varie, 12 febbraio 2002
ARIGLIANO
ARIGLIANO Nicola Squinzano (Lecce) 7 dicembre 1923, Calimera (Lecce) 31 marzo 2010. Cantante. «Il più grande crooner di casa nostra» (Paola Zonca). «Il Buena Vista di casa nostra» (Marinella Venegoni) • «Nell’aspetto, il più serio dei nostri cantori. Non si abbandona a smancerie, a leziosaggini. Si direbbe che canti perché debba sostenere il peso della famiglia con le proprie corde vocali. E’ una risorsa per i fredduristi tv che, attribuendogli scarsa venustà, fanno sul suo conto battute come "Adesso viene il bello". Allusioni ingiuste, in quanto pare che l’A. abbia vinto un concorso di bellezza. Del resto sarebbe certamente bello, se fosse un cantante negro. Ha la maschera d’un pulcinella tutt’altro che allegro e bonario. Lo direi un pulcinella etrusco, in terracotta, disseppellito in uno scavo di necropoli e ancora coperto di zolle aggrumate. Canta con un suo distacco di gentiluomo campagnaolo. La sua voce simpaticamente sgangherata potrebbe autorizzare il nome di "Aragliano". Da pubblicazioni specializzate: "Trascorre molto tempo a studiare antichi documenti bizantini; conosce perfettamente l’arabo". E’ stato garzone macellaio e fattorino postale. I concittadini (pugliesi) gli hanno regalato un pappagallo che sa dire "amorevole" come lui. Trecentomila lire a sera» (Achille Campanila, "L’Europeo" n. 31 1960). «La vita del solitario Arigliano ha tratti romanzeschi. Scappò di casa che aveva undici anni. Fu per vergogna: racconta che era stanco di vedere i suoi familiari che ogni volta che lui apriva bocca ridevano; pure la madre, massimo dello sconforto. Il fatto è che aveva un difetto, una potente balbuzie, e non c’era modo di uscirne. Così un giorno prese il treno che da Squinzano, il paesino in provincia di Lecce in cui era nato e viveva, lo portò a Milano. Qui rintracciò i tanti amici emigrati prima di lui con le loro famiglie, gli stessi che per primi, nei giorni delle vacanze estive, gli avevano fatto balenare l’idea della fuga. A metà degli anni Trenta l’undicenne Nicola, maturo come un adolescente, si cercò casa, i primi lavoretti, e cominciò a coltivare il sogno di diventare un musicista. Sarà per quella iniziale balbuzie che Arigliano si è sempre considerato ”il cantante che non canta”, una voce che sussurra, sottolinea le parole. Un crooner italiano, insomma, e fu del tutto naturale accentuare la sua passione per lo swing seguendo questa sua inclinazione [...] Lontano dal mondo della canzone italiana pur avendo partecipato negli anni passati anche al Festival di Sanremo, è anche geograficamente fuori dalle rotte dello spettacolo: da qualche tempo si è stabilito in un cascinale nella campagna di Magliano Sabina, nell’alto Lazio: ”Sto bene in questo isolamento, io sono un cane sciolto, ho bisogno di essere libero [...] in questi ultimi tempi amo esibirmi abusivamente. Inoltre cerco di non giacere sullo iazz, e lo dico così perché sono un terrone”» (Carlo Moretti, ”la Repubblica” 7/1/2002). «Ma chi glieli dà, 80 anni? Magari Sinatra fosse stato come lui, alla stessa età. Il fisico è smilzo e scattante, le mani da ragazzino rivelano uno stato fisico invidiabile; la voce poi è decisa, swingante, suadente. La voglia di cantare e di scherzare non manca mai: ”Nicola io? - ripete spesso a chi lo complimenta -. Macchè. Io sono Pasquale, suo nipote”. […] ”Ieri non mi interessa. Quel che mi interessa non è domani, ma dopodomani. Voi siete schiavi di certe logiche, io solo dell’aglio e del peperoncino. Ho cominciato a cantare già vecchio. Prima suonavo il contrabbasso, il sax la batteria. Una volta ho cantato un blues e qualcuno mi ha detto vai avanti […] Sono nato balbuziente, e da bambino mi prendevano tutti in giro, a scuola. Così mi sono messo nelle mani di un medico molto bravo, e per 4 anni ho letto ad alta voce davanti allo specchio […] Debbo tutto al Digestivo Antonetto, gli ho fatto pubblicità per 27 anni; lavoravo un mese l’anno e mi riposavo poi […] Io non mangio, bruco continuamente, coltivo quel po’ di terra intorno alla mia casa. Comincio sempre con l’insalata, non condita, proprio da brucare come le pecore; e mi faccio 6/7 spicchi d’aglio al giorno, che spoglio io però. Bisogna evitare certe associazioni: la pasta col ragù non va, con i legumi sì. Mangio poca carne, tagliata sottile, bevo vino rosso, uso olio d’oliva crudo, faccio la fermentazione lattica in salamoia della verza e del cavolo. Chi cucina? Io, ho mandato via la governante Vittorina: ”da domani siamo colleghi’. Ha capito subito”» (Marinella Venegoni, ”La Stampa” 21/1/2003).