Varie, 13 febbraio 2002
BALMAMION
BALMAMION Franco Nola Canavese (Torino) 11 gennaio 1940. Ex ciclista. Vinse due volte il Giro d’Italia, nel 1962 e nel 1963. Ottavo nel 1964, quinto nel 1965, sesto nel 1966, secondo nel 1967, settimo nel 1968. Non riuscì comunque mai a vincere una tappa. Terzo al Tour de France del 1967, nello stesso anno conquistò il titolo italiano. Ottavo (primo degli italiani) ai mondiali del 1965 • «Non pedalava in testa […] Pedalava con la testa, però: da leader morigerato. Stava sempre coi primi ma senza esagerare, ché prendersi troppa gloria fa male agli altri e anche a se stessi: ”Ero lì davanti, mi bastava. Tanto qualcuno degli avversari più forti saltava sempre. Il gruppo mi rispettava, non toglievo il pane di bocca a nessuno. Il pubblico forse preferiva altre cose, ma io ero fatto così. Conoscevo le mie possibilità. Solo una volta mi sono fatto incantare dai giornalisti, dai tifosi, da tutti e ho abboccato al fascino della grande impresa. Si era al Giro del 1964, quello che avrebbe vinto Anquetil, il gran signore. Si correva di nuovo la mitica tappa alpina Cuneo-Pinerolo: era la prima volta dal giorno in cui Coppi partì sul colle della Maddalena e nessuno lo vide più. E io provai a fare come dicevano, provai a fare Coppi. Senza essere Coppi. Attaccai sulla Maddalena, mi presero giù dalla discesa, e salendo al Sestriere andai in crisi, fu una delusione terribile […] Ho perso mio padre che avevo tre anni. Era con i vigili del fuoco a Torino. morto sotto le bombe il 25 luglio del 1943, il giorno della caduta del fascismo. E un ragazzo che cresce senza il papà ragiona di più con la sua testa: ero maturo prima di altri e facevo certi conti. Prima di rischiare in bici ci pensavo due volte, non ero di quelli che si buttano in discesa, non me lo potevo permettere. Quando vincevo, esultavo senza dare di matto. Potevo sembrare scontroso, ero solo più freddo. Portavo i soldi a casa e non dovevo rischiare nulla […] Mio zio, Ettore Balmamion, era stato quinto al Giro d’Italia del 1932. A gareggiare ho cominciato soltanto a diciassette anni, già lavoravo: ero l’unico maschio di casa e mia madre non mi voleva corridore, neppure per gioco […] Allora portare a casa lo stipendio era quello che contava. Lavoravo nell’officina di una fabbrica tessile, poi sono andato alla Fiat, come tornitore. Quando sono diventato corridore professionista mi sono messo in aspettativa, non ho mollato il posto. Ma nel 1962 mi hanno chiamato dalla fabbrica: ”Guarda Franco, ti devi licenziare, hai vinto il Giro, ormai fai un altro mestiere’. Mi sono convinto e anche mia madre si era ormai tranquillizzata. Si raccomandava: ”Vinci, ma vai piano’”» (Cesare Fiumi, Storie esemplari di piccoli eroi, Feltrinelli 1996).