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 2002  febbraio 13 Mercoledì calendario

BALDINI

BALDINI Stefano Castelnovo di Sotto (Reggio Emilia) 25 maggio 1971. Maratoneta. Medaglia d’oro alle Olimpiadi di Atene (2004). Terzo ai mondiali 2001 e 2003 • «Tutto ha inizio quando è ancora un gracile e vivace bimbetto, che divide le sue giornate tra i banchi di scuola, i giochi con gli amici e i campi di famiglia, per dare una mano ai genitori, che a Castelnuovo di Sotto, provincia di Reggio Emilia, hanno un’azienda agricola che fornisce latte per la produzione del Parmigiano Reggiano. Stefano comincia a correre a 12 anni, seguendo i tre fratelli maggiori nelle corse non competitive, quei festosi happening che ogni domenica richiamano appassionati di tutte le età. Quel biondino adora il calcio, ma ci mette un attimo a farsi contagiare dalla passione dei fratelli. E dalle non competitive alle prime gare con i coetanei il passo è breve. Già nelle prime campestri del Csi mette in mostra il suo talento e centra le prime vittorie. Arrivano anche le prime trasferte oltre i confini della provincia e Stefano è sempre lì, davanti a tutti, prima con la maglia della Smeg Guastalla, poi con quella dell’Excelsior Rubiera, la società di cui tuttora difende i colori. A 15 anni corre già i 3000 in 9’00’’1, tempo di tutto rispetto che lo colloca al secondo posto nella graduatoria italiana stagionale della sua età. A 18 anni arriva la prima chiamata nella nazionale giovanile: Stefano va agli Europei juniores di Varazdin ed è nono nei 5000. La sua è l’annata di tanti altri bei talenti del mezzofondo: Christian Leuprecht, Massimo Modica, Francesco Bennici, Giacomo Leone, Danilo Goffi, Claudio Giardiello. Per qualcuno Stefano sembra essere il meno dotato di questo gruppetto. Ma nemmeno il tempo di pensarlo e l’allievo di Emilio Benati batte Leuprecht nei campionati di società juniores di cross. il ’90, Stefano è 13mo ai Mondiali di categoria sempre nel cross, poi vince il titolo italiano dei 5000 e si conquista il pass per i Mondiali su pista, dove è 6 nei 5000. Al debutto tra i seniores, è subito nella nazionale assoluta: lo convocano per i Giochi del Mediterraneo e lui chiude quinto sui 5000. Ma l’anno della svolta è il ’92, quando Emilio Benati, l’uomo che lo ha scoperto e lanciato, chiede aiuto a Luciano Gigliotti, l’artefice del trionfo olimpico a Seul ’88 di Gelindo Bordin. Benati sa che ha tra le mani un cavallo di razza e sa anche che, nel momento decisivo della carriera di Stefano, non può prescindere dalla collaborazione di uno dei più grandi maestri mondiali della corsa. Il connubio Benati-Gigliotti dura quattro anni, poi il primo mentore si fa da parte, perché gli impegni di lavoro non gli consentono di continuare a seguire il suo pupillo quotidianamente. Ma sarà sempre un punto di riferimento fondamentale per Stefano, una sorta di supervisore e consigliere. Nel ’93 arriva il primo titolo italiano assoluto, sui 10.000, che Baldini ripeterà nel triennio successivo. Si fa le sue belle esperienze in pista, nel ’95 vince anche in coppa Europa, ma lo strapotere degli africani gli fa capire che per ritagliarsi uno spazio importante nel panorama mondiale deve lasciare la pista e giocare la carta maratona. Proprio nel ’95 compie la prima esperienza sui 42 km e 195 metri: sceglie Venezia, dove è sesto in 2h11’01’’ nella gara che rivela Danilo Goffi e Giacomo Leone. giusto un assaggio, perché nel ’96, pur cominciando a modificare il suo motore in prospettiva maratona, Stefano si dedica ancora alla pista: non è pronto per la vetrina olimpica sulla lunga distanza e lui vuole partecipare ai Giochi. A Bratislava centra il minimo sui 10.000 e ad Atlanta agguanta la finale con una grande prova in batteria: poi sarà 18mo e ultimo, ma quel risultato ha un grandissimo valore. Passano due mesi e Stefano centra il primo exploit sulla strada che porta ai 42 km e 195 metri: a Palma di Maiorca conquista il titolo mondiale di mezza maratona e lì capisce che può diventare un grande. Poche settimane dopo, nel giorno in cui New York consacra Giacomo Leone, Baldini conosce la prima delusione, con un ritiro che fa male. Da qui però riparte con una certezza, perché Gigliotti sa che ci vuole pazienza, sa che tutti i grandi