Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2002  febbraio 12 Martedì calendario

BAJ Enrico. Nato a Milano il 31 ottobre 1924, morto a Vergiate (Varese) il 15 giugno 2003. Pittore. Scultore

BAJ Enrico. Nato a Milano il 31 ottobre 1924, morto a Vergiate (Varese) il 15 giugno 2003. Pittore. Scultore. incisore... «Se l’aspetto beffardo, satirico, dissacratorio è sempre stato predominante nelle diverse opere - anzi diciamo meglio ”operazioni” -, dai primi collages, dagli Ultracorpi fino ai Generali e alle Dame, e alla glorificazione del Kitsch - non bisognerebbe tuttavia trascurare come, alla base di tutte queste operazioni, esista sempre una volontà di denuncia, di ammonimento che non va sottovalutata e che spesso è ignorata [...] ha saputo - mai adeguandosi pedissequamente alle mode del momento - superare i meandri dell’informale; i tranelli d’un concettualismo privo di calore e di pathos; i facili miti dell’arte povera, troppo spesso inglobatrice di materiali eterocliti; e quelli della transavanguardia spesso figurativa secondo schemi abusati... per rimanere aderente a un suo peculiare modo di esprimersi usando forme e colori, collages e brandelli, intarsi e coccarde... che gli hanno permesso di realizzare un genere artistico autonomo, capace di essere decrittabile sia a livello elitario sia a livello ”popolare”. Dunque: un genere di creazione in sintonia con i nostri tempi con l’era della Tv e dell’Informatica, ma anche rivelatrice appunto della peccaminosità del conformismo borghese, del Kitsch trionfante, della politica mafiosa, ecc» (’Corriere della Sera”, 30/10/2001). «Ho iniziato a 13-14 anni, presi una vera scatola di colori a olio e disegnai paesaggi. La famiglia diceva: ”Com’è bravo, com’è bravo”, non sapevano di incitarmi a quello che volevo essere, cioè un artista. I bambini oggi sono attratti dai miei lavori, molto spesso perché infantili nel loro lato grottesco [...] Sono nato a Milano da madre emiliana e padre varesotto. I miei erano buoni liberali, borghesi, professionisti, ingegneri [...] I miei hanno accettato che facessi l’Accademia di Brera però mi chiesero una laurea, così divenni dottore in Legge e quindi avvocato. Per un po’ ho esercitato, fino al ’56 sono rimasto iscritto all’Albo. Facevo mostre e andavo all’estero. La mia formazione vera fu Parigi [...] Dal ’54 fino al ’68. Max Ernst con mia grande fortuna mi affittò il suo appartamento sotto raccomandazione di Marcel Duchamps. Frequentai molti creatori dello spirito moderno [...] André Breton, Raimond Queneau, Giacometti invece lo conoscevo ma lo frequentavo poco. Capitai tra i surrealisti e i patafisici. Dopo una cultura classica italiana avevo bisogno di trovare un senso di modernità» (’La Stampa”, 11/11/2001). «E’ nato surrealista. Si racconta che al momento della prima sculacciata, sua madre abbia detto: ”E’ un vagito bretoniano”. Anche perché proprio in quell’anno l’ex medico francese aveva pubblicato il Manifesto del surrealismo. Quando si dice il destino... Col tempo, dopo avere fondato, nel ’51, con Dangelo il movimento dell’Arte nucleare (cui si aggiunsero Colombo, Crippa, Dova, ecc.), l’artista lombardo decide di mettere a frutto la sua vena satirica, grottesca e di usare un linguaggio neo- dadaista. Passamanerie, corde, medaglie, coccarde, frammenti di specchi e di metallo, ecc. ecc. La vita è sogno, diceva Calderón de la Barca. La vita è gioco, precisa lui. Che spiega: ”Io sono pittore, scultore, incisore, ceramista, giornalista, saggista e mediosaccente [...] Ho sempre amato sin da bambino guardare a bocca aperta e lavorare con le mani. Talvolta mi piaceva anche riflettere”. E su questa strada – tranne qualche parentesi politica (Guernica, I funerali dell’anarchico Pinelli) – , è andato avanti per decenni. Noti i suoi Generali, le sue Donne, la sua Apocalisse. Poi, negli ultimi tempi, deve aver pensato