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 2002  febbraio 12 Martedì calendario

Arnault Bernard

• Roubaix (Francia) 5 marzo 1949. Magnate • «Signore e padrone di Dom Perignon e Veuve Cliquot, Christian Dior e Guerlain, Givenchy e Louis Vuitton, Christian Lacroix e – da ultimo – Fendi […] Dal suo trono di un regno, la Lvmh (Louis Vuitton Moet-et-Chandon Hennessy) che fa affari per 15mila miliardi l’anno e lo mette all’ottavo posto tra gli uomini più ricchi di Francia […] È il capo che ingaggia in assoluta libertà gli stilisti per le sue maison: Marc Jacobs per Louis Vuitton, e gli inglesi Alexander McQueen per Givenchy e John Galliano per Christian Dior, da lui rilanciata con Gianfranco Ferré. E, a chi lo critica per aver ingaggiato couturier troppo giovani, risponde secco: “Quando dirigi una casa di moda, è il futuro, non il passato, che conta”. Non che il “monarca” non accetti consiglieri. Anzi: nel suo impero qualche vassallo lamenta la troppa influenza della moglie e della figlia maggiore, Delphine, 23 anni, pronte a suggerirgli anche i dettagli, dalla vetrina dei negozi Vuitton al tono da suggerire ai suoi stilisti per la futura collezione […] Mentre i suoi compagni di università del Politecnico di Parigi, barba lunga e fantasia al potere, ribaltavano il mondo, era il 1969, la matricola Bernard, buona famiglia della nordica Roubaix, ai confini con il Belgio, si ostinava a indossare giacca e cravatta fra i dolcevita dei colleghi […] Giovane promessa destinata a entrare all’Ena, la scuola post-universitaria della capitale che forma la classe dirigente francese, tornò al paese per prendere le redine dell’azienda di costruzioni del padre. Che, per di più, era tutto tranne che florida. […] D’un tratto, chiude i cantieri, si concentra sull’immobiliare e si prepara all’occasione giusta. […] Nel 1981 tremò di fronte alla vittoria della sinistra alle elezioni francesi e decise di cercare riparo dai temuti eccessi rossi della gauche mitterrandiana negli Stati Uniti. Tre anni ci mise per vincere la paura e trasformarla in opportunità. In grande opportunità, per la precisione: quella di comprare, grazie proprio all’appoggio di un giovane primo ministro socialista, Laurent Fabius, (e della potente banca Lazard) un gruppo decotto, in cui erano finite man mano aziende decadute di grandi famiglie del tessile, che conteneva però un gioiellino. La maison Christiane Dior. Il problema del governo è di salvare il posto al maggior numero dei 30 mila dipendenti? Sgombra subito il campo. E si impegna. Ma solo finché non ha in mano lo scettro: un attimo dopo è già pronto a smembrare e vendere, a tagliare. Si tiene solo la maison Dior, che diventa la finanziaria-cardine sulla quale costruirà il suo impero» (Edoardo Vigna, “Capital” n.1/2000).