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 2002  febbraio 13 Mercoledì calendario

BALIANI

BALIANI Marco Verbania 1 gennaio 1950. Regista. Autore. Attore. Narratore • «[...] ha compiuto 60 anni, ma [...] ha ancora tutta la grinta di quando ha cominciato, nel 1975, fondando il gruppo ”Ruota-libera”. [...] inventore del teatro di narrazione [...] ”Il teatro di narrazione è nato come fenomeno di crisi, un elemento di crisi. Non è un elemento totalmente innovativo della scena italiana, che per innovarsi avrebbe bisogno di una nuova drammaturgia corale, collettiva, costruita sul corpo degli attori. Una cosa che ancora non c’è. Il teatro di narrazione nacque perché alcuni attori trovarono molto stretta la gabbia produttiva e drammaturgica con cui si era andati avanti fino a quel momento e provarono a fare una sorta di estremismo scenico. E quindi a ridurre tutto il mondo a un corpo che narra. Un’esperienza bellissima, che a me ha dato tanto e che mi ha permesso di capire come lavorare con alcuni metodi, come l’allenamento allo stupore, la capacità di ascolto e di relazione [...] Il successo che ha avuto il teatro di narrazione ha a che fare con questo: il pubblico veniva a vedere una persona che gli raccontava una storia, non era costretto a credere a un personaggio. [...] era veramente qualcosa di completamente nuovo dal punto di vista dell’attore, della drammaturgia. Invece dal punto di vista epocale non abbiamo inventato nulla, è uno che si siede e racconta una storia. La novità è l’interesse per la persona più che per il personaggio: tu vai a vedere Baliani, non vai a vedere il personaggio tal dei tali. Poi c’è una sorta di risposta a un’overdose di immagini: nel teatro di narrazione, lo spettatore ascolta, non guarda. C’è poco da guardare. E quindi è costretto a fare un lavoro di impaginazione immaginativa. Ognuno si fa un film di quello che sta vedendo e ascoltando. Questo è un lavoro di fantasia che ormai negli altri mezzi di comunicazione non c’è più. [...] Tutti quelli che si sono messi a fare narrazione hanno pensato che era più importante il teatro civile che la fabula. Una narrazione funziona se c’è una fabula dietro, fatta di conflitti. Se comincio a diventare un professore, che ti spiego chi sono i buoni e chi sono i cattivi, entro in un altro uso del teatro, politico-didattico-didascalico. [...] Sono anche dispiaciuto perché quasi tutto il teatro di narrazione oggi è teatro civile. Anche questo è utile, perché si tirano fuori tutti gli omissis della nostra storia. Ma si è persa la forza di cercare invece una fabula dentro a quel conflitto: se devo raccontare Mattei, io racconto la storia di quello che guidava l’elicottero quel giorno. Mi sembra che anche il pubblico cominci a disaffezionarsi. Se sei un Paolini ad esempio, che è molto bravo, allora ti vado a vedere. Ma c’è una pletora di altri che sono insopportabili. [...]”» (Silvia D’Onghia, ”il Fatto Quotidiano” 9/2/2010).