varie, 12 febbraio 2002
AYALA
AYALA Giuseppe Caltanissetta 18 maggio 1945. Giudice. Della corte di appello dell’Aquila. Laureato in giurisprudenza, fece prima l’avvocato e poi (dal 1982) il giudice a Palermo nel pool antimafia con Falcone e Borsellino. Nel 1992 fu eletto deputato per il Pri, nel 1994 per Alleanza democratica, nel 1996 e 2001 fu eletto al Senato con i Ds. Fu sottosegretario al ministero di Grazia e Giustizia nei governi Prodi, D’Alema I e D’Alema II • «Bon vivant. Baroni si nasce e il sottosegretario alla Giustizia lo è nato. Al liceo aveva la motocicletta più grossa di tutti. Era alto, magro, naturalmente elegante, educato, dal facile eloquio, cioè piaceva. All’università di Palermo, quando i professori gli chiedevano: ”Ah, lei è il figlio del barone Ayala?”, lui non poteva negarlo. Quindi mai lo negò. Da magistrato continuò a piacere. All’ufficio istruzione di Palermo, Giovanni Falcone lavorava, Antonio Di Pisa lavorava e Ayala anche lui, soprattutto intrattenendo i rapporti con la stampa. Perché piaceva. Però fece l’accusatore al primo maxiprocesso. Come la mafia si divide in ”mafia di una volta” e ”mafia mafia”, così la magistratura. Il giudice Ayala mostrò tutta la signorilità del magistrato d’antan evitando di infierire sugli amici. Tra questi il il principe Vanni Calvello di San Vincenzo, il compagnone che trafficava eroina con la mafia-mafia. Poi, siccome anche le fotografie hanno un valore relativo, una sua istantanea con mafiosi durante una festa a Bagheria fu nulla, rispetto a quell’altra che aveva fissato Andreotti in mezzo a una folla di democristiani, tra cui il Nino Salvo fatale. C’è chi puo e chi non può, Ayala può. Sempre piacendo, ma non si sa se per il fascino baronale o inquanto magistrato, il viceministro di ora piacque a tal punto al Banco di Sicilia di allora da ottenere, in combinazione con la famiglia agiata della moglie, uno scoperto di circa mezzo miliardo, valuta anni 80, che non era niente male e però un friccico discutibile. Ciò che non piacque al Csm, non dispiacque a Giorgio La Malfa, il quale promosse subito la discussa toga al rango di deputato repubblicano. Fu la stagione dell’Ayala, se non padre, almeno cugino della patria. Contemporaneamente, il suo collega Di Pisa divenne il corvo nazionale. A indicarlo per primo come tale fu un certo Toti Palma, fraterno amico di Ayala. Il quale, bisogna dirlo, sull’ex collega infierì non poco. Falcone nel frattempo era morto. Poi Di Pisa venne assolto. E Ayala? Ayala andò al governo. Da allora, il barone vigila. Non ha più smesso di avvisare il paese: ”Guai a criticare Caselli, guai ad abbassare la guardia”. Una perfida malignità sussurra che Falcone, a suo tempo, l’avesse soprannominato ”borotalco”» (Pietrangelo Buttafuoco, ”Dizionario dei nuovi italiani illustri e meschini” 3/10/1998) • «Appena assolto, Giulio Andreotti fece un discorso al Senato. Con una lunga citazione elogiativa nei confronti di Giuseppe Ayala, senatore Ds, ex pm del maxiprocesso di Palermo, ex sottosegretario alla Giustizia, amico personale di Giovanni Falcone. ”Ai tempi di Ayala”, disse Andreotti, ”i pentiti venivano gestiti correttamente” [...] Io non me lo aspettavo. Ascoltando la citazione di Andreotti mi rendevo conto che lo faceva per stabilire una contrapposizione tra noi e Caselli. Ma lui parlava pro domo sua. Era un pezzo della sua difesa [...] Non voglio fare il presuntuoso. Però è vero che qualche volta i pentiti non sono stati gestiti con la professionalità necessaria e che probabilmente noi avevamo. Alcuni colleghi si sono lasciati prendere per mano dai pentiti. Ma non sto pensando neanche lontanamente a Caselli [...] Sandra Patrignani ha scritto: ”Ho fiducia nella magrezza di Ayala”. [...] Cesara Buonamici ha detto: ”Ha i modi del vero signore”. Cristina Parodi: ”Gli giova il modo in cui si porge”. Miriam Mafai: ”Alto, elegante e bon vivant”. Tutti giudizi leggeri. ”Un amico una volta mi ha spiegato: ”Tu non sei un uomo, sei una icona’. A nessuno viene in mente di dire che sono un magistrato straordinario, un uomo che ha rischiato la vita. Viene dato per scontato. Una volta Marcello Sorgi, direttore della ”Stampa’, mi disse: ”Gli uomini importanti non sempre sono simpatici, non sempre eleganti, quasi mai bon vivant. Allora meraviglia uno come te’ [...] Però Antonino Caponnetto disse a Saverio Lodato, disse: ”Ayala era l’unico magistrato di cui mi fidavo ciecamente’. Caponnetto non ha pensato alla mia eleganza”. Giancarlo Perna ha scritto che anche Falcone la considerava piuttosto ”leggero”. La chiamava borotalco. ”Una bufala. Perna avrebbe dovuto chiedersi perché Falcone volle che io fossi per dieci anni il pm dei processi istruiti da lui. Perché chiese a Paino, procuratore della Repubblica, di mandare sempre Ayala ai dibattimenti dei suoi processi”. [...] rimase coinvolto in una storia di debiti. ”Uno scoperto in banca di 500 milioni. Ma riguardava l’attività di mia moglie, una signora benestante alla quale capitò di dover ristrutturare immobili di sua proprietà. Lo scoperto, comunque, fu onorato nei tempi previsti [...] Fu un periodo di follia, si disse che giocavo d’azzardo, che avevo giri di belle donne [...] Sono stato due volte vicinissimo a fare il ministro della Giustizia, prima con Ciampi e poi con Prodi. Quando un autobus è passato due volte è difficile che passi la terza [...] Fare il ministro non mi sarebbe dispiaciuto. Ma non ne ho fatto una malattia. Oltretutto quello della Giustizia è un ministro a metà, perché la giustizia è gestita dai magistrati. Sui quali non ha alcun potere [...] D’Alema mi disse che aveva pensato a me ma Prodi aveva preso un accordo con Flick [...] ebbe un momento di freddezza con Falcone. ”Roba da siciliani permalosi. Ma la colpa era sua che era più permaloso di me. Qualcuno gli aveva riferito che non volevo andare a Roma con lui, per non essergli sottoposto. Era falso, ma era sgradevole. Lui avrebbe dovuto venire da me e dirmi: ”Ma che sei matto?’. Invece rispose: ”Lui? Sono io che non ce lo voglio’”. Due siciliani doc. ”Stronzi. Ci perdevamo in sciocchezze nonostante fossimo così amici che sua moglie ci chiamava ”i due fidanzati’. Eravamo legatissimi, ai limiti dell’omosessualità [...]”» (Claudio Sabelli Fioretti, ”Sette” 15/1/2004).