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 2002  febbraio 13 Mercoledì calendario

Biografia di Barghouti

BARGHOUTI Marwan West Bank 5 giugno 1960. Politico. Ex leader dell’intifada, dirigente del Fatah, è la figura più popolare tra i palestinesi dopo Arafat (lo dicono i sondaggi). Arrestato dagli israeliani il 16 aprile 2002, nel 2004 è stato condannato a 5 ergastoli per coinvolgimento in attacchi in cui morirono 4 israeliani e un monaco greco • «Una carriera folgorante, sudata nelle piazze palestinesi e agevolata dagli errori del nemico. Sono stati gli 007 israeliani a trasformarlo nel grande avversario, sfornando dossier, legando il suo nome all’inizio dell’intifada, associandolo agli attentati delle Brigate Al Aqsa. In altre parole gli hanno garantito la campagna di promozione. Forse volevano creare problemi all’Autorità palestinese, alla fine hanno dovuto fermarlo. abituato al carcere. A 18 anni gli israeliani lo hanno sbattuto in galera perché membro del Fatah e c’è rimasto sette anni. Durante la prigionia ha imparato l’ebraico e rafforzato le proprie convinzioni. Deportato nell’87 in Giordania, ha poi raggiunto il quartier generale di Tunisi. Solo dopo la pace di Oslo - 1993 - è potuto tornare nei territori palestinesi. stato tra gli animatori dei ”Tanzim” (’l’organizzazione”), i militanti del Fatah, la fazione che fa capo ad Arafat. Il raìs gli ha affidato una missione delicata: usare i militanti per contenere Hamas e proteggere il processo di pace iniziato a Oslo. Il fervore pacifista evapora quando il meccanismo negoziale si inceppa. Le colonie, l’occupazione, i ritiri israeliani mancati sono le molle del rifiuto. Nella primavera del 2000 c’è la prova generale della seconda intifada. Tre giorni di scontri e sulle barricate di Ramallah è Barghouti a sorvegliare i lanciatori di sassi. Dà interviste, lancia proclami. La sua truppa torna in prima linea alla fine di settembre. Sono i ”ragazzi” del Fatah a sostenere il primo urto sulla Spianata delle Moschee dopo la provocatoria passeggiata di Ariel Sharon. ” nata l’intifada Al Aqsa, ci battiamo per Gerusalemme”, afferma e ricorda, con fierezza, che due suoi figli partecipano ogni giorno agli scontri. Dai sassi, ben presto, i Tanzim passano ai mitra. Nascono le Brigate dei Martiri Al Aqsa, che tendono agguati e mandano kamikaze. Usano persino le donne. Agli israeliani ripete: ”Non vi amo, questo è sicuro. Odio l’occupazione e i coloni. Ai miei occhi i coloni sono come le zanzare, i peggiori al mondo”. Analisi brutale che spinge i militanti a dare la caccia agli abitanti degli insediamenti. L’intelligence sostiene che coordina le operazioni attraverso il nipote Ahmed, anch’egli arrestato. Ma sul campo, i diversi boss delle Brigate sembrano godere di una certa autonomia. Ripercorrono i passi del loro mentore, sono insofferenti alla gerarchia. Nel vuoto di potere che si sta creando nei territori - è l’analisi degli esperti - saranno i Tanzim ad imporsi. Barghouti capisce di essere nel mirino quando la sua auto, guidata da un collaboratore, è centrata dai missili israeliani. A settembre viene spiccato il primo mandato di cattura. Il leader del Fatah abbandona la sua casa, dove vive con la moglie e i quattro figli. ”Non dormo mai due volte nello stesso posto”, rivela. Teme di essere preso. Alla fine cade nelle mani degli israeliani. Probabilmente lo hanno venduto, è il sospetto della moglie. Forse non si sbaglia” (Guido Olimpio, ”Corriere della Sera” 17/4/2002). «[...] Innanzitutto sottolineo che non conosco un’espressione politica più democratica dell’Intifada. In arabo ”intifadah” significa ”scuotimento”, come qualcuno che si scuota dal torpore, si alzi e si liberi dalla polvere e dalla sabbia che lo hanno ricoperto. Tutti i ceti sociali partecipano alla sollevazione popolare e ne determinano l’andamento e l’esito. Ricordo le lunghissime discussioni durante la prima intifada. Dovevamo decidere se fosse opportuno avere uno sciopero quotidiano o no. Ci volle tempo, molto tempo […] Attraverso le traversie di quasi mezzo secolo Arafat ha saputo tenere i palestinesi in marcia verso la conquista della loro identità nazionale e dell’indipendenza. Questo è certamente un grande risultato. Poi indubbiamente ha commesso diversi errori. Avrebbe potuto ottenere un accordo molto migliore rispetto a quello che ha firmato ad Oslo, ma va considerato che c’erano stati la guerra del Golfo e il crollo del blocco sovietico, con le rispettive conseguenze […] Se vogliamo dire le cose come stanno bisogna distinguere tra il ”con” e il ”dopo Arafat”. Con Arafat noi avremo sempre una forma patriarcale di Stato. Dopo Arafat la situazione cambierà e allora si aprirà la lotta tra i modelli. Tra l’importazione di modelli regionali o, come io auspico, un sistema parlamentare con tutto quel che ne consegue. I palestinesi sono pronti per la democrazia. Noi non abbiamo ”famiglie reali” che possano rivendicare il diritto a governarci. Su questo punto dovremo essere fermi e determinati a far valere la nostra volontà quanto oggi lo siamo nel lottare per porre termine all’occupazione. Ci saranno delle resistenze, degli ostacoli, ma sono ottimista» (’Limes”, I/2001). ”Noi riteniamo che l’ascesa dell’Intifada ha posto le fondamenta per una nuova fase storica per il popolo palestinese e ha definitivamente posto fine all’insieme della precedente fase caratterizzata dalle trattative su delle basi, un contesto e un’agenda dei lavori che non hanno portato e non porteranno alcun beneficio» (’la Repubblica” 9/2/2001).