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 2002  febbraio 12 Martedì calendario

Armstrong Lance

• Dallas (Stati Uniti) 18 settembre 1971. Ciclista. Campione del mondo 1993, vincitore di 7 Tour de France consecutivi (1999-2005, mai nessuno come lui, terzo nel 2009). Nel 1996 gli fu diagnosticato un tumore ai testicoli: dopo due operazioni e cinque cicli di chemioterapia, tornò a correre nel 1998 • Ha scritto Gianni Mura: «[...] (il pubblico) forse solo all’inizio ha amato questo texano dagli occhi freddi e il caldo messaggio che portava. Lo portava ben oltre le strade della corsa: si può essere malati di cancro, guarire e vincere il Tour. Era una cosa immensa, mai vista. Ma già al secondo anno giravano le voci: non è possibile andare così forte in salita, c’è sotto qualcosa. Il ciclismo è un mondo piccolo: dimmi con chi vai e ti dirò chi sei. Il fatto che Armstrong avesse tra i collaboratori del suo staff il dottor Ferrari ha aperto una vasta zona d’ombra. Il suo comportamento persecutorio nei confronti di Simeoni [...] gli ha tolto (giustamente) parecchie simpatie. Ancora: un suo ex collaboratore, Mike Anderson, ha dichiarato di avere visto una scatola di steroidi nella casa di Gerona. [...] La compagnia texana d’assicurazioni Sca non gli ha voluto versare i 5 milioni di dollari per la vittoria del 2004 e ha ingaggiato i migliori investigatori perché trovassero macchie in quella vittoria. Nemmeno in Texas gli credono più. [...] questa storia, non ripetibile, o si prende tutto o tutto si rifiuta. Lui si è stancato di dire che non ha nulla da nascondere, e che ha preso l’Epo sì, ma quando era malato, non da guarito. Essere passati attraverso decine e decine di controlli antidoping, previsti e a sorpresa, non significa automaticamente essere puliti, lo sappiamo. Ma se nemmeno su quelli un povero suiveur può basarsi, in base a quali criteri può giudicare? [...] Con Armstrong il Tour è andato prima oltre la barriera dei 40 orari, poi dei 41. [...] Gli rimproverano di essere il campione di luglio, di fare tutto in funzione del Tour, ma siamo sicuri che il suo fisico gli avrebbe consentito stagioni da marzo a ottobre? [...] Le cose più evidenti sono spesso le più ignorate. Per esempio, con la forma del Tour, Armstrong avrebbe potuto vincere una medaglia d’oro ad Atene [...] due settimane dopo i Campi Elisi. Non ci è andato. [...] In un clima di sospetti crescenti, ha sempre cercato il Tour per dare un peso e un significato al suo continuare. Non l’ha evitato, ha continuato a cercarlo. Uno, due, tre, quattro, cinque, sei, sette. E più ne vinceva più diventava grande, più diventava grande più diventava sospetto e i sospetti lo inseguiranno anche ora che ha chiuso. [...] Ci sono tante corse nel mondo, un ciclista malato può sperare di guarire e di tornare, magari, a correre. Ma Armstrong, da ex malato, ha scelto un bersaglio che gli era negato da sano. [...] Alla Nike sanno che sul mercato Armstrong vale Shaq o Tiger (i cognomi sono superflui). Se ha vinto sette Tour è perché ne ha corsi quasi 14, provando e riprovando salite, cronometro, curve, discese. stato il pioniere della ricognizione, della perlustrazione preventiva, della conoscenza anticipata, della memorizzazione del percorso. Un pioniere sostenuto però dalla tecnologia più avanzata. Si è ritrovato in una multinazionale con gregari italiani, russi, portoghesi, spagnoli, cechi. Con un ds belga. Nessuno credeva in Bruyneel ds e in Armstrong rinato, quando questi due decidono di credersi a vicenda e di credere insieme nell’impossibile. E poi un medico spagnolo, un cuoco svizzero, una guardia del corpo giapponese, un chiropratico australiano. Con una squadra solida e tutta per lui, ha vinto sette volte di fila il Tour ma non ha vinto i sospetti. Io penso che abbia vinto in modo regolare, perché in corsa è stato il più intelligente. Spero che non abbia imitatori. Nessun campione somiglia a un altro e la pasta di cui un ciclista (un uomo) è fatto riassume la sua vita. Non può che essere aggressivo e a volte