Varie, 12 febbraio 2002
BAGLIONI
BAGLIONI Claudio Roma 16 maggio 1951. Cantante. Autore • «Inizia a quattordici anni a suonare la chitarra e il pianoforte e a partecipare a concorsi canori vari; presto vengono le sue prime canzoni (Signora Lia, 1969), ma non la notorietà. Il successo giunge travolgente e duraturo nel 1972, grazie non tanto alla registrazione delle canzoni del film Fratello sole, sorella luna per la regia di Zeffirelli, quanto alla pubblicazione dell’album Questo piccolo grande amore contenente l’omonima canzone (che arriverà a 18 milioni di copie vendute). Divenuto di fatto portavoce delle istanze adolescenziali, prosegue a narrare di delicati amori e improvvise emozioni con opere come E tu...(1974; la canzone che dà il titolo all’album vince il Festivalbar), Sabato pomeriggio (1975), Solo (1976, nel quale compone per la prima volta sia i testi che le musiche), E tu come stai (1978) e Strada facendo (1981). Sempre molto attento all’impatto emotivo delle sue canzoni, si affida il più delle volte ad arrangiatori abilissimi, come Tony Mimms, Vangelis e Luis Bacalov. Superata l’iniziale ritrosia a esibirsi davanti a un pubblico, i suoi concerti ben presto diventano enormi raduni di giovani e giovanissimi e le sue tournées trionfali affermazioni» (Dizionario della musica italiana. La canzone, Augusto Pasquali, Newton&Compton 1997). «Nel ´68 feci il primo provino per la Ricordi, a Milano, mi accompagnò mia madre, non avevo compiuto diciassette anni, mi dissero tu non farai mai nulla, fui trattato a pesci in faccia, tornai a mezzanotte alla pensione dove mi aspettava mia madre, e io sul tram, in una città che sentivo molto ostile, tirai giù il finestrino e dissi vi farò vedere, diventerò un grand’uomo [...] Ricordo che da ragazzino le notizie di chi è nato e chi è morto mi destabilizzavano, io pensavo che tutte le persone che si conoscevano e si volevano bene dovessero nascere e vivere e andarsene tutte insieme [...] mio padre fischiava sempre, e poi gli piacevano le fanfare e le fisarmoniche» (Gino Castaldo, "la Repubblica" 21/5/2003). «Piccolo grande amore salì in cima alle classifiche e ci rimase per buona parte del ´73, anno molto politico, non ancora di piombo ma comunque tempestoso, e intensamente segnato dai moti studenteschi e dalle lotte operaie. Una trepidante canzone sentimentale, scritta da uno studente di architettura romano che si sentiva permeabile ai tempi e all´impegno, ma aveva una sua vena intimista, introversa, in apparente controtendenza con i fiammeggianti umori pubblici dell´epoca. Quella canzone sarebbe diventata più di un classico: la vera e propria icona del cantare leggero nazionale, piccolo melodramma corale rieseguito in mille luoghi e mille forme, forse il più popolare e il più italiano di tutti i brani pop. Come Mamma, come O surdato innamorato, come Volare, ma perfino più slegata dal suo contingente melodico, dal suono del momento, come se fosse la sintesi fortunata di modi e inflessioni di molte scuole e molti periodi: qualcosa di Battisti, qualcosa di Napoli, qualcosa della moderna malinconia cantautorale, il cantare dispiegato della tradizione popolare romana, e naturalmente l´eterna influenza dell´eterno melodramma. Baglioni ne parla volentieri, con affetto e con orgoglio. ”C´è sempre un rapporto teso e difficile tra ogni cantante e la sua canzone-didascalia. Se non altro per l´obbligo di eseguirla sempre e comunque, che rischia di diventare ossessivo. Con Piccolo grande amore ho avuto anch´io, e per parecchi anni, una relazione tormentata. Costretto a furor di popolo a metterla nella scaletta dei concerti, ne ho fatte tre o quattro versioni diverse, anche piuttosto strampalate. Finché un giorno, a Palermo, alla fine di un concerto nel quale avevo eseguito una specie di riedizione new-age di Piccolo grande amore, venni duramente affrontato da una ragazzina. Gentile ma incazzata. Lei - mi disse - non può permettersi di fare così. Quella canzone non è più sua, è nostra, è di tutti. La faccia come piace a noi, la faccia come è davvero...Discussi animatamente con la ragazzina per un bel po´. Ci ripensai: niente da fare, la ragazzina aveva ragione. Piccolo grande amore non era più mia, era una specie di bene pubblico. E da allora ho fatto pace, definitivamente, con la maglietta fina...”. Che poi, Baglioni, non è così canzonetta, non è così corriva, no? ”No. Ha quattro parti che si rinnovano per due volte, e ha una introduzione importante. Ennio Morricone mi disse una volta che non è una banale canzonetta, non credo che volesse solo essere gentile. Certo, per gli anni nei quali l´ho scritta non era abbastanza impegnata. Il suo successo travolgente, per certi aspetti, fu una vera e propria zavorra...”