Varie, 12 febbraio 2002
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Argerich Martha
• Buenos Aires (Argentina) 5 giugno 1941. Pianista. Si trasferì in Europa negli anni 50, vincendo presto i massimi concorsi pianistici. considerata una delle concertiste più brillanti della sua generazione. apprezzata soprattutto come interprete della letteratura pianistica di stampo virtuosistico del XIX e XX secolo (’la Repubblica” 5/2/2001). «Pianista magnetica e ispirata, vive come suona: con spontaneità assoluta. Il che significa, in concerto, comunicare l’illusione di una musica che è come se nascesse sotto le sue dita: che trascende il virtuosismo nell´effetto di un prodigio naturale. Libertà che equivale, nella vita, a una donna tumultuosa e inafferrabile, capace di cancellazioni all’ultim’ora, allergica alle intrusioni dei media, ostile ad analisi (e ad autonalisi) intellettuali. Temperamento denso di passioni, conta, tra le più determinate e proficue, quella di promotrice di giovani talenti, dei quali aiuta con ogni mezzo l’espansione. […] ”Far conoscere i giovani è parte essenziale del mio lavoro. Nel mondo i giovani di talento sono numerosi, ma l’establishment musicale è sempre meno incline a prendere rischi […] Maestri? Friedrich Gulda, innanzitutto. Musicalmente mi ha influenzato più di chiunque altro. Lo ammiravo follemente. Fu lui, tra l’altro, a rivelarmi lo humour nella musica. Ne hanno molto Haydn e il primo Beethoven. Poi c’è un gran salto fino a quei campioni di humour che sono Prokofiev e Sciostakovic. Ho studiato anche con Benedetti Michelangeli: dopo avermi dato quattro lezioni, sosteneva di avermi insegnato la musica […] A 16 anni vinsi due concorsi, quelli di Ginevra e Bolzano. Fu allora che cominciai a suonare davvero. Vivevo come una quarantenne: viaggiavo da una città ignota all’altra, non avevo amici, ero timidissima. Nello studio ero caotica. Una bella pittura senza cornice. Giocavo d’azzardo. Studiando non suonavo mai un intero concerto dall’inizio alla fine. Lo imparavo a pezzi e lo eseguivo per la prima volta tutto insieme solo al concerto. Mi piaceva scherzare col fuoco. Dormivo di giorno e studiavo di notte. Il Terzo Concerto di Prokofiev l’ho imparato così, tutto di notte, in modo un po’ subliminale […] Quando facevo recital (da molti anni non suona più da sola, ndr) cominciavo sempre con Bach. Mi infonde tranquillità. Mi fa sentire così a mio agio che è come se improvvisassi. Your Bach really swings, mi disse dopo un concerto, a New York, un critico jazz. Riconobbi la sensazione: Bach è l’unico a darmi questo senso di libertà […] Schumann. Preferisco non eseguirlo molto: ho una relazione troppo intima con lui. Penso che mi voglia bene. La sua musica è come la vita: niente di pianificato […] Il panico è prima di cominciare. Da giovane avevo veri e propri attacchi, mani gelate, gambe che tremavano così forte che dovevo colpirle per farle stare ferme. Poi, suonando, passa tutto […] Ho cancellato per la prima volta un concerto a 17 anni. Leggevo Gide, amavo Delitto e castigo: volevo sperimentare la trasgressione. Avrei dovuto suonare a Empoli, ma scrissi che non potevo andare per una ferita alla mano. Poi mi spaventai della bugia, e per non essere scoperta mi feci davvero un taglio a un dito, con un coltello. Restai fuori gioco per un po’ […] Con ogni compositore devi stare all’erta, reagire a quel che ti dice la sua musica. come una persona viva, dialogante. Devi sperimentare cose nuove: mai imitare se stessi. Per questo, a volte, mi spingo in situazioni limite. Per evitare la routine”» (Leonetta Bentivoglio, ”la Repubblica” 11/6/2002).