Varie, 12 febbraio 2002
BAGLIO
BAGLIO Aldo Palermo 29 settembre 1958. Attore. Comico. Appartenente al trio Aldo, Giovanni e Giacomo. «Ero un lattante grosso, grossissimo, e i figli grossi a Palermo allora erano quelli belli. ”Quant’è beddu ”stu fiiiiju” dicevano a casa mia. Macché, ero come il carosello della Philco, sembravo uno del pianeta Papalla. Appena nato dovevo essere un maiale: quattro chili e mezzo […] Ho sempro odiato studiare e ho avuto un cattivo rapporto con i compiti che sul diario non segnavo mai; non riuscivo a stare al passo neppure con quello. Di matematica, inglese, italiano non ho mai capito niente, e andavo sempre al doposcuola […] Volevano bocciarmi anche in terza media, ma con gli insegnanti ho fatto un patto: il diploma in cambio della promessa che non avrei continuato gli studi. Figurati, io non aspettavo che di andare a lavorare. Lo sai cosa hanno scritto sul mio libretto scolastico: ”Nessuna attitudine”. Ogni tanto lo riguardo e mi scappa da ridere. Sono belle le rivincite con quelli che hanno detto che non sarei stato niente […] Avevamo un amico, Bebo Storti, che era all’oratorio con noi e aveva fatto la Scuola d’arte drammatica. Era, è sempre stato, un gran chiacchierone. Per quanto noi eravamo timidi e taciturni, lui era uno di quelli che ti teneva su anche raccontando cose irrilevanti o inventate. Un giorno che eravamo insieme, Giovanni e io cominciammo a fare gli stupidi per la strada, a mimare delle cose. Eravamo un po’ pazzi, ma avevamo l’età per esserlo. Lui ci guardò e disse: ”Però, siete bravi. Dovreste fare una scuola” […] Non avevo mai partecipato alle recite, da bambino. Diciamo che è stata una vocazione tardiva, sono una persona che s’è scoperta capace di fare ”sto mestiere dall’oggi al domani. E su cosa dovevo puntare se non sulla fisicità? All’inizio con Giovanni facevamo pantomime e maschere, un repertorio abbastanza lontano da quello che facciamo oggi […] Mi capitava anche di abbandonare lo spettacolo a metà. Una volta, a Bassano del Grappa, stufo di prendere insulti da uno che aveva bevuto e interrompeva sempre, Giovanni lo ha mandato a quel paese. Fine dello spettacolo […] Alla fine, su dieci serate quattro andavano male, ma sei andavano bene ed eri ripagato […] Sono stati anni belli, ma anche difficili. E logoranti. A un certo punto io non andavo più tanto d’accordo con Giovanni: s’era creato tra noi due qualcosa di personale senza che fosse successo niente di reale. E non riuscivamo più a comunicare come prima […] Giacomo lo abbiamo imbarcato perché volevamo fare questa cosa in tre, ci credevamo. Lo volevamo con tutte le nostre forze. Giacomo era una sferzata d’energia […] Molti amici ancora oggi ci ripetono che a Su la testa non piacevamo. Però, nell’ultima puntata, con la scena dei vecchietti, abbiamo lasciato una buona immagine. andata un po’ come a Mai dire gol…, quando all’inizio facevamo i personaggi degli arbitri, e non è che funzionassero troppo. Poi, alla terza domenica, è bastata un’invenzione. Giovanni ha fatto il geco e via. Fortuna? Follia? Merito della Gialappa’s che in trasmissione ti protegge e valorizza le tue cose? […] Da lì in avanti di personaggi ne abbiamo sfornati a raffica. Bastava essere pirla e tiravi fuori il massimo […] E comunque la popolarità è arrivata con il contagocce, e non è stato traumatico farci l’abitudine, dopo tanti anni di lavoro. cominciata con la gente che per strada ci faceva il verso, riprendendo i tormentoni dei personaggi di Mai dire gol…, ed è esplosa con il film Tre uomini e una gamba. E con lo spettacolo teatrale I corti» (Cesare Fiumi, La prima vera storia di Aldo, Giovanni & Giacomo, Mondadori 2001).