bullo un ragazzo texano che non ha mai conosciuto il vero padre (un emigrato norvegese, pare) e che era regolarmente picchiato, lui e sua madre, da un patrigno ubriacone. Uno che, vincitore del Mondiale a Oslo a soli 22 anni, si rifiuta di salire sul podio (’non me ne importa niente se c’è il re di Norvegia”) se quelli del protocollo di premiazione non fanno passare nel recinto sua madre (e indica una figuretta in tribuna, avvolta in un impermeabilino da due soldi). Una vittoria da dividere solo con lei, rimasta incinta a 17 anni e costretta a fare gli straordinari come cassiera in una tavola calda per mantenere se stessa e il ragazzino. La sua malattia Armstrong non l’ha taciuta, anzi l’ha esibita l’ha messa in piazza. Nell’autobiografia scritta con Sally Jenkins racconta di quando fu costretto a far congelare il suo seme. Lo accompagnarono in clinica, c’era una stanza con qualche poltrona e qualche rivista pornografica, gli dissero di arrangiarsi in fretta. E lui pensava che i figli nascono da un atto d’amore, e si faceva pena. Ecco, se uno supera certi pezzi di vita e poi ha il coraggio di raccontarli, battere Ullrich, o Vinokourov o Basso, o Mancebo, è un fatto secondario. C’è un doppio Armstrong, nella vita e nel ciclismo. Il primo Armstrong correva da solo, il secondo ha costruito da subito una squadra alla Coppi, o alla Merckx, tutti per uno. Altro che due o tre punte. Tutti per uno, il capo. [...] C’è l’Armstrong ascetico che pedala otto ore sotto l’acqua, quello scientifico che prova e riprova nella galleria del vento, quello attento a tutti [...] C’è quello che va da Bush (o da Kerry, se non è Kerry che va da lui) con il jet privato, c’è l´amicone di Robin Williams e di Ron Howard, c’è l’atleta famoso che si mette con la cantante famosa (e più anziana di 10 anni) e che si schiera contro la guerra in Iraq. Ho sbagliato a dire che spero non abbia imitatori: ne sono certo. Sentimentalmente sono per un ciclismo che attraversi le stagioni, ma in questo miscuglio di orgoglio, gambe, cuore, durezza, speranza devo riconoscere che Armstrong, con gli avversari che aveva (non eccelsi, ma su quelli si è regolato) ha vinto il Tour per sette anni consecutivi e lo ha vinto bene. Perché rovinare con la verità una bella storia? Questo dicono i cronisti scafati (anche da direttori) ai pivelli meno disinvolti. Perché rovinare una bella storia coi sospetti, specie se non provati? La mia domanda è questa. [...]» (’la Repubblica” 25/7/2005). « un passista, scalatore, veloce: vince le gare di un giorno, su strade piane; stacca in salita gli avversari; a cronometro è una moto lanciata a 50 all’ora […] il corridore più ricco del circuito con i suoi 18 miliardi di lire l’anno. Guadagni in buone mani perché adora la finanza, investe on line, voleva diventare un brooker. Ma non riusciva a non correre. Da piccolo nuotava nella piscina un po’ lontana da casa, a Plano, nel Texas. La bici era l’unico modo per raggiungere la palestra d’acqua. Mamma era al lavoro, da un posto di segretaria all’altro. A Dallas e dintorni se non giocavi a football non eri nessuno. Lui preferiva correre. Nuoto, bici, corsa: il Triathlon. Diventò subito un vincente. […] Papà se n’era andato. Certo poi si fece vivo, ”padre orgoglioso”, quando il figlio fatto e dimenticato era diventato una star da copertina […] Il signor Terry Armstrong era uno stronzo che menava il ragazzo con un remo. Faceva male. […] A sedici anni non aveva il contachilometri. La madre cercava di fargli avere le migliori due ruote comprate dal ciclista all’angolo della strada, un amico. Ma il contamiglia costava troppo. Per sapere quanto aveva pedalato, in quelle piane dove sembrava di correre sulla luna, ci pensava mamma: faceva in macchina il tragitto tra distese d’erba marrone, campi di cotone e vento […] Diventò professionista e iniziò a studiare, a capire pian piano ”la scienza per vincere”. Così la chiama. Bisogna conoscere l’avversario, la fatica, sapere tutto delle strade, delle salite, delle squadre, perché il ciclismo, non sembra, è