una serie di reazioni civiche ai fatti politici del nostro tempo [...] Fra le diverse cose che ho fatto, il deputato non è stata tra le più straordinarie. Ma ho lavorato in modo scrupoloso per tutta la legislatura [...] Chi viene eletto non appartenendo alla nomenklatura non viene richiesto di un know how professionale, ma solo di mettere il dito sul tasto della votazione [...] Il fatto di non poter dare un contributo professionale in base alla propria esperienza è frustrante. Nelle letterine varie e nei ”Rap” restituisco alla società civile l’esperienza che ho avuto [...] Ho studiato il diritto e la politica internazionale. Ho seguito a Parigi i corsi di Raymond Aron, scienziato della politica. E a Harvard i seminari di Henry Kissinger, altro tecnico [...] L’Italia di oggi è uguale all’Italia di sempre. C’è chi dice che è cambiato il sapore delle pesche o dei pomodori, ma a me sembra sempre lo stesso. Qualunque grosso o piccolo fenomeno politico, sociologico avvenga in Italia lascia sempre degli indignati effimeri, dei furibondi all’italiana. Io mi sono sempre domandato se sono corsi e ricorsi storici come quelli di cui parla il filosofo napoletano Gian Battista Vico, che abbiamo studiato al liceo, o se sono costanti antropologiche come ci ha insegnato Lévi-Strauss. Ma i miei maestri d’antropologia italiana restano sempre Leopardi e Gramsci [...] Fare lo scrittore è sempre stato un hobby ed è per quello che mi diverto anche quando lo faccio ”full time” e mi riempie totalmente le giornate e anche le sere [...] A una certa età è più savio guardarsi indietro e dire per fortuna: non ho troppi rimpianti. Come del resto anche per i viaggi; per fortuna molti bei posti li ho visti quando erano ancora belli. Ai tempi dei poveri ma belli, con ottima letteratura e spettacoli magnifici [...] Romanzi ne ho fatti abbastanza, e non voglio fare l’industria ripetitiva della narrativa in serie. Altrimenti diventa un lavoro e quindi non mi diverte più» (Alain Elkann, ”La Stampa” 2/6/2002).