Varie, 12 febbraio 2002
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Auteil Daniel
• Algeri (Algeria) 24 gennaio 1950. Attore • «Un grande attore. Un giorno scoprii, dopo 37 ciak, che aveva la febbre, ma recitava ugualmente. È come Al Pacino, Hoffman o De Niro: fa parte di quegli attori ai quali la celebrità ha donato un volto, ma che restano uomini comuni» (Francis Veber). « Figlio di due coristi dell’Opera, apparve per la prima volta alla televisione francese nel 1974 […] A prima vista gli manca il fisico per fare l’attore protagonista. Eppure, è chiaro che attualmente in Francia è secondo solo a Gerard Depardieu. Versatile, può interpretare drammi e commedie con la stessa comodita; e le numerose storie con belle attrici suggeriscono che ha pure sex appeal» (David Thomson, The new biographical dictionaryof film, Alfred A. Knopf New York 2002). «Mimetico, inafferabile, riservato: dice che il suo maestro è Marcello Mastroianni, eppure le somiglianze non riguardano il carattere, ma solo lo straordinario talento d’attore. Divenuto celebre con il film di Claude Sautet Un cuore in inverno, in cui recitava accanto a Emmanuelle Béart, sua compagna di vita per diversi anni, passa senza posa da un ruolo all’altro, e ogni volta è perfetto, credibile, toccante. […] La regista Nicole Garcia dice ha la capacità “di calarsi fino in fondo nella parte, fin quasi a scomparire. Una cosa che pochi attori sono veramente capaci di fare. E così come si annulla, è poi in grado, sempre d’istinto, di capire quando deve abbandonare l’anima del personaggio, quando deve dimenticare. È unico, possiede una qualità essenziale nella sua interiorità, una duplice natura di familiarità e opacità. È come se il suo incredibile sguardo fosse privo di pupille, uno sguardo che fa pensare a una freccia, ma anche a un abisso, uno sguardo che può commuovere profondamente”. Figlio di coristi lirici, nato ad Algeri perchè la madre era incinta durante una tourneè, non ha mai smesso di recitare in palcoscenico, dove ha esordito, giovane e squattrinato, in Early Morning, regia di Georges Wilson, a quei tempi direttore del Theatre Nationale Populaire. Da allora ha sempre lavorato con i registi e gli attori più famosi del cinema francese. Ma non si è stancato e, almeno per il momento, non è per nulla sedotto dall’idea di passare dietro la macchina da presa: “No, è un impegno troppo gravoso, credo di poter dare qualcosa come attore, ma non nella tecnica della regia. E poi io, nel tempo che un regista impiega per dirigere un film, riesco a fare tre ruoli”» (Fulvia Caprara, “La Stampa” 11/4/2003) • «“Io recito solo quando sono pagato per farlo. [...] Per l´Italia ho una vera fascinazione. Non sarei l´attore che sono se prima non fossi stato lo spettatore dei grandi film italiani”. [...] Quali, a parte Un cuore in inverno, sono i film che hanno segnato la sua carriera? “Tutti: le commedie, i drammi, i più riusciti e quelli meno”. Perché allora parla sempre di Sautet? “Primo perché è morto. Secondo perché credo che tutto quello che ho fatto dopo Un cuore in inverno sia stato per stupirlo”. Era per lei una figura paterna? “Credo di sì. Per tredici anni non l´ho mai lasciato. Non sempre seguivo i suoi consigli, ma Sautet era la mia bussola. E´ lui che mi ha dato la struttura di attore, mi ha trasmesso il poco rigore che ho”. Nella vita o nel lavoro? “Nel lavoro. In fondo non potrei fare altro, allora lo faccio bene”. Però fa anche lo scrittore. “Sì, ma mi annoia. Recitare mi viene naturale. Sono profondamente attore”. Perché ha deciso di essere attore? “Sin da piccolo il teatro è stata la mia casa. I miei genitori cantavano nelle opere e nelle operette. E poi non volevo finire in fabbrica o a dipingere case”. Avrebbe potuto fare il dottore. “E come? Ho interrotto la scuola a quattordici anni”. Perché? “Non mi piaceva, me ne fregavo”. Come ha imparato quello che sa? “Facendo film, teatro, essendo curioso. La vita mi ha guidato e io so molte, moltissime cose della vita. La ritrovo continuamente nei libri che leggo”. [...] Il cinema di Rossellini, di Risi, di Fellini resta italiano anche quando usa attori stranieri e non sono d´accordo con Bertolucci quando dice che il cinema parla francese. Per me parla italiano, perché amo l´emozione, il sentimento, e perché credo che C´eravamo tanto amati sia uno dei più bei film del mondo”» (Laura Putti, “la Repubblica” 27/2/2004).