sport di squadra […] Durante la malattia non smise di pedalare. Ogni tanto Eddy Merckx volava in Texas: il grande campione belga del passato era il suo compagno di sgambate […] Il 2000 è l’anno della sfida vinta contro Marco Pantani, l’amico che durante la malattia lo chiamava per incoraggiarlo. Dall’estate dell’anno prima, i due non si parlavano più e alla stampa, soprattutto francese, quella loro rivalità alla Coppi e Bartali piaceva da morire […] Tutto nasce nella tappa del Ventoux. Pantani è in forma, Armstrong stacca gli altri e lo segue. Si guardano. Sull’ultima salita sono loro. Ecco il traguardo. Plateale, Lance molla all’ultimo scatto. Pantani vince, tanto ha un ritardo di dieci minuti in classifica rispetto al rivale. La stampa commenta: lo ha lasciato vincere perché ha imparato che ogni tanto è meglio perdere. Pantani si sente offeso. Tre giorni dopo, il pirata si vendica. Alle 17 e 43 di domenica 16 luglio, Armstrong, che aveva umiliato Marco sui Pirenei e lo aveva provocato sul Ventoux, guarda la schiena del rivale che se ne va a vincere» (Daniele Bellasio, ”Il Foglio” 25/3/2001). «Ci sono molte buone ragioni per stimare Lance Armstrong: diventò campione del mondo su strada nel 1993 a soli 22 anni; passò attraverso un’esperienza terribile, riuscendo a sconfiggere il cancro e a riproporsi come corridore; l’amore per la vita ritrovata gli ha dato coraggio, autostima, forza di sopportare allenamenti durissimi; l’ha indotto a impegnarsi nel sociale, creando una fondazione che aiuta chi è colpito dalla sua malattia. [...] Pedalate frenetiche da robot, mai un’incertezza, frutto del suo avvicinamento al Tour addirittura maniacale nella cura dei particolari. Un esempio: lo sponsor gli chiese, alla partenza da Liegi, di portare un nuovo orologio. Sapete perchè rifiutò? Perchè pesava 40 grammi più di quello che avrebbe dovuto lasciare nel cassetto... Ci sono altrettante buone ragioni per non amare "Mister Sei". Disputa una sola corsa all’anno, e ciò è imperdonabile. Armstrong è il campione del Tour, non di un ciclismo nel quale mai osa mettersi in gioco. Deve stare con i figli, dice. Ma gli altri corridori sono tutti scapoli? [...] affronta la Grande Boucle con il bilancino del farmacista protetto da una squadra formidabile costruita grazie alla generosità degli sponsor» (Gianni Romeo, "La Stampa" 26/7/2004). «Il quesito globale sull’americano Lance Armstrong al suo sesto Tour de France consecutivo strapazzato è semplice, anche se si dipana in tante domande perfettamente biforcute: 1. un assoluto naturale o è un assoluto artificiale? 2. un fulgido esempio di sacrificio, di ascetismo per vincere la malattia o è un bluff sanitario semovente? 3. un essere pieno di umanità, con gregari gratificati e a lui votati come discepoli ad un messia, o è un tremendo sceriffo in malafede che punisce chi - come Simeoni - osa dire una sua verità, sfidarlo? 4. un altro Coppi padrone del Tour o manco è parente del Campionissimo che nel 1952 dominava la Grande Boucle e veniva così omaggiato da un frillo francese: "Ringrazio monsieur Fostò che mi ha lasciato vincere la tappa"? 5. uno che sul suo tumore ci marcia o è uno che marcia forte senza bisogno di sfruttare il tumore per avere licenze farmacologiche speciali? 6. un cavaliere senza macchia e senza paura o è soltanto un cavaliere senza paura? 7. un padre che sospira i figli lontani nel Texas o è uno sciupafemmine che lascia la moglie per una sgallettata cantante pop? 8. Verrà spavaldo al Giro d’Italia o ha paura di Cunego e delle novità? 9. Esalta l’antidoping rispettandolo o sa come vanificarlo? 10. Fa del bene al ciclismo esaltandolo o fa del male al ciclismo assoggettandoselo? Risposta a piacere» (Gian Paolo Ormezzano, "La Stampa" 26/7/2004). « un pianificatore. Prima del cancro era un improvvisatore, ma di talento. Nel 1993 fu il più giovane vincitore di tappa al Tour e il più giovane campione del mondo. Al Tour si era ritirato prima delle Alpi, definite ”troppo lunghe e fredde”» (Gianni Mura, ”la Repubblica” 30/7/2001).