Varie, 12 febbraio 2002
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Asta Antonino
• Alcamo (Trapani) 17 novembre 1970. Ex calciatore. 33 presenze in A con il Torino, una in nazionale • «Ex barista e già capitano del Torino, che a trentadue anni vestì la maglia della Nazionale dopo una vita onesta e anonima da mediano. [...] In Sicilia, a casa sua, [...] il centrocampista coronò la lunga gavetta giocando a Catania l´unica partita in azzurro il 13 febbraio 2002 (era Italia-Stati Uniti, finì 1-0, ma lui era già uscito nell´intervallo sullo 0-0). [...] Molto travagliata ma poi incredibilmente lieta, quando nemmeno lui se lo sarebbe aspettato, era stata la parabola pedatoria di Antonino, ragazzo emigrato a Milano da Alcamo con una valigia piena di sogni in forma di pallone. E´ una storia fatta di campi di calcio nebbiosi della periferia milanese, di allenamenti e di partite strappate, all´inizio, al suo lavoro nei bar, a servire un espresso e una bibita. Però di stoffa il piccolo e veloce siciliano ne aveva. Così erano arrivate le prime soddisfazioni. Niente di speciale, per carità: dal Corbetta, in Interregionale, al Saronno, nel campionato nazionale dilettanti e in C2. E quindi al Monza, fino alla soglia dei ventisette anni, in C1. La linea d´ombra che separa giovinezza e maturità l´aveva superata da un pezzo quando, nel 1997, lo prese il vecchio Toro in B. Anche in granata, tuttavia, Asta era destinato a soffrire. Dopo un´annata non eccelsa, stringendo i denti, disputò il campionato seguente alla grande, contribuendo fortemente a portare il Torino in A. Eppure, per quelle mattane del calcio che non hanno spiegazioni logiche, il giocatore venne dato al Napoli. Per ritornare al Toro e guadagnarsi addirittura la fascia di capitano. Le sue tribolazioni avrebbero dovuto chiudersi lì. Invece, nonostante un´altra annata straordinaria, con i granata salvi e l´azzurro con il Trap, la sorte iniqua era di nuovo in agguato. S´infortuna in un derby, perde il treno della Nazionale, nell´estate del 2002 il Torino non gli rinnova il contratto. Va a Palermo, allora. La vita è ancora una ”rosa fresca aulentissima”, come quella di Ciullo d´Alcamo. Dura un anno. Cioè niente [...]» (Massimo Novelli, ”la Repubblica” 31/1/2004). «Appartiene alla fascia media dei calciatori, la più vasta, dove non sei Totti e non sei neanche un brocco, dove sgobbi e ne vedi di tutti i colori» (Maurizio Crosetti). «Vite parallele: Alessandro Del Piero, il predestinato, nella stagione 1993-94 vestiva per la prima volta la maglia della Juventus (11 presenze e 5 gol), aveva 19 anni; Antonino Asta, il faticatore, nella stagione 1993-94 serviva caffè al bancone del bar di famiglia e guadagnava 2 milioni al mese nel Saronno, campionato dilettanti (31 presenze e 5 gol). Aveva 23 anni. ”Stagioni bellissime: facevo quello che mi piaceva. Poi ci siamo ritrovati per caso in C2, ripescati all’ultimo momento, e senza nemmeno accorgercene abbiamo vinto il campionato. E lì è cominciato tutto”. Forse tutto era cominciato prima, al Corbetta, stagione 1989-90. Campionato di Promozione, ingaggio di 250 mila lire. Presidente Ezio Greggio, quello di Striscia la notizia. ”Si presentava al sabato e chiedeva di potersi allenare con noi. Non era un gran giocatore, in compenso non la smettevamo più di ridere”. […] E fu, ricorda lo stesso comico, causa involontaria del via alla carriera di Asta: ”Tonino mi chiese un aumento, poco per carità, ma troppo per le casse del Corbetta. Lo meritava ma non avevamo soldi. Così lo cedetti all’Abbiategrasso. E fu la sua fortuna”. Dopo l’Abbiategrasso, tre stagioni al Saronno poi la chiamata al Monza, serie C1. Qui lo valorizza Gigi Radice, l’allenatore del Toro campione d’Italia 1976, che infatti chiama i vecchi amici e raccomanda il ragazzo: ”Ho trovato il nuovo Di Livio, o se preferite il nuovo Claudio Sala: venitevelo a prendere”. La chiamata in granata arriva nella stagione 1997-98. Il Torino è in serie B, il nuovo Claudio Sala (il ”Poeta del gol” dello scudetto) gioca 61 gare, segna 3 gol ed è protagonista della promozione in A. Il sogno di una carriera? Macché. Nel calcio che conta Asta disputa otto spezzoni di partite, poi l’allenatore Mondonico lo prende da parte e gli dice papale papale: ”In B andavi bene, in A no. Al tuo posto giocherà Sommese, se vuoi ti cerca il Napoli”. Antonino a metà stagione prepara le valigie, si trasferisce al Sud, ha qualche problema d’ambientamento (’non osavo uscire in auto, dovevi passare col rosso e fermarti col verde”) poi però si integra a meraviglia. Particolare non trascurabile: il Napoli viene promosso in A, il Torino di Mondonico e Sommese precipita in B. Ma la serie A anche questa volta può attendere. ”Ero in comproprietà fra Napoli e Torino. Ferlaino mi disse che sarei rimasto, invece le società non si accordarono e a mia insaputa venni ritrasferito al Torino in B”. Al Toro trovò Simoni, che lo lasciò fuori squadra; poi, un pomeriggio di ottobre, dopo l’esonero di Simoni arrivarono Camolese e un colloquio nel silenzio di uno spogliatoio vuoto. E arrivò la promozione in A. Vedi sopra: particolare non trascurabile, il Napoli di Ferlaino (e di Mondonico) nel frattempo retrocesse in B» (Roberto De Ponti, ”Corriere della Sera” 28/11/2001). «C’è una cosa, in campo, che fa più male dei calci, anzi due. Le prese in giro e gli sputi. Esiste una specie di codice d’onore che mette queste infamie al posto più basso dei comportamenti. Per fortuna, lo sputo è rarissimo. Ma quando capita, non ci vedi dalla rabbia. Personalmente, la cosa che sopporto di meno è l’avversario che ti vuole umiliare, quello che sul tre a zero prova a farti un tunnel. Il pugile che infierisce sull’avversario dimentica una legge semplice: oggi a me, domani a te. Se vuoi rendermi ridicolo, potrà capitarti un giorno la stessa cosa. Così, esiste una regola non scritta secondo la quale chi stravince, deve far girare il pallone e non colpire più. A volte succede che entri un attaccante nei minuti finali, e che voglia mettersi in mostra perché ha poche occasioni. Ma neanche a lui è permesso prendere in giro. L’altra cosa che fa venire il sangue agli occhi è non vedersi restituita la palla, dopo che l’hai messa fuori perché l’avversario è a terra».