della specialità sono passati da momenti difficili: indietro non si torna, la maratona sarà il terreno di caccia. Stefano abbassa la testa e macina chilometri con rabbia e abnegazione. E il 13 aprile ’97 conosce il giorno della seconda svolta: a Londra, nella gara più prestigiosa del calendario, si inchina solo in volata al portoghese Antonio Pinto, ma con 2h07’57’’ toglie dopo 7 anni il record italiano a Bordin. fatta, ormai è sulla rampa di lancio. A novembre, dopo una parentesi in pista ai Mondiali di Atene, dove è 9 nella finale dei 10.000, va a New York per cancellare il ritiro dell’anno prima: è 3 dietro ai keniani Kagwe e Chebet. Si ripresenta a marzo e vince a Roma, poi va agli Europei di Budapest e conquista l’oro in una giornata indimenticabile per l’Italia, con Goffi argento e Modica bronzo. Nel ’99 tira il fiato, per ricaricarsi in vista dei Giochi di Sydney. Dimostra nella primavera dell’anno olimpico che il posto nel terzetto olimpico gli spetta di diritto, correndo a Londra in 2h09’45’’. La preparazione fila al meglio, ma proprio sul più bello, quando sta volando, si ferma per un problema a un gluteo. Va ugualmente in Australia, nella speranza che il contrattempo si risolva, ma dopo 18 chilometri alza bandiera bianca. La ripresa non è facile, ma l’obiettivo è fissato subito: Atene 2004. Vince il bronzo ai Mondiali di Edmonton 2001 e conosce il suo picco di forma a fine ottobre quando vince nella maratona di Madrid. Nell’aprile 2002 va ancora a Londra, nella gara più veloce della storia che ruota attorno alla sfida stellare tra Gebrselassie, Tergat e Khannouchi: corre quasi tutta la gara da solo, ma il sesto posto gli regala il record italiano con 2h07’29’’. Agli Europei di Budapest torna a cimentarsi nei 10.000, perdendo la medaglia per una manciata di secondi, poi mette insieme un biennio di grandi maratone per saggiare tutti gli avversari possibili in vista di Atene. Passa dal quinto posto a New York 2002, dal secondo a Londra 2003 dietro all’olimpionico Abera, dal bronzo ai Mondiali di Parigi sino alla quarta piazza sempre a Londra in primavera. E lì capisce che l’oro olimpico non è un miraggio» (Paolo Marabini, ”La Gazzetta dello Sport” 30/8/2004). Ottavo di undici figli: «Cinque degli undici fratelli Baldini hanno l’atletica nel sangue. In due promettevano molto, Pietro e Marco, che nel ’95 è arrivato sesto nella maratona dei campionati italiani con 2h16’. E poi c’era lui, Stefano, che ha cominciato a correre dietro ai fratelli, quando aveva nove anni ed era già un buon allenamento. Loro vivevano in un’azienda agricola, a quattro chilometri dal primo telefono; correre era anche un modo per restare legati al mondo. ”Quando arrivavo da loro, in auto, per cominciare l’allenamento, non si facevano aspettare. Erano già tutti pronti [...] La sua dote migliore è quella di non stancarsi mai; non è veloce, ma resistente. Un uomo forte. In corsa spende poco e sa sempre che cosa fare” (Emilio Benati, suo primo allenatore). ”I miei genitori inizialmente non vedevano di buon occhio la mia passione per la corsa, avrebbero preferito che mi trovassi un altro lavoro. Cosa peraltro che io ho finito per fare, dopo un anno alle Fiamme Oro, andando a lavorare in una ditta, la Calcestruzzi Corradini di Rubiare, cittadina dove ora vivo, e dove ho avuto la fortuna di trovare un imprenditore appassionato che mi ha prima assunto part-time e quindi, negli ultimi due anni, messo in aspettativa retribuita in modo che potessi allenarmi al meglio. Così ho potuto gestirmi [...] D’altronde il lavoro a una scrivania non mi è mai spiaciuto e ho sempre pensato fosse utile alternativa se le cose, con la corsa, non fossero andate bene”. Sposato con la quattrocentista azzurra Virna De Angeli [...] ”Il matrimonio ha rappresentato una svolta molto importante, così come la nascita di una figlia. Correre tutti i giorni per allenarmi non è un fastidio e per questo riesco a non ritenerlo neppure un mestiere. So di poter migliorare ancora, di avere tanto da imparare: per esempio non sono mai stato in Kenya o in Etiopia a vedere come si allenano i campioni dell’altopiano. E mi incuriosisce sapere come fanno a preparasi in condizioni senz’altro molto più dure delle nostre, senza mai infortunarsi» (’La Stampa” 5/8/2001).