che, forse, era venuto il momento di cambiare. E così, nel ’92, ha cominciato a lavorare a quattro mani con Mark Kostabi. Contamination. Successivamente, per non restare avviluppato (o strangolato) dai tubi dell’americano, ha preferito tornare a mettersi in proprio e ad aprire una ditta idraulica tutta sua. [...] Certo ha guardato a qualche esempio illustre. A Marcel Duchamp, per esempio, col suo orinatoio. O, anche, al futurista Farfa (pseudonimo di Vittorio Tommasini: 1881-1964), poeta e pittore triestino [...] Se nelle Donne idrauliche si ritrova il Baj di sempre, sia pure con la variazione di alcuni elementi compositivi; nei Piccoli monumenti si assiste ad una sfilata di dadi, manopole, rondelle, galleggianti-mappamondo ed altri articoli di idraulica che, dato che stanno in una galleria – anche se inoperosi e inutilizzabili – devono per forza chiamarsi sculture» (Sebastiano Grasso, ”Corriere della Sera” 13/1/2003). «Uomo di gran simpatia ma di una loquacità a volte inarrestabile, capace di far gesti di estrema generosità ma pronto ad accendersi se riteneva di non esser stato compreso. Nemico dichiarato dei critici d´arte saliti alla ribalta negli ultimi vent´anni ma amico di Eduardo Sanguineti e di Dario Fo, di Duchamp, Queneau, Breton e delle avanguardie neodadaiste europee. Anarchico dichiarato, diplomato all´Accademia di Brera e laureato in giurisprudenza nonché studente di medicina, per un periodo vicino a Lotta Continua ma affascinato anche da Umberto Bossi, che poi rinnegò perché "s´era fatto contagiare dal romanismo". Pittore, scultore, scenografo ma anche saggista, critico e polemista dalle colonne de il "Corriere della Sera". [...] Il suo "Movimento nucleare" si confrontava, combatteva con e contro quello spaziale di Lucio Fontana, che non risparmiò: "Quando Fontana diceva che l´arte si rinnova attraverso il mezzo tecnico...era un pensiero assolutamente inconsistente". Erano visti come componenti del Movimento Crippa e Dova, Piero Manzoni oltre a Sergio Dangelo, Joe Colombo, che poi lasciò la pittura per il design. Baj coinvolse artisti come Asger Jorn, uno dei fondatori del situazionismo, Corneille, Yves Klein, Perilli, Novelli, Colla... Lui, l´uomo della Patafisica (titolo di un saggio che pubblicò nel 1982), e quindi con uno «status mentale di scetticismo attivo», era continuamente alla ribalta delle cronache. Nel 1961 presentò il Grande quadro antifascista collettivo realizzato con Crippa, Dova, Errò, Lebel e Recalcati. Arrivò la polizia, fu sequestrato per ordine della magistratura per la presenza, al centro dell´opera, di un "idolo" (così era scritto nel mandato, in realtà era uno dei Generali di Baj) recante in bocca l´immagine della Madonna e più in basso l´effigie di Papa Giovanni. Fu restituito all´artista soltanto nel 1987. Il 1972 fu invece l´anno de I funerali dell´anarchico Pinelli, grande affresco di una tragedia che aveva segnato profondamente il capoluogo lombardo. In qualche modo ispirato a Guernica, al "malore attivo" che causò la morte dell´anarchico, doveva essere esposto nella Sala delle Cariatidi proprio il giorno in cui fu assassinato il commissario Calabresi. La mostra non si aprì mai. Furono ritirati i cataloghi, cancellati i manifesti. Baj regalò il quadro a Licia Pinelli. Acquistato dalla galleria Marconi fu esposto tre anni fa. Altro quadro, altra storia. Il 1994 è l´anno di Berluskaiser, un´allegoria del malgoverno. L´anno prima Baj era stato per cinquanta giorni assessore alla cultura di Varese. Aveva lasciato l´incarico sbattendo la porta, rilasciando dichiarazioni di fuoco contro Umberto Bossi "troppo boss", che tra il serio e il faceto gli aveva chiesto un ritratto in veste di generale della Lega con tanto di medaglia. Berluskaiser, un pannello lungo dodici metri e alto quattro, in cui sono narrate in forma fantastica l´ascesa e la caduta del primo governo