Varie, 12 febbraio 2002
Tags : Paul Auster
Auster Paul
• Newark (Stati Uniti) 3 febbraio 1947. Scrittore. Laureato alla Columbia University ha vissuto per quattro anni in Francia. Dal 1974 inizia a pubblicare poemi, saggi, romanzi e traduzioni. da molti anni uno dei romanzieri americani più affermati in Europa. Ogni suo nuovo libro è un successo, ogni sua lettura un evento. E anche i film di cui è stato sceneggiatore o regista - Smoke, Blue in the face e Lulu on the bridge - hanno avuto più seguito da noi che in patria. Tra i suoi romanzi La musica del caso, long-seller che Guanda ristampa costantemente, Leviatano, Trilogia di New York, La città di vetro. «Voce brillante e originale dell’ultima narrativa americana, si è affermato grazie allo slancio visionario, al gusto per la creazione e l’intreccio avventuroso dei thriller metafisici di Trilogia di New York, Città di Vetro, Spettri, Il palazzo della Luna» (’liberal” 22/10/1998). «A volte Paul Auster mi fa venire in mente un disc-jockey, ha scritto di recente un critico del ”New York Times” a proposito del celebre scrittore americano. ”Non uno di quei disc-jockey generici che alla mattina tengono compagnia ai pendolari in macchina. Parlo di quei dj ormai difficili da trovare che a tarda notte parlano fra una canzone e l’altra e non sembrano mai a corto di una storia da raccontare, un’osservazione, uno scherzo o una divagazione”. Paragonare Auster a un cantastorie mai a corto di materiale è particolarmente azzeccato [...]» (Andrea Visconti, ”L’espresso” 15/1/2004). «Io scrivo pensando sempre: ”Prova, prova ad uscire dal solito schema fisso!”, ma alla fine continuo a raccontare sempre le stesse cose. Per lo scrittore è come una specie di ”impronta digitale” [...], non comincio dalla trama, ma dai personaggi e dalle situazioni. Poi la storia si sviluppa liberamente. Mentre scrivo mi rendo conto di quello che sto facendo. Non è, però, come muovere delle marionette, sono io stesso ad inseguire i personaggi che compaiono nella storia [...] Capita anche di copiare da mie opere lasciate a metà. Mi è capitato anche di creare due romanzi da uno di novecento pagine che avevo scritto nel corso di quindici anni. Tutte le mie opere si possono definire anche ”un solo grande libro” [...] Per me tre pagine al giorno sono molte [...] La mattina mi alzo presto, bevo un caffè, accompagno mia figlia di sei anni a scuola e poi vado al lavoro. Per pranzo vado fuori per sentire quello che si dice nel mondo. Poi scrivo fino a sera. A casa mi aspetta la ”vita reale” e quindi non mi porto lavoro da fare. Lascio vagare liberamente il mio inconscio [...] Sono sorpreso da come i miei lettori reagiscano ognuno in modo diverso. Se ci sono persone che dicono: ” un libro freddo, scritto solo con la testa”, ce ne sono altre che al contrario affermano: ” caldo e pieno di sentimento”. Le persone che sentono un mio libro freddo, credo che non riescano a sentire la ”musica delle parole”. Non hanno l’orecchio per ascoltare quello che non è scritto [...] Non penso che voler scrivere sia una malattia o una dipendenza. Credo che sia un lavoro per il mondo, anche se non saprei stare senza scrivere (ride). una strana sensazione scrivere romanzi per guadagnarsi da vivere. A vent’anni ero arrivato a pensare di voler diventare regista cinematografico» (’la Repubblica” 25/6/2002). «’Se non scrivo, ogni giorno o quasi, non mi sento me stesso. Ma è sempre stato così. Nessuno può decidere di fare lo scrittore. Non scegli, sei scelto. A me è successo quando ho letto Delitto e castigo, a quindici anni. Una fulminazione”. Ha anche detto che tutte le idee che ha avute, le ha avute intorno ai vent’anni: come la mettiamo adesso? ”Parlavo di idee filosofiche, la mia visione del mondo si è formata a quell’età e non è più cambiata. Ma idee per delle storie, quelle le ho ancora”. A volte è un frammento di vita che misteriosamente germina: una passeggiata notturna con il cane, qualcosa che luccica sul marciapiede, lui che si china a raccogliere, sarà una pietra preziosa?, invece è uno sputo: una sensazione bizzarra, che anni dopo è diventata la finta pietra blu del Libro delle illusioni. [...] Gli scrittori sono i meno qualificati a parlare dei propri libri. Io, per esempio, non capisco mai davvero quello che faccio”» (Giovanna Zucconi, ”La Stampa” 22/11/2003).