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 2002  febbraio 12 Martedì calendario

ARGENTO

ARGENTO Dario Roma 7 settembre 1940. Regista. Padre di Asia. Maestro dell’horror «ingentilito dagli anni, dalla religiosità mai esibita che ne scandisce le domeniche in chiesa, fors’anche da qualche insuccesso» (Michele Anselmi). «I miei film sono un po’ di amore, un po’ di orrore, un po’ di stupore, un po’ di tremore. [...] In tutti i miei film ci sono frasi prese da Conan Doyle, che non tutti hanno colto. Uno dei pochi critici che se ne accorgevano era Alberto Farassino, quando ci incontravamo ai festival, parlavamo per ore degli intrighi alla Conan Doyle. [...] Ci sono critici che mi stimano. Forse è cambiato il pubblico, io ho avuto i miei primi successi negli anni Settanta, con Profondo rosso, Suspiria, L’uccello dalle piume di cristallo. Il genere in quegli anni era una lunga strada deserta, c’era Carpenter, c’era De Palma. L’orrore era più delicato allora, soddisfaceva un bisogno di fantastico soprattutto del pubblico maschile. Oggi è tutto più cruento, l’orrore che arriva dall’America è moltissimo, punta alle emozioni forti, agli effetti speciali. Io ho continuato per la mia strada, e adesso ho scoperto che il mio pubblico è soprattutto femminile. Chissà, forse perché uso in genere protagoniste donne. [...] Fino al liceo ho studiato dai preti. Il lato buono, se vogliamo chiamarlo così, si è accentuato dopo la morte di mio padre, ho cominciato a pensare al trascendentale, ad andare in chiesa. E quando ho vissuto in America ho continuato. Purtroppo quelli della mia generazione sono abituati a identificare i cristiani con i democristiani. Ma mi sono liberato dei pregiudizi, essere cristiano è altro. [...] Io ho la mia metà oscura e la vivo raccontandola, con il cinema mi specchio dentro me stesso. E ho il privilegio di saperla raccontare. In questo sento una grande affinità con Stephen King. Ne abbiamo parlato spesso. Anzi, mi ha chiesto per quattro volte di fare film dai suoi libri. Ci ho pensato, ma so che dovrei tagliarli, adattarli, e ho troppo rispetto per lui e per la sua letteratura» (Maria Pia Fusco, ”la Repubblica” 13/4/2003). «La mia infanzia è stata un periodo tranquillo. Non ho avuto nessun trauma. Forse ho sofferto di alcune assenze. Di chi? Dei miei genitori. Soprattutto mia madre. Faceva la fotografa, viaggiava molto. Io stavo con i nonni e i miei fratelli. Ma non ricordo questo come una sofferenza. Anzi. Sono sempre stato un solitario. Mi nascondevo in soffitta a leggere. Avevo paura che mi giudicassero presuntuoso. Non mi piace ostentare la cultura. Anche oggi, non parlo mai forbito, preferisco un linguaggio popolare. Tendo a mascherarmi. Per questo amo la solitudine. Vivo solo, viaggio da solo. Se posso vado a letto presto. Ma non dormo subito. Penso. Invento le scene dei miei film. [...] Freud è il mio feticcio. E ho sempre pensato che i miei film sono delle sgangherate sedute psicanalatiche a cui sottopongo lo spettatore. O forse me stesso. Non lo so bene. [...] Spesso mi chiedo: ”Ma chi è questo Dario Argento che fa i film, di cui tutti parlano. Io non lo conosco”. Gli altri mi conoscono perché parlano con me, vengono a cena con me, fanno l’amore con me. Ma io non ho mai la possibilità d’incontrarmi. Certe volte guardo i miei film e penso: ”Bella questa scena, ma che bravo questo qui. Io non sarò mai capace di fare un film così bello”. [...] Sono il più grande assassino d’Italia. In 30 anni di carriera avrò ucciso 90 persone. [...] A furia di farlo, so bene come dare una pugnalata oppure strozzare. [...] Sono vegetariano, non farei male a una mosca. [...] Quando è morto mio padre sono accadute cose particolari che mi hanno fatto capire che dopo c’è qualcosa. [...] Non penso che esista l’Inferno. Credo in un Dio buono, che non giudica nessuno, neanche me» (Federica Lamberti Zanardi, ”Il Venerdì” 5/1/2001). «A 12 anni, malato di febbre reumatica, lessi un po’ di cose scabrose: Il piacere di D’Annunzio e Le mille e una notte. [...] Da ragazzo mi piaceva molto Evelyn Waugh. [...] I cattivi mi affascinano. [...] Adolescente, sono stato travolto dalle donne di Thomas Mann, cominciando da Madame Chauchat. E avrei voluto inginocchiarmi a Isotta. [...] Dieci anni fa lessi La rivolta degli angeli di Anatole France. Mi procurò un’angoscia terribile: vedevo il diavolo entrare nella mia stanza da letto» (Mariarosa Mancuso, ”Sette” n.17/1999). «Sin dai tempi dell’Uccello dalle piume di cristallo ho sempre creduto che fosse più semplice manovrare in prima persona rasoi e mannaie anziché spiegare a un tecnico il modo di vibrare i colpi [...] I gialli tenebrosi, forti, senza pudori, sono un po’ come le favole sanguinarie che amavo da piccolo. [...] Direi che il maniaco, il perturbato mentale, è una star per molti versi intramontabile. L’animo umano non cambia, l’aggressività non conosce l’avvicendamento delle mode» (’Ciak”, n.1/2001). «Una terribile ossessione, l’unica, vera paura che il maestro dell’horror Dario Argento confessa senza un attimo di esitazione: ”Che cosa temo? I critici. Mi spaventano moltissimo. Ogni volta che ci penso mi torna in mente una storiella che mi raccontava Sergio Leone, parlava di un ragazzino che, interrogato sul mestiere del padre, rispondeva sempre ’cassamortaio’, insomma becchino. In realtà il padre faceva il critico, ma lui si vergognava a dire la verità”. Anche Fellini, ricorda l’autore di Profondo rosso, era perseguitato da quella stessa categoria di persone, anzi ”da un critico in particolare che, qualunque film avesse fatto, lo biasimava per l’eccessiva superficialità”. [...] Certe volte con gli attori va malissimo, e io continuo a odiarli per anni e anni. [...] Tony Musante, quando ho girato il mio primo film L’uccello dalle piume di cristallo. Nei suoi confronti provo tuttora un fortissimo rancore. Alla fine delle riprese venne a cercarmi per picchiarmi, ma io feci finta di non essere in casa. Il nostro odio era iniziato dal primo giorno sul set, quando lui voleva fare una scena in un modo che a me non piaceva e, siccome io continuavo a restare della mia opinione, lui a un certo punto mi disse con aria sprezzante ’sei solo un debuttante, dai retta a chi il cinema lo sa fare davvero’. Gli risposi ’manco per il cavolo’ e da allora andò sempre peggio. [...] Quando giro penso al film che sto facendo, ma non posso impedire alla mia fantasia di lavorare, soprattutto di notte è impossibile fermarla. Spesso sono preso come da una furia, una febbre che mi corrode l’anima, che mi spinge a scrivere e che certe volte mi fa sentire costretto nei limiti del mio mestiere del regista. Avrei voglia di fare anche altro» (Fulvia Caprara, ”La Stampa” 30/12/2003). Vedi anche: Patrizia Carrano, ”Sette” n. 7/1997.