Berlusconi, non trovava una sede espositiva. Soltanto Siena lo accolse nel dicembre del 1994 tra mille polemiche, ovviamente. E di polemiche è costellata la strada di Baj. Contro il Beaubourg perché non esponeva i suoi quadri, contro Jeff Koons, contro Argan ("Non ha capito Modigliani e neppure Marx"), contro Achille Bonito Oliva ("Una mente sconvolta da Freud") quando, nel 1993, fu nominato direttore della Biennale di Venezia. "Ormai sentiva che il suo mondo stava crollando, che una certa arte milanese era stata sopravanzata dall´Arte Povera e dalla Transavanguardia, che dopo la Biennale del 1993 a Venezia nulla sarebbe stato più come prima", sostiene oggi Achille Bonito Oliva» (Paolo Vagheggi, "la Repubblica" 17/6/2003). «E’ stato uno dei casi più eclatanti, più vistosi e discussi della pittura milanese della seconda metà del XX secolo. E tale è stato precocemente: da quando, proprio all´avvio degli anni Cinquanta - quel decennio, in Italia e a Milano, fertile di pensieri e d´opere tanto diversi e tanto straordinari - si lasciò definitivamente alle spalle un´educazione che l´aveva portato dalle aule dell´Accademia di Brera alla laurea in giurisprudenza. Baj ha parlato, sin da allora, ad alta voce: senza tema di dar scandalo, ed anzi con quel gusto di creare stupore che gli sarà a lungo proprio, e che egli derivò in prima istanza da Fontana e dal suo magistero tanto eterodosso quanto generoso, dispensato a larghe mani, senza calcoli e senza prudenze, a ciascuno di quei giovani che, a Milano, gli s´affollavano attorno. Da una costola dello spazialismo di Fontana nacque infatti il nuclearismo di Baj e di Sergio Dangelo, che esposero assieme alla galleria San Fedele nel novembre del ’51 e l´anno appresso pubblicarono a Bruxelles il "Manifesto della pittura nucleare", motivato - come, dopo il Futurismo, era avvenuto a ogni manifesto d´avanguardia - dall´urgenza polemica contro "tutti gli ismi di una pittura che ricade invariabilmente nell´accademismo". Ma sin qui, nessuna erosione delle attese di un pubblico ormai aduso ai più aggressivi ribellismi giovanili. Il vero scandalo, però, non tarda a configurarsi per Baj: che, fors´anche per l´incontro con l´espressionismo del gruppo Cobra (con Jorn e Alechinsky in particolare, a Parigi, nel ’53), incrementa non solo la sua propensione dada e surrealista, ma mette le basi alla sua polemica, che diverrà devastante, contro ogni forma di astrattismo. Così anche il suo incontro con l´opera di Pollock (che esponeva al Naviglio già nel ’50) non esita che un parziale convergere verso le ragioni d´un automatismo puro e integralmente assunto: che sarà da Baj presto ammesso solo se "combinato a un elemento pseudo-naturalista", come scriverà, in una fondamentale monografia sul pittore milanese datata al ’56, Edouard Jaguer (che non per caso legge nell´opera più recente di Pollock, destinato a morire di lì a pochi mesi, una sorta di "ritorno alla figurazione"). Attraverso le tappe della fondazione del "Mouvement International pour un Bauhaus Imaginiste", degli "Incontri Internazionali della Ceramica" di Albisola, della rivista Il Gesto, Baj approda alla pubblicazione del nuovo manifesto "Contro lo stile", firmato fra gli altri da Yves Klein e Piero Manzoni: sempre ponendosi ad un cuore della più radicale ricerca milanese contemporanea. Licenzierà presto, poi, i suoi primi Generali, nei quali una pittura ("non-formale" piuttosto che "informale", come scrisse Jaguer) che aveva già fatto ricorso ai materiali eterodossi del cotone, del gesso, della juta e dei vetri spezzati sulla tela, si fa vieppiù brutale, ironica, grottesca. Su quello spalto lo coglie il ritorno neo-oggettuale dei primi anni Sessanta: e fu quello, anche, il tempo - breve - in cui la personalità deviante di Baj parve trovare un accordo con la temperie dei suoi anni» (Fabrizio D’Amico, "la Repubblica" 17/6/2003).