. In che senso, Baglioni? ”Faceva parte di un concept-album, uno dei primi nel suo genere, nel quale parlavo della vita giovanile in tutti i suoi aspetti, compresi i cortei studenteschi e la contestazione. Ennio Melis, produttore artistico della Rca, decise che di cantautori impegnati ce n´erano già troppi. Intervenne tagliando tutta la parte "politica" del disco. E poi ero arrivato ultimo in due concorsi per cantautori. Non penultimo, proprio ultimo, e in tutti e due. Ero riuscito ad avere successo solo in Bulgaria e in Cecoslovacchia, e mi trovai a dover decidere se trasferirmi lì oppure lasciare perdere. E conclusi che era meglio lasciar perdere, tornare a Valle Giulia e ricominciare a dare i miei esami di architettura... Poi, una mattina, già da ex cantautore, mi accorsi che avevo dimenticato una chitarra alla Rca, la mia casa discografica. Andai a cercarla, e quando stavo per uscire, nell´indifferenza generale, una segretaria mi fermò e mi disse: ma Claudio, lo sai che il tuo disco è entrato in classifica? E´ già al secondo posto. Tornai a casa prendendo i soliti tre autobus, abitavo a Centocelle. E ricordo perfettamente che guardai tutte le finestre di tutte le case di Roma, pensando che in quel momento, forse, c´era qualcuno che stava ascoltando il mio disco, c´era qualcuno che sapeva chi ero...”» (Michele Serra, ”la Repubblica” 28/6/2003). «L’anti Vasco: dorme con i bigodini perché vuole i capelli lisci come spaghetti. [...] Sor Capanna che assomiglia a un manichino dopo la doccia e canta come un Claudio Villa sderenato da una corsa in bicicletta [...] Cogli anni Novanta, il Liala di Gira che ti rigira amore bello mira a un qualcosa di diverso e di più: non è solo un Fruit of the Loom dell’adolescenza pipparola o un Levi’s della canzonetta democristiana (fu citato da De Mita a un congresso diccì e indicato da Mastella come esempio di ottima musica e buona poesia). Sdoganata dal ”fabio-fazismo” la ”baglionite” fa fuori i de profundis di De Gregori e si candida adesso a stornello dell’Ulivo [...] Per fortuna che non è quasi mai antipatico, perché quasi sempre è ridicolo» (Pietrangelo Buttafuoco, ”Dizionario dei nuovi italiani illustri e meschini” 3/10/1998). «Molto magro, alto, longilineo [...] ”Quando ero in crisi, mi aveva colto, come un brigante di strada, il senso che non avevo più niente da dire o da fare. Cercavo le parole, la nota sublime che non arrivava mai. Così, non trovandola, mi sono gettato in una negatività. Poi invece, facendo pace con i dubbi, è arrivata l’ondata positiva [...] Ero un uomo di pianura, e non pretendevo di essere Messner, di scalare montagne. Ero più saggio vent’anni fa [...] Non sono più stanziale. Vivo girando. Le mie case sono diventate gli alberghi [...] Oggi riesco a stare un po’ meno solo. Una volta potevo stare un mese da solo. Adesso non ci riuscirei più. [...] Vorrei essere come il pugile che abbandona il ring prima del ko. Spero di accorgermi che è il momento di smettere”» (Alain Elkann, ”La Stampa” 20/5/1996). Nel 2001 ha vinto una causa lunga undici anni contro Ricky Gianco, che lo accusava di avergli rubato (copiato dalla sua impossibile) Questo piccolo grande amore. Il consulente d’ufficio nominato dal Tribunale gli aveva in verità dato torto, ma è stato smontato da periti di parte quali Ennio Morricone, Luis Bacalov, Elio Pulizzi (’Corriere della Sera” 27/1/2001). «"Signora Lia", uno dei mie primi successi, era in realtà intitolato "Signora Lai". Stavo per registrare in studio il provino alla Rca di Roma. I tecnici in regia indossavano il camice bianco e una spilla con il loro nome. Mentre stavo per cominciare ho visto che il capo dei fonici si chiamava Lai di cognome. E la mia canzone era tutta basata sull’infedeltà coniugale della signora Lai. Temendo che mi rovinasse la carriera, decisi all’improvviso di cambiare [...] Dopo il successo di "Piccolo grande amore" il mio discografico decise che avrei dovuto scrivere un musical e lasciare l’attività di cantautore. E io obbedii, ne scrissi uno intitolato "Le avventure di Dudun Maloo", una specie di marinaio che arrivava in un’isola e trovava una cattiva ereditiera usurpatrice eccetera. Andai a Parigi e dovevo registrare il musical con l’aiuto di Vangelis. Lì decisi che era una follia. Una parte di quel materiale però finì nell’album "E tu" che vendette in poco tempo 600 mila copie. Il resto andò nel cestino [...] Tre volte all’anno provo momenti di insofferenza. Contro di me, che a volte non sono capace di dare risposte giuste» ("Corriere della Sera" 17/6/2003).