Varie, 12 febbraio 2002
ASPESI
ASPESI Natalia Milano 23 giugno 1929. Giornalista. Scrive su ”la Repubblica” • «Autrice anche di libri come La donna immobile (1974), Lui visto da lei (1978), Vivere in tre (1981), Il lusso e l’anarchia (1982) è uno degli esempi migliori del buon vecchio giornalismo all’italiana. Lei si diverte molto a fare il suo mestiere, e di conseguenza si divertono anche i suoi lettori; si occupa di cose diverse con straordinaria diligenza e competenza, ma anche con distacco e ironia: il cinema, la moda, la letteratura rosa per lei non hanno misteri, i rapporti di coppia sono il pane quotidiano con cui alimenta la sua rubrica ”Questioni di cuore” sul ”Venerdì”. Ma il suo forte è il costume, ossia l’osservazione di come cambiano modi, usi e comportamenti. [...] Si può ben dire che la coltivi un moralismo tutto suo, che non tiene conto delle parolacce o di certe espressioni un po’ volgari a volte anche abbastanza fastidiose, e che invece dà assoluta importanza a doti che ormai sembrano abbastanza desuete: l’onestà, l’intelligenza, la serietà e l’educazione vera: ”Mi rendo conto di essere una noiosa moralista o anche una moralista stravagante”» (Giulia Borgese, ”Corriere della Sera” 26/1/2001). «’Alla ”Repubblica” il direttore Eugenio Scalfari mi riempiva di rose per complimentarsi dei miei articoli. Ma agli uomini non mandava sigari per lodarli. La sua era perciò condiscendenza” [...] Fu assunta al ”Girono” solo perché se n’era andata Adele Cambria, l’unica redattrice. ”Serviva il simbolo democratico di una donna, su 300 uomini. Il bello è che fui fatta subito inviato, mentre i maschi aspettavano anni. Non volevano donne in redazione: temevao turbamenti”. Mamma Aspesi restò vedova che Natalia aveva cinque anni e sua sorella poco più. Milanese fino al midollo si tirò su le maniche, ma pretese altrettanto dalle figlie. Al momento di mandare Natalia al Ginnasio-Liceo, disse: ”Non ti puoi permettere altri cinque anni di studi”, e la spedì all’Artistico delle Orsoline, per un corso di disegno in tre anni. Come primo impiego, la ragazza disegnò tessuti in un piccolo studio. Era l’immediato dopoguerra e c’erano mille occasioni di lavoro. Poco pagata e con la mamma che scalpitava, traslocò dai tessuti a un’azienda di macchine per impastare i formaggi. Ci restò un decennio. Per caso, un amico redattore alla ”Notte” le disse: ”Qui lavora chiunque, vuoi provare?”. Scrisse su una mostra di cani a Bellagio e capì che le piaceva. Prese coraggio e lasciò il cacio per ”Annabella”. Passò al ”Giorno”, dove è rimasta 16 anni, poi alla ”Repubblica” nel 1976, l’anno della fondazione. Dal ”Giorno” uscì quando venne a dirigerlo Gaetano Afeltra: ”Si era suicidata la nipote di Toscanini, in clinica per turbe. Gaetano pretese che scrivessi un pezzo con il nonno che la teneva in braccio, tacendo del suicidio e della clinica. Oggi ho il giusto cinismo, allora pensavo di dovere lealtà al lettore. Non firmai l’articolo e passao alla ’Repubblica’”. La grazia spiritosa della sua scrittura la deve alla famiglia materna, d’origine beneventana. In particolare a zio Gigetto, confidente di Claretta petacci, che ne scrisse una biografia, base di ogni altra» (Giancarlo Perna, ”Capital” n.11/2001).